L’altra faccia dell’Europa
di Enzo Reale
da Ideazione,
settembre–ottobre 2005
Segni particolari: credono nella democrazia e nella libertà come valori
universali da proteggere e da diffondere, non sanno che farsene
dell’appeasement con dittatori e terroristi, si ostinano a voler
distinguere tra vittime e carnefici e non hanno paura di usare il
T-word, hanno nel liberalismo di matrice anglosassone la loro stella
polare, sono critici verso i vizi e le ambiguità del vecchio continente,
rifiutano il ricatto del politicamente corretto. E, come se non
bastasse, si muovono in territorio ideologicamente ostile. A chi
corrisponde l’identikit? AllaTocqueVille europea o, se preferite, ai
blog filoamericani nell’antiamericana Europa. Se il blog è una battaglia
di idee, la loro è una sfida epocale. Per molti sono solo dei
reazionari, dei guerrafondai o, quando va bene, dei folli che si sono
messi in testa di condurre e – orrore – magari anche di vincere una
guerra culturale persa in partenza. Per altri sono invece vere e proprie
avanguardie di un modo di concepire la realtà che in altri tempi e in
altri luoghi sarebbe considerato tradizionale ma che le circostanze
hanno reso anticonformista e a tratti ribelle: perché essere liberali
oggi nell’Europa del pensiero unico è un atto rivoluzionario. In un
certo senso tutti i blog sono figli dell’11 settembre e non solo per una
questione anagrafica. Il discorso politico è ormai inseparabile
dall’analisi del fenomeno terrorista e delle sue conseguenze.
I blog europei non fanno eccezione ma presentano una caratteristica
peculiare: quella di nascere e crescere nel ventre molle dell’Occidente.
Come notava Victor Davis Hanson in un articolo pubblicato su National
Review pochi giorni dopo gli attentati di Londra «Non è corretto dire
che la civiltà occidentale è in guerra contro un islamismo di stampo
medievale. In realtà, solo metà dell’Occidente ne è coinvolta, quel
ridotto segmento che considera ancora la natura umana come qualcosa di
immutato e la storia come un’eredità satura di lezioni tragiche»:
l’Europa occidentale – dopo sessant’anni di democrazia e benessere presi
in prestito e mai restituiti – fa parte dell’altra metà, di quelli che
ci son dentro ma si chiamano fuori. Dalle istituzioni comunitarie, alla
maggior parte dei governi nazionali passando per il sistema dei
mainstream media alla fine è questo il messaggio che la cittadinanza
europea riceve quotidianamente e che in genere accetta di buon grado:
molto più rassicurante coltivare l’illusione della propria inviolabilità
nell’universo parallelo delle equivalenze morali e del pacifismo utopico
che ammettere l’esistenza di un nemico. Quella dei blog liberali è anche
la storia di una reazione a questo cocktail anestetizzante preparato
dalle classi politiche e intellettuali europee. Non è facile provare a
dare la sveglia armati solo di una tastiera e di un arsenale di buone
ragioni ma può essere un’esperienza affascinante.
Controinformazione
alla tedesca
Ne sa qualcosa
David Kaspar che dalla Germania è
finito nel maggio scorso sulle pagine degli editoriali del Wall Street
Journal per aver sollevato il caso della rivista economica IG Metall
(due milioni di copie vendute) che in copertina riportava l’immagine
caricaturale di una zanzara a stelle e strisce accompagnata dal titolo:
Società americane in Germania: arrivano i succhiasangue. Quel che David
sta facendo da circa due anni è leggere la stampa tedesca e metterne in
evidenza il pregiudizio antiamericano: bersagli preferiti Der Spiegel e
Sueddeutsche Zeitung ma anche il mondo della televisione e la politica
della coalizione rosso-verde di Schröder accusata di aver condotto la
Germania all’isolamento e alla mediocrità. Anche se non tutti
raggiungono il suo livello di professionalità nella copertura critica
dei mezzi di disinformazione di massa, nessun blogger degno di questo
nome può sottrarsi al confronto giornaliero con i media. L’Europa è uno
scenario privilegiato in questo senso: quello che oltreoceano si chiama
liberal bias diventa qui, prendendo a prestito la fortunata espressione
di Jean François Revel, l’ossessione antiamericana (e per estensione
antioccidentale).
