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                  |  | Interessi 
					nazionali: metodologie di valutazione
 a cura di Carlo Jean e Fernando Napolitano
 Franco Angeli editore, Milano, 
					2005
 pp. 103, Euro 14
 
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				Interessi nazionali e politica esteradi Daniele Sfregola
 [31 ago 06]
 
 Cosa sono gli interessi nazionali? E come possono essere definiti 
				e valutati ai fini di una concreta azione di politica estera? Il 
				libro curato dal generale Carlo Jean, docente di Studi 
				Strategici alla luiss-Guido Carli di Roma e presidente del 
				Centro Studi di Geopolitica Economica, e da Fernando Napolitano, 
				vicepresidente della Booz Allen & Hamilton, tenta di rispondere 
				a questi due non semplici quesiti. Pur nascendo come rapporto di 
				ricerca, il volume – che si avvale degli scritti dei curatori, a 
				cui si aggiungono quelli di Laris Gaiser e del professor Luciano 
				Bozzo – ha il pregio del taglio divulgativo-istituzionale, senza 
				per questo perdere in rigore scientifico. Esistono diversi 
				criteri classificatori degli interessi nazionali: per contenuto 
				(economici, territoriali, politici), per priorità, a breve o a 
				lungo termine, diretti o indiretti, storici o contingenti. E, 
				elemento tanto fondamentale quanto più o meno inconsapevolmente 
				ignorato nel dibattito sui medesimi, gli interessi nazionali 
				sono tali solo quando si è in condizione di poterli conseguire. 
				Altrimenti, per dirla con Jean: «Non si tratta di interesse, ma 
				di semplice aspirazione».
 
 Per forza di cose, pertanto, l’interesse dipende dalla capacità 
				di potere di cui si dispone e dalla priorità degli interessi che 
				a questo sottendono. E questo potere è quello dello Stato, 
				attore centrale del sistema delle relazioni internazionali, come 
				insegna la geopolitica neoclassica (Brzezinski). Pericoloso, 
				invece, sarebbe affidarsi ad una visione idealista e 
				cosmopolita. Questa pretenderebbe di subordinare gli interessi 
				particolari dei singoli attori a supposti interessi generali, 
				non riconoscendo, in siffatta maniera, il carattere competitivo 
				di questi e la possibilità di una loro scelta autonoma in 
				termini di collaborazione. Gli interessi nazionali, insomma, 
				come gli interessi individuali: un paniere di preferenze col 
				vincolo di bilancio (risorse, potenza, eccetera). Risulta quindi 
				preferibile, per rimanere col parallelo dell’economia di 
				mercato, un sistema di “anarchia internazionale” di hobbesiana 
				memoria – il libero determinarsi dell’equilibrio tra domanda ed 
				offerta – ai governi mondiali e continentali paventati da molti 
				come soluzione capace di annullare gli “egoismi nazionali” – 
				l’interventismo dai propositi altruistici e dai risultati 
				distorcenti.
 
 Lo studio esalta l’approccio glocal: «Pensare globalmente per 
				decidere localmente». Lo Stato moderno rimane geoeconomico: nel 
				mondo dell’economia e della comunicazione senza frontiere, 
				l’obiettivo di uno Stato è massimizzare l’efficienza, che 
				necessariamente significa capacità di attrarre flussi di 
				capitale umano e finanziario, sempre più volatili, in una 
				strategia di medio-lungo periodo. Particolarmente interessante, 
				in tal senso, è il capitolo di Napolitano sul rapporto tra 
				interesse nazionale e catene di valore. La politica 
				internazionale non bilancia solo pesi politico-diplomatici e 
				militari. Oggi più che mai, risulta necessario affrontare con 
				profondità analitica la realtà della competizione 
				economico-finanziaria multilevel su scala mondiale. I poli 
				d’attrazione decisivi per una politica industriale capace di 
				dare slancio all’Italia consistono nella presenza sul territorio 
				nazionale di industrie leading edge e degli headquarter delle 
				stesse – la parte alta della catena e i centri di comando e di 
				progettazione – col fine strategico di rafforzare la 
				potenzialità attrattiva del sistema-paese sia a livello esterno 
				(investimenti diretti dall’estero e così via) che sul piano 
				interno (policentricità operativa: università, centri di 
				ricerca). L’esempio di Singapore è a tal fine paradigmatico. Uno 
				Stato piccolo e privo di risorse naturali, ma con un governo 
				dotato di capacità strategica a medio-lunga scadenza, decide di 
				lanciarsi nella sfida globale per l’eccellenza nei settori degli 
				armamenti e del farmaceutico, partendo dal nulla (piccole 
				imprese produttrici, rispettivamente, di pallottole e pillole) e 
				riuscendo a diventare, in un arco temporale relativamente breve, 
				uno dei massimi fornitori mondiali di armi hi-tech e uno dei più 
				innovativi e poliedrici centri internazionali di biomedica.
 
 Le riflessioni di Napolitano risultano confermate dall’analisi 
				condotta da Bozzo col metodo matriciale ahp (Analytic Hierarchy 
				Process) per la determinazione degli interessi nazionali 
				italiani e per una loro classificazione in termini di 
				importanza. Il case study è davvero interessante: con metodo il 
				più possibile “scientifico”, si ottiene una classifica – 
				ordinata per rilevanza e in funzione di quattordici aree 
				geografiche e tre criteri: economico, socio-culturale e 
				politico-militare – degli interessi italiani nelle varie regioni 
				del pianeta. L’esperimento è assai utile per almeno due ordini 
				di motivi. Innanzitutto, permette di valutare gli interessi 
				nazionali italiani in sé, pur con la strutturale limitazione del 
				carattere tendenziale dei dati così ottenuti. In secondo luogo, 
				il modello garantisce una certa equiparabilità tra interessi 
				perseguiti nella concreta azione di politica estera e risorse 
				destinate a tale azione, col risultato di poter quantomeno 
				“quantificare” l’impegno diplomatico del paese in una 
				determinata area e per un determinato movente in raffronto ai 
				vantaggi conseguibili ed eventualmente conseguiti.
 
 Se la razionalizzazione di un concetto per definizione legato 
				anche alle sensibilità politico-ideologiche della leadership, 
				come è quello dell’interesse nazionale, è di certo impossibile, 
				lo studio dimostra come invece possibile e oltretutto 
				imprescindibile è la sistematizzazione degli stessi, non fosse 
				altro per la comprensione in tempo reale dello “stato 
				dell’azione diplomatica” del paese. Il formarsi di un 
				equilibrato vincolo tra patriottismo identitario e approntamento 
				strutturale delle capacità di appeal economico-finanziario e di 
				adeguati progetti di sicurezza militare, diventa il compito 
				essenziale dello Stato che voglia competere con successo sugli 
				scacchieri internazionali. Nonostante il tremendo ed 
				apparentemente irrisolvibile deficit di cultura strategica della 
				classe politica del nostro paese – per non dire del cieco 
				opportunismo di taluni, che riesce utile al sottacere di un 
				franco dibattito sugli interessi nazionali dell’Italia – l’unica 
				via per difendere status, prestigio e capacità di azione a 
				livello internazionale passa per i sentieri tracciati da queste 
				idee.
 
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