La libertà selvaggia
di Mario Vargas Llosa
Einaudi, Torino, 2003
pp. 102,
12,50

L’Iraq liberato
di Maria Teresa Petti
[17 nov 04]

Nel 1971 Giorgio Gaber cantava una nota canzone sulla libertà. Un inno che ben sintetizza il suo messaggio in due versi del refrain: «La libertà non è uno spazio libero / libertà è partecipazione».
Tornano alla mente queste parole nel leggere La libertà selvaggia, diario scritto dall’Iraq da Mario Vargas Llosa nel 2003, recentemente pubblicato in lingua italiana da Einaudi; perché il libro, nel raccontare le vicende, le emozioni, la presa di coscienza dell’autore della grave situazione irachena post-Hussein, vista dall’interno, sembra ripetere quei versi ad ogni capitolo, ad ogni pagina. In dodici giorni trascorsi in Iraq nell’estate del 2003, sulle tracce della figlia Morgana, fotografa per la Fundación Iberoamérica-Europa, l’autore entra nel vivo della situazione irachena e scrive una serie di articoli oggi riuniti in questo libro. Emblematica la descrizione del traffico di Baghdad: un ingorgo impazzito in cui ognuno cerca di seguire la propria direzione. Succede spesso, afferma Vargas Llosa, che ad un certo punto qualcuno scenda dalla propria macchina e si improvvisi vigile urbano, tanto è necessario il bisogno di ordine. Sono quelle che Hayek, ci ricorda l’autore, ha definito «istituzioni spontanee».
Inutile forse, perché scontato, soffermarsi sulla bravura dello scrittore, sul suo stile agile e coinvolgente. Meglio addentrarsi nel viaggio, nella riflessione, nel cambiamento di idee e opinioni. Partito per l’Iraq con un’idea assoluta di dissenso e accusa nei confronti dell’intervento militare di Usa e Gran Bretagna (testimoniato nello stesso libro da alcuni articoli pubblicati prima del viaggio e riportati in appendice), Mario Vargas Llosa torna cambiato, scoprendosi di opinione diversa, se non opposta e finendo col definire la guerra “il male minore”.

Ecco dunque lo scrittore in un paese in cui mancano acqua ed elettricità, e regnano crisi economica e generale insicurezza. Eppure, sembrava incredibile dall’esterno, ma a vivere la situazione dal di dentro tutto questo è preferibile al regime del Baath. è “il male minore”. Si possono discutere, afferma nella prefazione Vargas Llosa, i modi dell’intervento, la giustificazione cercata nell’esistenza di armi di distruzione di massa, l’aver agito indipendentemente dalla legittimazione delle Nazioni Unite. Ma la guerra a un regime estremo, criminale e inibitore di ogni libertà (compresa quella di poter realizzare una qualsiasi resistenza da parte dello stesso popolo sottomesso), nonché seriamente pericoloso per la pace mondiale, è per Vargas Llosa una guerra giusta.

“La libertà selvaggia” è quella di un popolo senza leggi e senza ordine, senza dogane, senza semafori, senza banche, senza assegni né carte di credito. Una libertà in cui non esistono ministeri né uffici pubblici, poste né telefoni; una libertà “sconsiderata” che atterrisce e spaventa. Una libertà che è anche libertà di stampa, libertà di dire tutto e il contrario di tutto tanto da sgomentare e frantumare qualsiasi opinione pubblica. La libertà di un popolo che è vittima di ladrocini e soprusi da parte chi sa sfruttare il caos (compresi i delinquenti e i criminali lasciati liberi da Saddam Hussein), un popolo che fa riferimento come unica autorità ai carri armati americani, ma che contemporaneamente contesta con ostilità. Vargas Llosa testimonia tutto ciò anche attraverso le fotografie di Morgana: immagini di vita quotidiana in Iraq, accompagnate da didascalie immaginarie dello scrittore che descrivono le persone, i luoghi e le sensazioni. Le parole dai volti, poi sembra di sentire le voci: «Vorrei essere libero» diceva Gaber «libero come un uomo».

A distanza di un anno dal viaggio di Vargas Llosa “la libertà selvaggia” ha inasprito i toni e aumentato le sue vittime: la popolazione irachena, i soldati della coalizione, i rapiti barbaramente uccisi dalle falangi terroristiche fondamentaliste. Qui in Mesopotamia, tra il Tigri e l’Eufrate, dove i libri di storia ci hanno insegnato che nacque la scrittura, sembra attualmente in declino qualsiasi forma di civiltà. Eppure Vargas Llosa intravede un futuro libero davvero. Dipenderà, secondo lui dagli iracheni, dalla determinazione della coalizione e dall’appoggio pronto e deciso della comunità dei paesi democratici di tutto il mondo, a partire dall’Unione Europea.