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Una
certa idea della destra
di Gennaro Malgieri
Pantheon, Roma, 2004
pp. 311, € 15
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Riflessioni sulla destra italiana
di Ludovico Incisa di Camerana
[17 nov 04]
Il Novecento si è concluso con la disfatta della cultura di
sinistra. La sua parte più avanzata ha avuto dal 1917, dalla
Rivoluzione d’Ottobre, al 1989, alla caduta del muro di Berlino,
tutto il tempo e tutto lo spazio, dall’Europa orientale alla Cina,
per dimostrare la sua superiorità sulle altre scuole culturali.
Oggi comunisti ed ex comunisti, ripudiato il loro credo, si sono
arresi al loro avversario, si sono convertiti ad un capitalismo
più o meno liberale, ma certamente ad un filone “funzionalmente”
di destra, ritenuto l’unico compatibile con la modernità e quasi
d’obbligo se si mira all’esercizio del potere.
La sconfitta della cultura di sinistra non ha portato al trionfo
della cultura di destra, a causa della condanna perpetua che pesa
su di essa dal 1945, della sua identificazione con i regimi
nazional-totalitari allora debellati e non ancora classificati –
come si dovrebbe – in base alla loro collocazione in un tempo
storico irripetibile, nel clima tragico dell’Europa delle guerre.
Coinvolta nella damnatio memoriae di una cultura scomparsa con la
generazione che ne era stata la protagonista, la cultura di destra
continua ad essere messa da parte, all’indice, anche se in realtà
è vittima di un’appropriazione indebita da parte della cultura di
sinistra, anche se trova un’applicazione da parte di forze
politiche un tempo opposte sotto il mantello ambiguo di un
centrismo, che si adatta a tutto e spesso al contrario di tutto,
ma senza riflessioni approfondite, con un senso permanente di
provvisorietà ed insicurezza.
Questo clima equivoco, intellettualmente inqualificabile,
s’involgarisce in una prassi dei partiti confusa, in modo tale che
spesso non si sa se sia più di destra la politica della sinistra
anziché quella della destra, e viceversa, se sia più di sinistra
la politica della destra anziché quella della sinistra. A questo
punto si sente sempre di più l’urgenza di un chiarimento e di
tirare le somme: anche per distinguere la sua antitesi occorre
ricostruire e definire cos’è e cosa può essere oggi la cultura di
destra. Ed a tale compito si è dedicato Gennaro Malgieri,
parlamentare, giornalista, direttore del Secolo d’Italia, con un
saggio ricco di impressioni, di spunti, di proposte: Una certa
idea della destra.
Si tratta peraltro di un’opera, che è l’ultimo risultato di un
itinerario intellettuale scandito da varie tappe, da un riesame
delle radici dell’Italia d’oggi sotto due profili, principalmente
lo Stato e la modernizzazione. è naturale quindi che Malgieri
abbia a suo tempo rievocato con monografie acute e serene
personaggi come Costamagna e Rocco che, pur nell’ambito di un
regime autoritario, hanno cercato di rendere le sue strutture
giuridiche più imparziali e più rispondenti alle esigenze della
maggioranza sociale in un periodo, quello della fine degli anni
Venti e l’inizio degli anni Trenta, in cui, nonostante lo stile
oppressivo del sistema politico e nonostante la crisi
internazionale provocata nel 1929 dal crack di Wall Street,
l’Italia avvia una fase di modernizzazione contraddetta pochi anni
dopo da un espansionismo rovinoso. Ma in quel momento nasce
un’originale strategia dell’intervento pubblico nell’economia,
copiata perfino negli Stati Uniti del new deal e nell’Urss del
piano quinquennale, mentre si formano quelle dirigenze tecniche
che, dopo la seconda guerra mondiale, permetteranno la rapida
ricostruzione di un paese devastato e il grande balzo in avanti
degli anni Cinquanta e Sessanta.