Lungi dal caratterizzare soltanto gli estremismi ideologici, il
preconcetto antiamericano è entrato gradualmente a far parte della
quotidianità tanto da non poter più essere considerato solo uno dei
molteplici aspetti del panorama informativo ma piuttosto il suo elemento
costitutivo. A volte si manifesta con attitudini chiaramente razziste
come quella descritta in precedenza, ma più spesso mostra un volto più
ambiguo e per questo più difficile da riconoscere: non è la notizia in
sé ma come questa viene data in pasto al pubblico, non è il fatto in sé
ma la selezione, la rimozione o la ricostruzione dei dati ad uso e
consumo dell’ideologia dominante. Fu proprio Der Spiegel – per esempio –
a commentare la designazione di Bush come uomo dell’anno su Time
ricordando in un editoriale che il premio era stato assegnato anche a
Hitler, Stalin e Khomeini. In un contesto del genere il blog è chiamato
a smascherare e a denunciare e poco importa se l’udienza non è quella
del telegiornale della sera: la Rete moltiplica esponenzialmente e siti
come Medienkritik sono il punto di vista della Germania che non ci sta.
I colleghi europei e americani osservano e diffondono. I mandarini a
Berlino sentono il fiato sul collo. E Schröder comincia a perdere
elezioni. Pure coincidenze, certo, ma è chiaro che dove la
disinformazione regna sovrana la controinformazione si fa informazione.
Questa è resistenza. Non è facile trovare molte altre voci anglofone e
anglofile nella blogosfera tedesca: da segnalare
Kosmoblog di Ulrich Speck, un occhio tra attualità e storia
sulla crisi dell’Europa franco-renana, e il neonato ma promettente
Anti-anti-americanism della trentaseienne Karin Quade, un
approccio più emozionale ma ugualmente efficace alla questione
antiamericana: «non la capisco né intellettualmente, né emotivamente»,
confessa l’autrice. Infine
The Atlantic Review si propone di
contribuire al superamento delle incomprensioni fra le due sponde
dell’Atlantico attraverso la rassegna stampa delle principali testate
giornalistiche. Auguri.
Resistenza liberale
in Francia e Spagna
Le oscure contrade dell’axis of weasels portano dritti alla vicina
Francia. Cambia il colore del governo ma la musica è sempre la stessa.
Nel paese che più di ogni altro si è opposto alla caduta del regime del
socio in affari Hussein, nella culla del modello sociale europeo e del
chi ha bisogno de l’Amérique, mentre i dittatori fanno la fila
all’Eliseo in nome della nuova grandeur in versione no-global, sono i
Jean-Marie Colombani e gli Ignacio Ramonet a dettare la linea. E la
società esegue, a cominciare dalla scuola. Titolo di un tema agli ultimi
esami del bac, giugno scorso: Come il potere americano è stato
contestato l’11 settembre 2001. Contestato. Bel clima. Un manipolo di
intrepidi guidano il dissenso, a partire da
No
Pasarán, blog a sei mani coordinato dall’americano di origine
danese Erik Svane. Insieme al gemello
Le
Monde Watch è un impietoso sguardo sulla realtà politica,
sociale e culturale francese negli anni dell’identità in negativo:
quella costruita in contrapposizione al cowboy americano. No Pasarán ha
inventato anche il passaggio dal reportage virtuale a quello reale: sua
l’idea di presenziare alle manifestazioni pacifiste e di documentare il
tutto – violenze verbali e fisiche incluse – sul blog.
Insomma quel che Le Monde e Libé non vi racconteranno. Sulla scia del
pensiero alternativo (in quanto liberale) incontriamo
Librenfin a
ricordarci la differenza fra tolleranza e relativismo culturale nei
rapporti con le comunità islamiche,
La Page
Libéral e
Objectif Liberté ovvero Adam Smith made
in France,
Pro-US Blog che apre con il contatore delle vite salvate e
dei rifugiati evitati dalla guerra in Iraq, fino alla casa libertaria di
Contrepoison.
