Quell’amore sospetto per le regole del mercato
di Nicola Porro
da
Ideazione, settembre ottobre 2005
Non vi fate ingannare: l’economia e la finanza sono materie semplici,
lineari nelle loro architetture. E le recenti questioni bancarie sono
roba semplice, anzi semplicissima. Quando, però, in questo impasto si
mescolano la politica e la magistratura, la vicenda si complica. Due
grandi banche straniere, la spagnola Bilbao e l’olandese Abn Amro, a
metà di quest’anno hanno deciso di staccare un assegno da 14 miliardi di
euro per comprarsi due malandate e sonnacchiose banchette italiane, la
Bnl e l’Antonveneta. Gli stranieri, per comodità chiamiamoli così, hanno
messo sul piatto un prezzo da capogiro. I banchieri di Madrid e
Amsterdam hanno dovuto spiegare ai propri azionisti che per controllare
una banca in Italia occorreva pagare un biglietto di ingresso: un
sovrapprezzo senza alcuna giustificazione nei conti delle società.
Ma, seguendo il filo del loro ragionamento, era un biglietto che valeva
la pena di pagare, vista l’arretratezza del nostro sistema creditizio e
considerati i margini di miglioramento dei conti delle banche da
conquistare. Si trattava, ovviamente, di una scommessa. Gli stranieri
erano infatti già presenti con quote importanti nelle due banche
italiane ma, non avendo la maggioranza, comandavano in condominio. E si
può anche dire che gli olandesi di Abn non abbiano gestito Antonveneta
in maniera brillante, confermando la loro fama più di mercanti di banche
che di banchieri tout court. Diverso discorso per gli spagnoli del
Bilbao, che si sono fatti accompagnare nella scalata da soci italiani e
di peso come Diego della Valle e le Generali.
A beneficiare di queste operazioni, i risparmiatori italiani che
avrebbero goduto di un po’ di sana concorrenza e gli azionisti di Bnl e
Antonveneta che, grazie al sovrapprezzo, si sarebbero pagati un viaggio
con i parenti alle Maldive. In potenziale difficoltà sarebbero stati,
invece, gli altri istituti di credito italiani: se la scommessa degli
stranieri fosse stata ben calcolata, avrebbero dovuto correre ai ripari.
Il governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, a cui spetta
l’autorizzazione ai cambi di proprietà nelle banche, con un piede
spingeva sul freno delle autorizzazioni a comprare degli stranieri e con
l’altro premeva sull’acceleratore per la formazione di cordate
alternative.
Di punta e di tacco ha autorizzato, stancamente, Abn e Bilbao e
agevolato, velocemente, gli italiani di Unipol e di Popolare di Lodi.
Grazie a qualche sotterfugio tecnico, gli italiani si sono così trovati
in pole position. Un peccato per il mercato, un bene per Fazio e il
sistema bancario più conservatore. Il tutto sfruttando i codicilli dei
regolamenti e gli angoli più oscuri della nostra legislazione. La
vicenda sarebbe terminata qua, con il solito refrain. È sempre stata la
bacchetta del governatore a menare le danze in Italia. Fu lui a bloccare
due scalate nel marzo del 1999 nei confronti di Capitalia e dell’allora
Comit da parte di San Paolo e Unicredito.
Fu lui a consegnare nel 2001 la bresciana Bipop a Capitalia, eliminando
le alternative straniere che si erano comunque presentate. E sempre da
via Nazionale partì la regia per estromettere dalla guida di Mediobanca
lo scomodo amministratore delegato Vincenzo Maranghi, l’unico nel
panorama creditizio italiano a non tremare davanti ai diktat di palazzo
Koch.
Invece
la partita non solo non si avvia a concludersi come da copione, ma si
preannuncia ancora infuocata. Il governatore, intercettato e pubblicato
sui giornali, rischia di vedere ridotto di molto il suo peso
istituzionale. Il fatto è che, questa volta, gli amici di Fazio hanno
toccato un filo ad alta tensione: quello di Corriere della Sera, Rizzoli
e Rcs. Chi osa avvicinarsi da quelle parti deve essere ben autorizzato.
Infatti, dal milieu dei difensori di quella baggianata che si chiama
“italianità delle banche”, sono saltati clamorosamente fuori anche gli
scalatori della Rcs.