Lo Stato non è il fine della modernizzazione come nella cultura
totalitaria bensì lo strumento della modernizzazione, donde la sua
“necessità” ben articolata da Malgieri nel precedente suo saggio
Lo Stato necessario e pertanto l’esigenza per rafforzarlo di una
riforma costituzionale in senso presidenziale. Questi concetti
basilari si precisano nel saggio più recente. Di fronte al rischio
di un declino italiano Malgieri ammonisce: «Ci sono due elementi
per definire il distacco dell’Italia dal resto dell’Europa:
l’inadeguatezza delle istituzioni politiche a comprendere le
istanze partecipative e la mancata realizzazione di grandi
infrastrutture capaci di rendere il paese più dinamico, le sue
imprese maggiormente competitive, migliore la qualità della vita
dei cittadini». Vengono ricordate in proposito le grandi opere
realizzate altrove: il tunnel sotto la Manica, il ponte sul Tago
in Portogallo, le ferrovie ad alta velocità in Francia. Si
potrebbero menzionare altresì il rinnovamento urbanistico di
Barcellona in occasione delle Olimpiadi del 1992 nonché il
gigantesco piano di riabilitazione che farà di Berlino la vera
capitale dell’Europa. Si potrebbero aggiungere al quadro negativo
nazionale il colpo fatale alla modernizzazione dell’Italia
sferrato dalla rinuncia all’energia nucleare, nel clima troppo
euforico e arrogante degli anni Ottanta a cui seguiranno i
mortificanti anni Novanta, nonché il rischio ben messo in luce da
Malgieri di un’Italia “colonizzata” anche culturalmente: «A
giudicare dall’inondazione di prodotti culturali stranieri,
soprattutto d’Oltroceano, che hanno sommerso il nostro paese fino
ad essere pacificamente ed entusiasticamente adottati, soprattutto
dalle giovani generazioni, non dovrebbero esservi dubbi
sull’affievolimento dell’identità nazionale».
L’identità nazionale, la riconferma e la modernizzazione
dell’identità nazionale: ecco qual è il compito di una destra,
emarginata quando nell’arco politico maggioritario prevaleva la
convinzione che «la modernità coincidesse con una visione
progressista della storia». La “visione progressista” si è
rivelata un falso clamoroso, ma la destra fa fatica ad uscire da
un isolamento che oggi non ha più ragione di essere: «La destra
non ha mostrato quella capacità di influenza che avrebbe potuto
per l’indeterminatezza di buona parte delle sue classi dirigenti a
comprendere la lotta politica come una più complessiva battaglia
culturale il cui fine è la conquista della società civile».
Malgieri così si esprimeva prima della vittoria del centrodestra
alle elezioni politiche del 2001, ma resta attuale la
preoccupazione per l’invecchiamento e il declino dell’Italia.
Questa preoccupazione è stata attenuata e nascosta per anni da un
settore politico, che ha puntato tutto sull’europeismo, sull’idea
che l’Italia si sarebbe modernizzata nella misura in cui si
sarebbe integrata con l’Europa. Viceversa lo scacchiere europeo si
è rivelato assai più competitivo e crudele del previsto. I singoli
membri dell’Unione fanno a gara per estorcere da Bruxelles i
maggiori vantaggi a scapito degli altri soci. è una gara in cui
l’Italia ha guadagnato e contato molto meno del previsto. L’Europa
non è la balia delle nazioni europee ed ha mostrato tutto il suo
egoismo e la sua incapacità d’immaginazione di fronte alla crisi
balcanica: si è assistito allora, come osserva Malgieri, a un vero
«suicidio dell’Europa».
C’è poco da aspettarsi dall’Europa di Bruxellles: «Questa che
vediamo nascere è l’Europa dei mercanti e dei banchieri, degli
interessi particolari e dei bisogni fittizi, degli egoismi e dei
consumi: non è neppure lontanamente l’Europa dei popoli e delle
nazioni. Men che meno è l’Europa della cultura, delle identità,
delle tradizioni. è soltanto l’Europa di Maastricht appunto. Non
l’Europa di Atene, di Roma, di Vienna, di Lepanto, di Berlino. è
l’Europa degli istituti di credito, non è l’Europa dell’Alcazar,
di Versailles, di Place de la Concorde, di piazza Venceslao. Non è
insomma l’Europa della nostra memoria e non ha un’anima». Una
diagnosi dura ma realista, specialmente se si prende in
considerazione la vicenda deludente del nuovo trattato
costituzionale europeo. L’insegnamento che ne deriva è che proprio
per dare all’Europa un’anima, un’anima e un corpo direi, non si
può mandare in soffitta lo Stato nazionale, ma rafforzarlo in modo
da farne, come invita Malgieri, un robusto pilastro di un’Europa
seria.
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