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      Codice Dante, la Divina Commedia svelatadi Giampiero Ricci
 
 E’ in libreria, per merito della Luni Editrice, “Il linguaggio segreto di 
      Dante e dei Fedeli D’amore”, ristampa del trattato di Luigi Valli, 
      pubblicato per la prima e unica volta nel febbraio del 1929 dalla rivista 
      francese di studi “tradizionali” Le Voile d’Isis. Voce caduta nel deserto 
      ma in grado di gettare una luce nuova sull’opera dantesca arricchendola 
      ulteriormente di significato, Valli illustra con metodo scientifico il 
      linguaggio esoterico nascosto dietro il “Divino”, riuscendo a rendere meno 
      oscuri interi passaggi della Vita Nuova che anche la critica dominante ha 
      oramai rinunciato ad interpretare. E se la poesia di Dante non fosse 
      solamente una costruzione eccelsa di versi liricamente perfetti? Se il 
      metalinguaggio secondo cui siamo scolasticamente abituati a leggere Dante 
      fosse effettivamente decriptabile seguendo con approccio quasi matematico, 
      un codice comune a diversi poeti trecentisti da noi accomunati sotto 
      l’etichetta di stilnovisti? E se in realtà questi stilnovisti fossero 
      stati una setta di illuminati che si poneva l’obiettivo politico-religioso 
      di denunciare l’inganno e il tradimento del messaggio di Cristo e dei 
      primi cristiani ad opera di Santa Madre Chiesa Romana? E se tale setta 
      questo obiettivo avesse provato a perseguirlo utilizzando ritualità che, 
      rimandando a tradizioni millenarie, per ovvie ragioni di sicurezza 
      (l’Italia di quegli anni non era decisamente il posto più sicuro per gente 
      come quella), dovevano rimanere segrete?
 
 Il problema forse è proprio qui : tanti se, cui peraltro la tesi del Valli 
      risponde con compiutezza e dovizia di particolari, che si scontrano con la 
      monumentalità di un’opera cui sembra rendere miglior servigio qualche 
      lettura superficiale a tarda notte in TV, piuttosto che un viaggio 
      complesso nelle ragioni di questi Fedeli d’amore. Sì, perché Valli parla 
      di una gerarchia di poeti accomunati dalla fedeltà all’amore, alla 
      passione eterna, a-mortis, alla cui testa era da tutti riconosciuto Guido 
      Cavalcanti. Egli sviscera il codice spiegandone i significati e il 
      simbolismo dietro la parole più ricorrenti, approfondendo profondamente la 
      lettura politica, già accennata dal Rossetti, con il risultato, ad 
      esempio, di rendere meno criptici tanti interscambi epistolari tra gli 
      stilnovisti, dove chiunque abbia un po’ di sale in zucca resta per lo meno 
      dubbioso sul fatto che eminenti filosofi e poeti come quelli di cui stiamo 
      parlando, gente che come Dante aveva deciso scientemente di dedicare la 
      propria vita alle lettere, avesse potuto dilettarsi nella corrispondenza 
      di sonetti dove si parla della donna di uno o della donna dell’altro 
      quando è invece sempre della stessa Donna che si parla. Allora la Donna 
      diventa sinonimo dell’adepto poiché lei come lui veicoli di amore.
 
      Seguendo la 
      lezione del Valli si può provare a rileggere anche il sonetto famoso della 
      Vita Nuova, “Donne ch’avete intelletto d’amore”. Questo diventa meno 
      oscuro se alla interpretazione letterale e a quella metaforica della 
      mistica Sapienza Santa impersonata da Beatrice, proviamo ad accostare la 
      lettura politica di un messaggio indirizzato agli adepti sulle “modalità 
      d’uso” della Sapienza Santa. 
 Sulle porte dell’Inferno Dante scrive:
 
      “Per me si 
      va nella città dolente”P’ erme si va nella città che profuma di divino
 Attraverso Ermes, il messaggero divino e protettore della scrittura, si 
      entra nello spirito divino.
 
      Pensare a 
      Dante in questi termini, come peraltro il Rossetti e lo stesso Foscolo 
      provarono a fare, pensare che la Divina Commedia possa essere stata 
      scritta con questa tecnica rende ogni volta più nuova ed immensa 
      l’esperienza della sua lettura soprattutto se, come altri studi recenti 
      sembrano confermare, si arrivasse a provare che questa tecnica era la 
      figlia prediletta di una tradizione culturale millenaria mediterranea, 
      comunque in larga parte greco-romana, che ha prodotto i grandi classici 
      alla base della nostra civiltà, testi sacri compresi. Come nella 
      conclusione alla prefazione al trattato del Valli, scritta da René Guénon 
      su Le Voile d’Isis, “(…) Sembra che sia giunto il tempo in cui si scoprirà 
      finalmente il vero senso dell’opera di Dante; se le interpretazioni di 
      Rossetti e di Aroux non furono prese sul serio nella loro epoca, forse non 
      è perché gli animi erano meno pronti di oggi, ma piuttosto perché era 
      previsto che il segreto dovesse essere conservato per sei secoli.” 
      
      29 luglio 2004
 ri.giampiero@tiscali.it
 
      
      Luigi Valli, “Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore”, Luni 
      Editrice, euro 39, pa. 685 
 
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