| 
        
        La trasformazione theocon di Gioacchino Rossinidi Giuseppe Pennisi
 [14 feb 05]
 
 Mentre alla Scala si litiga ( e pare che tra breve il Sovrintendente 
        Fontana cederà le armi alle truppe di Muti), il Teatro dell'Opera di 
        Roma dopo aver chiuso in attivo il bilancio 2004 apre una nuova stagione 
        ricca e coraggiosa: venti titoli lirici, dieci balletti, per un totale 
        di circa 180 rappresentazioni. Seguendo l'impostazione data dal 
        Consiglio d'Amministrazione sono in programma, accanto ad opere dei 
        maggiori compositori italiani (due di Verdi, due di Rossini, due di 
        Puccini, una di Bellini, una di Mascagni) e stranieri (due di Mozart, 
        l'inizio di un nuovo "Ring" di Wagner) anche lavori più raramente 
        eseguiti di Stravinskij e di Massenet. Anche il cartellone dei balletti 
        mette insieme grande tradizione con innovazione. Complessivamente, un 
        cartello più coraggioso di quello de La Scala che, ora che se conoscono 
        i dettagli, si presenta, con quelli del San Carlo e de La Fenice, tra i 
        più interessanti in Italia e forse in Europa. Da sottolineare, poi, 
        l'importanza di riprendere allestimenti di rilievo (quali quello di 
        Manzù per "Oedipus Rex" di Stravinskij) invece di commissionarne dei 
        nuovi. Opera inaugurale: "Semiramide", l’ultimo lavoro commissionato da 
        La Fenice a Gioacchino Rossini. Quasi per coincidenza, La Fenice ha 
        avuto una grande idea: festeggiare il Carnevale con la "prima mondiale", 
        in veste scenica, in tempi moderni di un altro capolavoro rossiniano: la 
        versione veneziana di "Maometto Secondo". Dell'opera si dispone, sino ad 
        ora, di una rara edizione discografica dal vivo: l'esecuzione, in 
        versione di concerto al piccolo festival rossiniano di Bad Wildbad. 
        Mentre "Semiramide" fu un grande successo nel 1823 e restò in cartellone 
        per tutto l'Ottocento - era la favorita di Napoleone III e venne scelta 
        per aprire il Teatro Costanzi, "alla presenza delle Reali Maestà" nel 
        1880 - l'edizione veneziana di "Maometto Secondo" venne eseguita per il 
        giorno di Santo Stefano del 1822, ma crollò miseramente anche a ragione 
        della "non lieve indisposizione" (dicono le cronachedell'epoca) della 
        prima donna, Isabella Colbran.
 
 Nel 1822 si ebbero solo sei rappresentazioni. Non aveva avuto fato 
        migliore la prima versione di "Maometto Secondo": rappresentata a Napoli 
        il 3 dicembre 1820; mediocremente accolta dalla critica, non piacque al 
        pubblico del San Carlo, sbalordito per la carica innovativa del lavoro. 
        Rossini era fortemente affezionato a questo suo figlio così bistrattato: 
        lo rimaneggiò una terza volta , nel 1826, quando lo riciclò come lavoro 
        nuovo di zecca per l'Accadémie Royale de Musique, a Parigi.La 
        coincidenza fornisce lo spunto per alcune riflessioni tra il politico ed 
        il musicale su Rossini. Gioacchino Rossini nacque e crebbe in un 
        ambiente rivoluzionario ma diventò ben presto (per dirla con 
        un’espressione moderna) "theocon". Nel 1813 con "L'Italiana in Algeri" e 
        nel 1814 con "Il Turco in Italia", aveva mostrato un'indole tutt'altro 
        che simpatetica nei confronti dell'Islam ed una vena patriottica 
        inaudita, per un giovane musicista povero in canna ed all'inizio della 
        carriera. I tre lavori su Maometto Secondo hanno una matrice comune: la 
        tragedia di Voltaire "Mahomet ou le Fanatisme" rappresentata a Lilla nel 
        1741 e stampata qualche anno dopo con un titolo ancora più eloquente "Le 
        Fanatisme ou Mahomet, le Prophète". L'opera diventa "la sinfonia eroica" 
        di Rossini proprio in quanto al "fanatismo" di Maometto e delle sue 
        schiere viene contrapposto l'afflato di valori liberali e religiosi 
        degli europei. La contrapposizione è naturalmente ancora più forte in 
        "Le Siège de Corinthe"; il testo venne rielaborato da Luigi Balocchi e 
        Alexandre Soumet non tanto per aggiungere sinfonie, danze ed altre 
        convenzioni della piazza parigina quanto per un pubblico che faceva il 
        tifo per l'irredentismo greco (dagli ottomani) a supporto del quale 
        intellettuali e poeti europei andavano a morire.
 
 E le "turqueries" giovanili? L'aria centrale de "L'Italiana in Algeri" è 
        il motto "Pensa alla Patria!": su richiesta della censura - nel 1813 il 
        termine "Patria" non era "politically correct" - il testo dovette essere 
        cambiato in "Pensa alla sposa!". Nel "Turco" si salutano "le amiche 
        sponde" della "bell'Italia". Non solo: il protagonista, un Pascià alla 
        ricerca di un'italiana da impalmare, ce la prova tutta ma non riesce 
        proprio a comprendere l'Occidente ed a comunicare con la borghesia 
        napoletana. Nel 1829, a soli 37 anni, si mise in pensione dal teatro in 
        musica e per i quattro decenni successivi compose unicamente (poca) 
        musica sacra e i "petits riens" per pianoforte. Cosa era successo? 
        L'inaudita modernità del "Maometto" napoletano aveva sbigottito il 
        pubblico e probabilmente anche l'autore: la musica anticipava di quasi 
        cinquanta anni il superamento degli schemi formali e si articolava in 
        vaste strutture collegate da un complesso procedimento di elaborazione 
        tematica. Il mondo dei tre protagonisti occidentali (Paolo, Anna e 
        Calbo) non è ispirato unicamente al razionalismo laico alla Voltaire: si 
        respira trascendenza sia nelle preghiere degli assediati sia soprattutto 
        nel sacrificio grazie Anna al quale salva la Patria. La "rivoluzione 
        musicale" era così profonda che Rossini ebbe paura di proseguirla. 
        Successivamente andò verso altre strade: la tragédie lyrique 
        ("Semiramide", "Le Siège de Corinthe"), il grand-opéra ("Moise et 
        Pharaon" e soprattutto "Guillaume Tell") o l'opéra erotique ("Le Compte 
        Ory"). Con il "Maometto" veneziano guardò addirittura all'indietro: 
        all'opera barocca. Ancora una volta, si basa su un testo di Voltaire 
        "Sémiramis", apologo del potere assoluto e dell'oscurantismo religioso. 
        La vicenda perse le connotazioni politiche e diventò, sotto il profilo 
        musicale, l'esaltazione del rapporto passionale-carnale. Una "tragèdie 
        lyrique" che precorre il "bel canto" belliniano ed è il nesso essenziale 
        per giungere al melodramma donizzettiano e verdiano. Per questo restò in 
        repertorio nell'Ottocento ed inaugurò l'Opera di Roma nel 1880 con un 
        maggior interesse verso l’aspetto passionale rispetto a quello di 
        pensiero.
 
 14 febbraio 2005
 
        |