L’idealismo muscolare è il nuovo realismo
di Victor Davis Hanson
da Ideazione di gennaio-febbraio 2006
Secondo i sondaggi, la maggioranza degli americani è critica verso la
politica estera del presidente. Gli statunitensi sono perplessi non solo
per la razione quotidiana di esplosioni in Iraq, ma anche perché i
continui attacchi all’operato americano all’estero, proveniente tanto
dalla sinistra quanto dalla destra dura, hanno generato un sentimento di
condanna bipartisan e ampiamente condiviso. Persino alcuni che prima
erano favorevoli all’occupazione se la sono svignata, sostenendo che
erano d’accordo con la rimozione di Saddam Hussein, ma sono sgomenti per
quello che è accaduto dopo. O, tradotto: «Col senno di poi rimango
favorevole alla mia campagna militare quasi perfetta, ma non alla vostra
caotica ricostruzione» – come se le guerre americane del passato non
fossero state piene di errori e operazioni disordinate. Ma, nonostante
l’isteria dei media e gli indiscutibili errori di attuazione, la
Dottrina Bush sta in realtà facendo passi avanti e presto recherà i suoi
vantaggi a lungo termine. Malgrado la nostra incapacità di comunicare
chiaramente i pericoli e i fattori in gioco della guerra contro l’Islam
estremista e di chiamare a raccolta l’intero potenziale militare degli
Stati Uniti, e malgrado il fatto che i nostri confini meridionali
rimangano estremamente vulnerabili alle infiltrazioni terroristiche, ci
sono stati degli enormi progressi negli ultimi quattro anni.
Abbiamo rimosso sia il regime talebano che Saddam Hussein. Ci è costato
oltre duemila vittime americane sul campo, una grave perdita che ci
addolora, ma pari solo a due terzi del numero di civili americani uccisi
l’11 settembre del 2001, il primo giorno della guerra. Grazie alla
nostra politica, colpire i regimi canaglia all’estero restando poi per
aiutare la ricostruzione, coadiuvata da una maggiore sorveglianza
interna, gli Stati Uniti non hanno più subìto attacchi. In Iraq c’è un
governo costituzionale che avanza, se pur a fatica, e una serie di
elezioni in programma per ratifiche e emendamenti. Giustamente si parla
molto dell’intransigenza dei sunniti, ma bisogna anche dire che questa
minoranza senza petrolio e con una cattiva reputazione per aver
sostenuto Saddam o i terroristi di Zarqawi o entrambi, è stata messa in
posizione insostenibile. I religiosi li esortano a votare no alla
costituzione, mentre gli estremisti sunniti come Zarqawi minacciano di
morte chiunque si rechi alle urne. Vi sono state delle trasformazioni
anche nelle mentalità di tutta la regione. Le elezioni in Egitto, per
quanto boicottate e manipolate, sono state un avvenimento senza
precedenti e le irregolarità hanno subito dato il via a una serie di
manifestazioni di piazza. Anche altrove si sono verificati eventi non
meno significativi: la Libia e il Pakistan hanno rinunciato al commercio
nucleare, i siriani hanno abbandonato il Libano e nel Golfo si stanno
formando parlamenti rudimentali. Persino riguardo la questione
palestinese, la morte di Arafat, la costruzione da parte israeliana di
una barriera difensiva e il ritiro da Gaza e la rimozione di Saddam
hanno rafforzato i riformatori assediati nella West Bank e anche oltre.
I palestinesi si stanno gradualmente assumendo la responsabilità di
vigilare sui loro criminali, come è giusto che sia. Ovvio, non è che in
Medio Oriente stiano nascendo dei cantoni svizzeri. Stiamo assistendo,
piuttosto, ai primi tremori di un grande movimento tellurico in cui i
vecchi strati dell’estremismo islamico stanno lasciando il posto a
qualcosa di nuovo e più democratico. Gli Stati Uniti sono stati il
principale catalizzatore di questo sisma pericoloso ma atteso da fin
troppo tempo. Si sono accollati questo rischio quasi da soli; alla fine
la ricompensa consisterà in un mondo più stabile per tutti.
Si parla molto di antiamericanismo e di odio nei confronti di George
Bush. Ma ad un esame più attento, si scopre che questo furore è per lo
più limitato all’Europa occidentale, al Medio Oriente autocratico e alle
élite americane. In Europa quelli che ci criticano con più veemenza,
Jacques Chirac in Francia e Gerhard Schröder in Germania, hanno perso
molto sostegno interno e sono incalzati dai realisti, preoccupati delle
loro minoranze non assimilate e riconoscenti per la coerenza americana
nella guerra contro l’Islam estremista. L’Europa dell’Est, i giapponesi,
gli australiani e gli indiani, invece, non sono mai stati così vicini
agli Stati Uniti. La Russia e la Cina hanno solo brontolato per la
nostra guerra contro il terrorismo. Qui da noi la relativa mancanza di
consenso bipartisan è dovuta in parte alla cultura di sinistra dei
media, in parte al disordine e al risentimento di un partito democratico
all’opposizione, in parte all’incertezza sull’esito. All’estrema destra,
invece, molti vedono solo un’enorme spesa di denaro, un’eccessiva
crescita del governo e troppo Israele sullo sfondo.
Cosa ci riserva il futuro? Dobbiamo continuare a navigare stretti fra
due alternative inaccettabili, la dittatura secolare e il governo della
legge islamica, anche se sproniamo chi riceve aiuti o sostegno militare
americano, come Mubarak, Musharraf e la famiglia reale saudita, ad
introdurre delle riforme? Sul nostro territorio, se non riusciamo a
trovare una politica praticabile che metta insieme un incremento della
produzione di petrolio, di conservazione e di combustibili alternativi,
la nostra capacità di proteggerci dalle minacce internazionali comincerà
presto a venire meno. Se l’Iran o altri paesi mediorientali non
democratici avessero armi nucleari, tutto quello che abbiamo fatto
finora potrebbe essere compromesso, rendendo lo scenario ancora più
minaccioso. Cosa sarebbe successo alla fine degli anni Trenta se
l’America fosse stata dipendente dal petrolio rumeno o dal carbone
tedesco, o se avessimo scoperto che Hitler, Mussolini e Franco stavano
per ottenere armi atomiche?
Continuo a sostenere senza riserve i nostri sforzi in Afghanistan e in
Iraq e le nostre spinte per le riforme in tutto il Medio Oriente. Non
perché la Dottrina Bush segue un qualche programma neoconservatore –
considero malconcepita la lettera scritta il 28 gennaio del 1998 dal
Project for the New American Century che chiedeva la rimozione di Saddam
Hussein – ma perché, nell’era post 11 settembre, l’idealismo muscolare è
il nuovo realismo americano, l’unico antidoto all’estremismo islamico e
alle sue appendici di terrore. Invece di cercare di costruire un impero
o di ricavare vantaggi economici, o di essere spensieratamente
utopistici, la nostra attuale politica promuove la democrazia
all’estero, anche mentre ci ridimensioniamo in Germania e Corea del Sud
e ritiriamo tutte le truppe dall’Arabia Saudita. È una cosa sensazionale
e ammirevole. Come definire questa dottrina che non è né idealismo
wilsoniano né Realpolitik da guerra fredda? Chiamiamola jacksonianismo
illuminato – la determinazione a intraprendere l’azione militare
necessaria per promuovere le riforme politiche coerenti con i nostri
valori democratici quando, e solo allora, il mantenimento dello status
quo all’estero minaccia la sicurezza degli USA.
(© Commentary)
(Traduzione dall’inglese di Barbara Mennitti)
08 giugno 2006
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