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		Le nevrosi di Mozart in scena nell’Idomeneodi Giuseppe Pennisi
 
 L’Accademia di Santa Cecilia ha inaugurato la stagione 2004-2005 con 
		un’edizione da concerto di “Idomeneo, Re di Creta” di Wolfgang A. 
		Mozart. Per contenere lo spettacolo in circa tre ore sono stati tagliati 
		molti recitativi ed una delle arie di Arbace. Nel teatro in musica di 
		Mozart, “Idomeneo” ha avuto un lungo periodo di oblio; dopo una tornata 
		di rappresentazioni a Monaco nel 1781 ed una revisione eseguita 
		unicamente in forma di concerto per Vienna un lustro più tardi, l’opera 
		di fatto sparì dai repertori. Nell’Ottocento, veniva rappresentata solo 
		in Germania ed in traduzione (dall’italiano della versione originale in 
		tedesco). Fu quel genio di Richard Strauss a riproporla nel Novecento. 
		Soltanto negli ultimi quindici anni, ed in particolare dall’inizio del 
		XXI secolo, è entrata tra i lavori mozartiani rappresentati con 
		frequenza nei teatri italiani. Eppure viene considerata da molti il 
		capolavoro assoluto di Mozart per il teatro, l’opera in cui più precorre 
		i tempi sotto il profilo musicale e meglio svela, al tempo stesso, il 
		suo credo politico e le sue nevrosi più intime. Spieghiamo perché.
 
 Il libretto (apparentemente edificante) del modesto abate Gian Battista 
		Varisco è di stampo metastasiano (quindi, già rétro quando venne 
		scritto). Di ritorno dalla guerra di Troia, “Idomeneo, Re di Creta”, 
		nel corso di una tempesta di mare, promette a Nettuno di sacrificare la 
		prima persona che incontrerà all’approdo; questi è il principe reggente, 
		l’avvenente Idamante, suo figlio, conteso tra la troiana Ilia e la greca 
		Elettra – ambedue vogliose di portarlo sotto le lenzuola prima ed 
		all’altare poi. Per amor paterno, il Re non mantiene la promessa; il Dio 
		invia un mostro che minaccia di divorare tutti i cretesi. Idamante, per 
		amor di Patria, lo uccide, ma i sacerdoti reclamano il sacrificio. Il 
		giovane principe, per amor filiale (oltre che di Patria), è pronto a 
		farsi sgozzare. Mentre Idomeneo sta per farlo, Ilia si sostituisce a 
		Idamante e chiede di essere immolata al posto suo; Nettuno perdona 
		tutti; Idamante ascende al trono, coniugato a Ilia; Elettra si dispera 
		in isterica follia, mentre si celebra il nuovo re.
 
 Come è riuscito un 24enne, in procinto di lasciare un comodo impiego a 
		Salisburgo per una dura scoperta del mondo, a ricavare un capolavoro 
		sommo da questo pasticcio? Neanche nella più nota trilogia dapontiana 
		(“Nozze di Figaro”, “Don Giovanni”, “Così fan tutte”), Mozart ritrovò la 
		compattezza musicale di “Idomeneo”. Mai la musica per teatro di Mozart, 
		neanche nelle ultime opere (“Il flauto magico” e “La clemenza di Tito”), 
		ebbe un’orchestrazione così complessa e così smagliante e parti vocali 
		così innovative quali il grande quartetto del terzo atto, in cui si 
		fondono un recitativo secco, un duetto, un recitativo accompagnato ed un 
		concertato a quattro voci, oppure l’ultima aria di Elettra in cui si 
		rompe la consueta divisione in numeri. Per un quartetto analogo occorre 
		aspettare circa 70 anni ed approdare a “Rigoletto”; per un’aria simile 
		si deve giungere quasi all’ultimo Giuseppe Verdi o a Richard Strauss.
 
 Cosa ha portato Mozart ad una vetta così alta partendo da un libretto 
		convenzionale di “opera seria”, pur se fortemente marcato dalla 
		rivoluzione gluckiana allora in corso e dai canoni della “tragédie 
		lyrique”? Al giovane adulto che componeva “Idomeneo” stava stretta la 
		cappa protettiva del padre; egli aveva, inoltre, una vita 
		sentimental-erotica complicata ed era già in cammino verso la 
		massoneria. Mozart riversò e sublimò le sue tensioni interiori, da 
		quelle nevrotiche a quelle politiche. Nella partitura abbiamo le nevrosi 
		dei rapporti con il padre-padrone Leopoldo (nell’interazione tra 
		Idomeneo ed Idamante), delle relazioni anche sessuali con le donne (il 
		triangolo Idamante-Ilia-Elettra), del nesso con Dio (il burrascoso 
		rapporto tra Idomeneo e Nettuno). In “Idomeneo”, egli dette alle sue 
		nevrosi spessore universale ed atemporale, tanto che se ne sono visti 
		allestimenti con scene e costumi di epoca bonapartiana ed anche di 
		secondo dopoguerra.
 
 Sotto il profilo politico, il 24enne aveva idee già chiare. Non è un 
		progressista, come per decenni ha scritto una critica impostata 
		ideologicamente ma poco documentata sotto il profilo e musicale e 
		storico. Non è neanche un “neocon” illuminista. E’ un conservatore bello 
		e buono che adora l’armonia della monarchia assoluta (non per nulla si 
		iscrive alla loggia più vicina alla Corte), ha pregiudizi vagamente 
		razzisti (i “turchi” del “Ratto dal Serraglio”, Monastatos de “Il flauto 
		magico”), avverte (ma non approva) la forza delle donne (forse anche a 
		ragione delle sue preferenze di letto) ed in un solo lavoro (“Le nozze 
		di Figaro”) esprime un punto di vista modernizzatore (con la “doppia 
		rivoluzione” delle donne e della servitù), a ragione, però, più del 
		libretto (e della commedia da cui è tratto) che della musica.
 
 L’Accademia di Santa Cecilia ha offerto una versione di concerto, 
		un’edizione scintillante. Myung-Whun Chung e Roberto Gabbiani hanno 
		diretto orchestra e coro facendo brillare tutto lo smalto della 
		partitura - magnifici i fiati e gli ottoni. Eva Mei è un’Ilia 
		dolcissima, Carmela Remigio un’Elettra infuocata, Vittorio Grigolo un 
		Arbace puntuale. Le sorprese vocali sono Magdalena Kožená e Giuseppe 
		Filianoti. La prima è l’Idamante quasi autobiografico in cui Mozart 
		sublima le nevrosi più private. Il trentenne Giuseppe Filianoti debutta 
		nel ruolo di protagonista: una sfida per quello che è uno dei migliori 
		tenori italiani, già insignito “Premio Abbiati. Colpisce per duttilità 
		ed ampiezza del registro in una vocalità impervia.
 
      
      26 ottobre 2004
		
 g.pennisi@agora.it
 
      
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