A dispetto dei tentativi di normalizzazione la Francia resta un
laboratorio di idee: accanto ai blog sono sorti negli ultimi anni veri e
propri think tanks di area liberale e filoamericana come
Action
Libérale e forum come Liberaux.org. Glucksmann, Finkielkraut
e Alain Madelin, nonostante tutto, non sono soli. Lo stesso non si può
dire della Spagna dove la tradizione liberale è stata schiantata prima
dal franchismo e poi dalla reazione del populismo izquierdista. La fine
della dittatura ha consegnato alla sinistra un assegno in bianco per
riscrivere il passato e modellare la società a sua immagine e
somiglianza. Nemmeno gli otto anni di governo Aznar hanno saputo
riequilibrare la bilancia dell’egemonia culturale e oggi la Spagna si
ritrova avvolta nei fumi dello zapaterismo, ovvero
l’istituzionalizzazione della retorica antiamericana e terzomondista. Da
qui l’opposizione bulgara all’intervento alleato in Iraq, la fuga dopo
l’attentato e il cambio di governo, il terrorismo costantemente
scambiato per resistenza o guerriglia – incluso quando massacra bambini
– da mezzi di comunicazione incapaci anche solo di spiegare le ragioni
elementari di un conflitto.
Qui il blog assume una funzione didattica.
Iberian
Notes è il diaro di un americano a Barcellona, il
progressismo radical-chic vivisezionato da uno dei pochi Bush-backers in
terra catalana.
Hispalibertas fu uno dei primi blog
indigeni a farsi carico dell’esposizione di un punto di vista differente
aprendo la strada tra gli altri a
Barcepundit, la voce ufficiale della blogosfera spagnola
all’estero (anche in versione inglese) e preziosa fonte di informazione
non convenzionale sugli avvenimenti dell’11 marzo, e a
Nihil
Obstat, giornalista controcorrente della televisione catalana
e meravigliosa mosca bianca nel panorama opaco del social-nazionalismo
targato Generalitat. La comunità dei blogger spagnoli è stata forse la
prima in Europa ad aver dato vita a qualcosa di simile alla TocqueVille
italiana: Red
Liberal raccoglie i contributi di tutti coloro che non si
riconoscono nella vulgata corrente secondo cui o sei progre o sei
fascista e nel ricatto morale che la accompagna. Un cenno infine ad un
esperimento di successo,
Libertad Digital: nato dall’idea del
giornalista della radiofonica Cadena Cope, Federico Jimenez Losantos, è
un quotidiano digitale che conta ad oggi mezzo milione di accessi diari.
In poche parole è tutto quello che non troverete mai sulla stampa
tradizionale, la crepa nel muro, l’oasi nel deserto, la spina nel fianco
del governo socialista. Ospita interventi di blogger, giornalisti e
studiosi, tra cui lo storico liberale Cesar Vidal. Se il liberalismo in
Spagna ha un futuro, la sua strada passa di qui.
In Gran Bretagna
scontro a sinistra
Ma il fenomeno probabilmente più interessante si osserva in Gran
Bretagna e meriterebbe un capitolo a parte. E’ qui che una sinistra
illuminata, in sintonia con la politica di Blair, si fa interprete della
difesa dei valori democratici dell’Occidente contro ogni tentazione
relativista. Questa sinistra riconosce il carattere antifascista della
lotta contro il totalitarismo islamico e si sente tradita dalla cecità,
dall’ambiguità e dai compromessi morali di quella
pseudo-left: schiava della propria ideologia che, in nome del
pacifismo e dell’anti-imperialismo, preferisce l’abbraccio con dittatori
e reazionari della peggior specie. La blogosfera britannica riflette
perfettamente lo scontro in atto tra due anime inconciliabili del
laburismo: da una parte quella liberale, dall’altra quella sequestrata
dai George Galloway e dalle Claire Short, ispirata dall’hate speech dei
John Pilger e dei Robert Fisk, rappresentata ogni giorno dalle colonne
di un Guardian che non si fa scrupoli ad arruolare tra i suoi
editorialisti estremisti come Tariq Ali o appartenenti a vere e proprie
organizzazioni radicali come Dilpazier Aslam, licenziato solo dopo che
il suo caso divenne di dominio pubblico all’indomani delle stragi di
Londra proprio grazie a un blog, quello di
Scott
Burgess.
Norman Geras è forse il rappresentante
più autorevole della sinistra che ha capito: Professor Emeritus
all’Università di Manchester, studioso del marxismo e dell’Olocausto,
convinto sostenitore della guerra in Iraq per ragioni morali – liberare
un popolo dall’oppressione –, è autore di alcuni dei contributi più
rilevanti sulla natura della minaccia terrorista e sulle complicità
oggettive e soggettive di ampi settori delle nostre società.
