Aggrego, dunque sono
di Angelo Crespi*
da Ideazione di luglio-agosto 2006
Alla vigilia delle recenti elezioni del 9 aprile, mi ero permesso di
criticare dalle colonne del Domenicale i risultati della politica
culturale dei partiti di centrodestra, sostenendo come fosse necessario
adottare – sia in caso di vittoria sia in caso di sconfitta, come poi è
stato – una nuova linea ispirata a quello che ho definito gramscismo
liberale. Un ossimoro, vero, ma che come tutti gli ossimori e i
paradossi è capace di mettere in moto un ragionamento. Il centrodestra,
dopo aver preconizzato nel 2001 la rivoluzione liberale, non è riuscito
ad attuarne se non una minima parte, ma non per incapacità progettuale,
semmai per difetto nella prassi. A ottimi intenti, di fatto, sono
seguiti pessimi svolgimenti. Così pur nella difficoltà di concepire
razionalmente un gramscismo liberale – essendo il gramscismo una teoria
del potere e il liberalismo una pratica di libertà – mi sembra che i due
termini accostati possano sintetizzare in modo efficace le linee guida
per un nuovo progetto culturale da fortificare soprattutto ora,
all’opposizione.
Prima di fornire, come richiesto dal focus di Ideazione, tre campi di
applicazione, mi sembra giusto evitare qualsiasi fraintendimento.
Puntare sul gramscismo non significa dimenticare la libertà, ma
sacrificare la libertà nella fase progettuale e nella scelta degli
uomini perché essa sia poi esaltata nei risultati. Come è stato più
volte e da più parti evidenziato, il liberalismo del governo di
centrodestra si è fermato alla prima fase. Non volendo utilizzare metodi
ampiamente sperimentati nella storia d’Italia di cooptazione e
coercizione culturale, e neppure applicando un serio spoil system, il
centrodestra ha finito per premiare uomini della vecchia nomenklatura: i
soliti scrittori, i soliti registi, i soliti cantanti, i soliti artisti,
dimostrandosi molto liberale nella scelta dei dirigenti e degli
operatori, ma illiberale nei risultati, perché in definitiva, dopo
cinque anni di governo, le politiche culturali sono rimaste saldamente
nelle mani della sinistra, con esiti nefasti in termini di libertà e
consenso. La delusione deriva da questi risultati: non perché non si è
riusciti a sostituire in toto la vecchia classe dirigente, ma perché
accanto ad essa non è stato possibile crearne una nuova.
Ed ora passiamo al cuore del focus: le priorità da affrontare.
1. Innanzitutto la formazione. Non si può pensare di invertire il segno
ad una egemonia culturale, pur declinante, se non si investe sulla
formazione. Il compito della politica ovviamente non deve essere quello
di creare geni (i geni nascono sempre in opposizione alla politica e ai
regimi), bensì di fornire la libertà perché essi possano crescere. In
soldoni: occorre smontare l’apparato precedente che si fondava solo,
come insegnava Gramsci, su una occupazione in vista di una rivoluzione.
La formazione è dunque un momento fondamentale della pratica politica.
Il centrodestra, sia nei singoli partiti che lo compongono sia
nell’eventualità di un raggruppamento unico, deve dotarsi di strutture
di formazione, sostenerle economicamente, dotarle di tutti gli strumenti
necessari. Migliaia di giovani (nelle università, nella scuole, nei
giornali, nel mondo dell’editoria e dell’arte), in potenza una nuova
classe dirigente liberale, sono stati lasciati in balia delle sirene
della sinistra che dedica loro attenzione, offrendogli prebende,
possibilità di crescita, visibilità.
2. L’informazione. In questi anni di governo pochissima attenzione è
stata data all’informazione. Mentre il mondo procedeva, il centrodestra
col solito snobismo verso il “culturame”, comunicava i risultati della
propria politica con metodi antiquati, lamentandosi comunque
dell’egemonia della sinistra nel mondo dell’informazione. Spesso anche
quando si è presentata l’occasione di incardinare propri uomini (per
esempio nella televisione pubblica) uno stolto suddito è stato preferito
a un buon amico. Per questa ragione, occorre un ripensamento del ruolo
dell’informazione e soprattutto una razionalizzazione dei mezzi pubblici
(pochi) e privati, ancora a disposizione o nell’orbita del centrodestra.
Inoltre, serve una grande riflessione sulla televisione che nella sua
duplice funzione di informatore e comunicatore non può essere lasciata
integralmente nelle mani della sinistra. È palese che la tv pubblica, e
purtroppo anche quella privata, ha mediato valori fortemente in
contrasto con i desiderata del centrodestra, risultando un mezzo di
persuasione e indirizzo infinitamente più potente della comunicazione
politica.
3. L’aggregazione. La cosa che più è mancata al centrodestra è stata la
capacità di far rete e aggregare le proprie forze culturali. Nonostante
le apparenze e le trite analisi, non si può addebitare questa colpa al
mondo intellettuale, criticando l’individualismo metodologico del
pensatore liberale o l’individualismo aristocratico del pensatore di
destra. Non è infatti questione di conculcare la libertà
dell’intellettuale che è anzi una risorsa, né il lecito individualismo o
aristocratismo che lo spinge, al contrario dall’intellettuale engagé
sempre pronto a chinarsi alle logiche di potere o della peggior
banalizzazione democraticista. Semmai davanti a un mondo culturale
giustamente competitivo e poco incline alle camarille, spetta alla
politica trovare i modi e i tempi e i luoghi perché avvenga quel
fondamentale scambio pubblico di idee che anche l’intellettuale liberale
ricerca. Spetta, insomma, alla politica per sua naturale costituzione
creare la rete affinché si moltiplichi l’incidenza sul reale del
pensiero liberale. Più che l’individualismo degli intellettuali, va
detto, ha nuociuto l’individualismo dei politici, per certi versi una
certa spocchiosa predisposizione a sostituirsi al mondo intellettuale o
a credere di poterne fare a meno.
30 agosto 2006
* direttore del settimanale di cultura il Domenicale
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