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The
Right Nation.
Conservative Power in America
di John Micklethwait e Adrian Wooldridge
The Penguin Press, New York, 2004
pp. 450, $ 17,13 (su Amazon)
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La rivoluzione culturale della Right Nation
di Pino Bongiorno
[05 gen 05]
Gli Stati Uniti sono destinati a rimanere un paese
fondamentalmente conservatore. La tesi, provocatoria ma ben
argomentata e documentata, è contenuta in un ponderoso saggio,
The Right Nation (in corso di pubblicazione in italiano per i
tipi Mondadori), scritto da John Micklethwait, direttore
dell’edizione americana del settimanale inglese The Economist, e
Adrian Wooldridge, corrispondente da Washington dello stesso
giornale.
Secondo i due giornalisti, il “conservatorismo naturale
americano” – fondato sulla famiglia, il business e la fede – è
ciò che rende gli Stati Uniti un paese eccezionale, il più
secolarizzato del pianeta e nello stesso tempo il meno
indifferente ai destini nazionali, un paese visceralmente
diverso da ogni altro, anche dall’Europa, dove esistono sì
«partiti politici con programmi e idee simili ai democratici
americani», ma «non esiste nulla che sia assimilabile al
conservatorismo americano». Del resto gia Alexis de Tocqueville,
nel suo Democrazia in America del 1835, aveva riconosciuto
l’unicità americana e l’aveva attribuita alla combinazione di
tre caratteristiche fondamentali: il dinamismo individuale ed
economico, motore del progresso collettivo; la religiosità, che
trasforma l’egoismo in solidarietà e spinge alla formazione di
associazioni benefiche; il patriottismo, cioè il senso radicato
di appartenenza alla propria patria, l’imprescindibilità
dell’autogoverno, il rispetto per i principi e i valori
costituzionali.
La destra americana ha i suoi rappresentanti tipici nei
church-going patriots, patrioti che non dimenticano mai di
“santificare le feste”, considerano l’aborto un omicidio,
credono nel matrimonio e nella famiglia tradizionali, ritengono
gli affari un propellente sociale, oltre che il terreno in cui
si misurano lo spirito di sacrificio e le capacità individuali,
vogliono uno “Stato minimo” che li protegga dalle minacce di
ogni tipo ma senza sconfinare, senza tarpare le ali alla libertà
e al mercato, identificano “il nemico”, dall’11 settembre 2001,
nel terrorismo islamico, così come nel Novecento lo avevano
individuato nei totalitarismi nazista e sovietico. Questo idem
sentire ha iniziato ad attecchire negli anni Sessanta del secolo
scorso, quando i democratici kennediani, che consideravano con
disprezzo i conservatori degli Yahoos, sono stati sconfitti
culturalmente nel loro proposito di fare degli Stati Uniti una
socialdemocrazia di tipo europeo – con un’assistenza sociale per
tutti e “dalla culla alla tomba”, l’abolizione della pena di
morte – e i repubblicani di Barry Goldwater, seppure battuti da
Lyndon B. Johnson nelle elezioni presidenziali del ’64, hanno
avviato quella battaglia intellettuale e morale che è
sopravvissuta agli errori di Richard Nixon, si è giovata dei
successi su tutta la linea di Ronald Reagan e, da ultimo, ha
visto convergere neoconservatori e destra cristiana nella
coalizione che ha sostenuto George W. Bush.
Il firmamento conservatore è pieno di stelle di prima grandezza
che hanno saputo rafforzare la propria posizione culturale e dar
vita a una nuova leva di giovani e brillanti promesse. Si va da
Edwin Feulner, fondatore nel 1973 della Heritage Foundation, a
Chris DeMuth, leader dell’American Enterprise Institute, dotati
sia di estro politico, sia di capacità organizzative. Tra le
teste d’uovo, cioè tra gli intellettuali e i politologi di
riferimento, si segnalano personaggi come Max Boot, Dinesh
D’Souza, Jerry Falwell, David Frum, tutti impegnati nel gravoso
compito di conciliare i meccanismi e i valori della democrazia
con le responsabilità e i doveri della superpotenza
sopravvissuta. Notevole è anche il contributo che danno i think
tanks, i “pensatoi”, come il Cato Institute, la Hoover
Institution, l’Hudson Center, il Manhattan Institute, eccetera,
e le università, ad esempio quella umanistica di Mason del
Wisconsin. Il “movimento” dei conservatori non cederà il
testimone, a prescindere da quelli che potranno essere i
risultati elettorali dei prossimi anni. Anzi rimarrà egemone
negli Stati Uniti e l’establishment politico-culturale cui ha
dato vita, soprattutto negli anni dell’amministrazione di George
W. Bush, determinerà la vita nazionale per molto tempo ancora. |