La scalata da parte dell’immobiliarista Stefano Ricucci alla Rizzoli (di
cui è arrivato a controllare circa un quinto del capitale) è solo
apparentemente estranea al risiko bancario. Ricucci è anche un azionista
forte di Bnl ed è collegato e finanziato da Gianpiero Fiorani, numero
uno della banca Bipielle che vuole scalare Antonveneta, e intimo di
Emilio Gnutti, che ha un pezzettino di cuore in tutte le partite. Quando
si capisce, e si capisce subito, che la difesa dell’italianità di Bnl e
Antonveneta è in mano agli stessi che hanno intenzione di scalare il
Corriere della Sera, il banco salta. E con esso il suo tutore nel
sistema creditizio, Antonio Fazio.
È questa la chiave di lettura con la quale si ribaltano cinquant’anni di
protezionismo bancario. In una sorta di rincorsa che testimonia per
l’ennesima volta l’eterogenesi dei fini, l’establishment si è visto
attaccato a casa sua e, in preda al panico, ha rispolverato l’attenzione
per il mercato e per le regole, che da tempo aveva riposto. E allora si
scopre improvvisamente che Fazio è stato un giocatore e non un arbitro
della partita bancaria. Come se la doppia Opa del ’99 non avesse
rivelato la stessa cosa, come se la vicenda Bipop traghettata in Banca
di Roma non fosse della stessa pasta, come se l’estromissione di
Maranghi fosse stata decisa dai cherubini. Solo oggi si scopre quello
che tutti sanno e sapevano da anni e che le stesse banche straniere
avevano messo in conto, firmando un assegno tanto generoso proprio per
cercare di fare “un’offerta che non si poteva rifiutare”.
La capziosità del ragionamento è strabiliante. Come detto, gli stranieri
hanno offerto cifre da capogiro per le due zitelle bancarie e
altrettanto alte sono state le controfferte italiane per restare al
passo. Ebbene il mercato, fatto dai risparmiatori e dagli azionisti, ha
solo da guadagnare dalla guerra tra scalatori. Non certo l’assetto delle
regole, come al solito modellate dall’Authority di vigilanza. Ma questo
è un altro discorso. Piuttosto viene da chiedersi come mai non si sia
fatto ricorso all’argomento della difesa del mercato e dei risparmiatori
solo pochi mesi fa, durante lo scandalo delle obbligazioni Cirio prima e
dei bond Parmalat poi. Si tratta quantomeno di un’omissione di vigilanza
o di connivenza da parte delle Autorità di controllo che ha polverizzato
i risparmi di duecentomila risparmiatori.
La realtà è che con le obbligazioni ci giocano e ci perdono i
risparmiatori: tanti ma male organizzati. Con le proprietà delle banche
si toccano interessi di pochi, ma ben radicati, mentre con il Corriere
della Sera si va proprio al cuore del potere del nostro indebitato
establishment. Che tiene al giornale ben più che alla reputazione del
mercato. In questo scenario di poteri leggeri e quattrini che pesano, il
compito della magistratura è stato, come si dice, un gioco da ragazzi.
Trincerandosi dietro lo scudo dell’obbligatorietà dell’azione penale e
le interessate denunce di parte, si è arrivati perfino al paradosso di
affidare ai Palazzi di giustizia le interpretazioni contrattuali degli
oggetti sociali delle società. Sarebbe troppo comodo, come spesso si fa,
vedere nell’intervento dei pubblici ministeri, una «supplenza del ruolo
che spetterebbe alla politica».
I loro interventi a censura di comportamenti per lo meno ineleganti di
tutti gli attori coinvolti appaiono, piuttosto, chiaramente diretti a
rafforzare lo status quo. O, se si preferisce, funzionali al
mantenimento degli attuali assetti del nostro capitalismo. Che si tratti
proprio di questo, cioè di una condizione più vicina alla collateralità
con il potere che alla sua supplenza, è provato da una serie
impressionante di ipocrisie mediatiche e istituzionali. Il signor Gnutti
da Brescia, già condannato per insider trading in primo grado, diventa
ora impresentabile. Ma come azionista chiave di Telecom e della scatola
che la controlla, Olimpia, non lo è altrettanto? Quando il Gip di
Milano, poche settimane fa, lo interdice dalle funzioni per due mesi, al
Monte dei Paschi scoprono che debbono congelare la sua carica di
vicepresidente. Ma, viene da chiedersi, non bastava, giustizialismo per
giustizialismo, una condanna di primo grado, per retrocederlo nelle sue
funzioni senesi? È nell’intreccio perverso tra politica, magistratura,
media e affari che si deve dunque più correttamente inquadrare lo
scontro in corso per il controllo di Bnl e Antonveneta. Lasciamo perdere
il mercato e le sue regole.
22 settembre 2005
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