In un post del luglio scorso intitolato Gli apologeti tra di noi,
scriveva tra l’altro: «Bisogna rendersene conto e dirlo chiaramente: ci
sono, tra di noi, difensori delle azioni degli assassini che rendono più
difficile la lunga battaglia necessaria per sconfiggerli». Norman Geras
è uno dei primi firmatari di un manifesto nato per iniziativa dei blog
britannici dopo gli attentati del 7 luglio:
Uniti contro il terrore si propone ci creare un movimento
globale di cittadini contro il terrorismo ed è, nelle parole di
Oliver Kamm, l’espressione di un «liberalismo consapevole
della questione politica centrale del XXI secolo. Non solo, è un appello
per la dignità umana nella convinzione che i diritti umani sono
indivisibili». Tra i sottoscrittori anche Christopher Hitchens e
Stephen
Pollard, oltre a professori universitari e attivisti per i
diritti civili. Un primo passo forse verso quella Democracy Foundation
proposta da
Alan Johnson e ispirata al discorso
sull’ideologia del male pronunciato da Blair il 16 luglio scorso. Siamo
al punto di non ritorno, spiega Alan: «Ne ho abbastanza. Mi sono
svegliato alle 7 stamattina. Alle 7,23 avevo già ascoltato due
giustificazioni del terrorismo suicida». Dall’indignazione
all’organizzazione, da blog a movimento: sarà questa la prossima
frontiera del web? Altre gemme dalla blogosfera britannica: le analisi
geopolitiche di Gregory Djerejian su
Belgravia
Dispatch, l’occhio di
Biased
BBC, sulla disonestà informativa del servizio pubblico sexed
up e gli errori nell’approccio multiculturale denunciati con notevole
spirito profetico da
Melanie Phillips.
La libertà che viene
dal freddo
Ed è proprio il multiculturalismo a declinazione islamica il tema
dominante nei blog della vicina Olanda. Su
Peaktalk Pieter
Dorsman riflette sulla realtà di un paese in cui insieme a Theo Van Ghog
è stata assassinata anche un’illusione di convivenza: magistrale il suo
dossier in continuo aggiornamento sulla vicenda del regista,
dall’esecuzione fino al processo contro l’olandese di origine marocchina
Mohammed Bouyeri. Ayaan Hirsi Ali invece non ha bisogno di
presentazioni: inserita da Time nella lista delle cento personalità più
influenti del 2005, ex musulmana nata in Somalia, è il volto della lotta
per i diritti delle donne contro il fondamentalismo. Per le sue
posizioni e per la sua attività di parlamentare è stata condannata a
morte dai fascisti islamici, proprio come Van Gogh con il quale ha
collaborato. Anche dal freddo Nord giungono sprazzi di resistenza:
Enough dalla
Danimarca con furore,
Fred og Frihed organizzatore di una
marcia pro-Bush in occasione della visita del presidente americano a
Copenhagen,
Finnpundit contro il socialismo in
salsa di renna,
Johan Norberg scrittore svedese in
difesa del capitalismo e della globalizzazione, e la feconda nidiata di
blog norvegesi capitanati dall’ottimo
Secular
Blasphemy.
Un’ultima osservazione a conclusione di questa rassegna. La
TocqueVille
europea esiste ma senza averne consapevolezza. L’indubbia qualità dei
blog liberali europei non è bastata finora a farne un referente
culturale al livello dei colleghi americani: Glenn Reynolds, Jeff
Jarvis, John Hinderaker – solo per citarne alcuni – creano opinione e
influiscono direttamente, non solo per contrapposizione, sul modo di
fare informazione nel loro paese. Le rassegne stampa raccolgono ormai il
loro punto di vista insieme a quello di Thomas Friedman o di Anne
Applebaum a testimonianza del fatto che il confine tra giornalismo e
blog in America si sta assottigliando sempre di più. In Europa questo
ancora non succede. Cosa manca? Forse un’opinione pubblica preparata e
curiosa, forse una maggior fiducia nelle proprie possibilità e un più
efficace gioco di squadra, forse solamente un Rathergate all’europea.
Tempo al tempo. In fondo l’avventura è appena iniziata.
25 ottobre 2005
Enzo Reale, titolare del blog
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