Destre europee e Zeitgeist conservatore
di Pierluigi Mennitti
da Ideazione di settembre-ottobre 2006
L’onda lunga della Right Nation è giunta in Europa. Da qualche tempo,
anche il dibattito intellettuale nel Vecchio Continente ha abbandonato
il pigro canovaccio del politicamente corretto trovando nuove chiavi per
interpretare la complessità dei tempi moderni. Anzi, chiavi antiche,
giacché è proprio dal versante conservatore, più che da quello liberale,
che giungono segnali più vivaci di analisi ed elaborazione culturale per
una riscossa ideale della civiltà occidentale. Sulla scia del dibattito
americano, anzi proprio nel momento in cui sull’altra sponda
dell’Atlantico quella miscela eterogenea ed esplosiva di neocon e teocon
sembra esaurire la spinta propulsiva, ecco che quelle idee,
sollecitazioni e interpretazioni prendono nuovo vigore qui da noi e
vengono approfondite e rilanciate alla luce della più lunga e meditata
tradizione europea. Meno enfasi sulle strategie imperiali
dell’Occidente, nessuna particolare predilezione per un continente che
abbandoni Venere per abbracciare Marte, nessun appello alle armi per
l’Europa nel conflitto con il terrorismo islamico. Ma sul piano dei
valori e dell’identità, la sfida al politicamente corretto è ormai
lanciata.
Se in Italia, anche sulla scia di una maggiore frequentazione dei think
tank americani, alcuni di questi temi sono da tempo entrati nel
dibattito culturale, dal cuore del Continente giungono novità
interessanti, lungo l’asse centrale di quella Vecchia Europa che in
fondo custodisce il faticoso senso di marcia dell’unificazione. Rapidi e
imprevisti, ad esempio, sono stati i cambiamenti del clima culturale
nella Germania di Angela Merkel (e di Joseph Ratzinger). Movimenti
maturati nel fondo della società buonista e un po’ irresponsabile della
generazione sessantottina di Gerhard Schröder e Joschka Fischer ed
emersi una volta apertasi almeno la piccola porta della grande
coalizione. Il mensile liberal Cicero, il periodico di cultura politica
più attento a captare le novità della scena berlinese, ha analizzato a
fondo il fenomeno riportandolo in un ampio dossier del numero di agosto
dal titolo inequivocabile: “Der Zeitgeist ist Konservativ”, lo spirito
del tempo è conservatore. Dalle arti al pensiero politico, dalla
letteratura alla musica fino al senso comune della società, ovunque
trionfa lo spirito conservatore. Tre le direttrici della “Reconquista”:
il piano artistico, con lo svuotamento delle avanguardie; il piano
economico, con la fine della società edonistica e il ritorno della
sobrietà; il piano politico-sociale, con la richiesta di ordine e
sicurezza legata a nuove esigenze identitarie (e religiose) anche per
confrontarsi con il radicalismo islamico, percepito adesso come pericolo
anche per la società europea. Si diffonde inoltre un sentimento
ecologico, derivato dalla consapevolezza dell’esauribilità delle risorse
energetiche e della salvaguardia del patrimonio naturale, che viene
declinato in senso conservatore e non ecologista (sul versante cattolico
Papa Benedetto XVI parla di «salvaguardia del creato»).
L’autore del lungo reportage, Juergen Busche, ci butta dentro un po’ di
tutto, con il rischio di mescolare cose e persone anche assai diverse
tra di loro, ma l’insieme è convincente. E fa impressione. Si va dal
giovane Daniel Kehlmann, autore del romanzo rivelazione La misura del
mondo (appena tradotto in italiano da Feltrinelli e premiato qualche
mese fa dalla fondazione conservatrice Konrad Adenauer) all’economista
Paul Kirchhof, il professore di Heidelberg che la Merkel aveva lanciato
in campagna elettorale per poi oscurarlo quando la sua proposta di
introduzione della flat tax fece precipitare la cdu nei sondaggi; dallo
storico Paul Nolte, autore di saggi provocatori sulla riforma dello
Stato sociale al “predicatore” Peter Hahne che dalla lezione dell’11
settembre auspica il ritorno a una società dei valori e della tradizione
condensato nello slogan “Holt Gott zurueck!”, riportiamo Dio (nella
società); dal successo del giovane musicista classico Hans Werner Henze
ai sociologi Matthias Matussek e Florian Illies, autori di libri sulla
riscoperta della patria.
Germania e patria sono un filone recente della pubblicistica nazionale.
Argomento sensibile, addirittura tabù nei decenni passati, troppo legato
alle colpe e alle tragedie del nazionalsocialismo, ha riguadagnato
interesse e spazio nell’ultimo decennio anche a seguito della
riunificazione, accompagnato a un crescente interesse per la storia del
paese. I tedeschi si accorgono che non solo di sangue e guerre è fatto
il loro passato e gli storici e i divulgatori accompagnano questo
ritrovato piacere di guardarsi indietro con libri, serie televisive,
aperture di nuovi musei sulle storie regionali, così importanti in un
paese che ha raggiunto l’unità nazionale in ritardo rispetto agli altri
grandi Stati europei. Poi il mondiale di calcio ha fatto il resto e il
tripudio inatteso di bandiere nero-rosso-oro, l’orgoglio nazionale
sublimato in undici giocatori con la maglia bianca è tracimato in
dibattiti infiniti, ma compiaciuti, sulla stampa nazionale, anche quella
di sinistra. Che poi, all’ultimo, la coppa sia finita in Italia, è un
dettaglio quasi trascurabile.
Radici cristiane, rilancio dei valori della famiglia, riscoperta del
sentimento religioso. La laicissima intellighenzia tedesca rimase
letteralmente sorpresa, un anno fa, nel misurare l’entusiasmo di tanti
suoi giovani per la giornata mondiale di Colonia e per quel Papa
bavarese così austero e tradizionalista. Oggi lo è un po’ meno nel
constatare che da settimane, ormai, il libro più venduto è Schilderungen
vom Jakobsweg, il racconto di viaggio di Hape Kerkeling lungo la via del
pellegrinaggio a Santiago di Compostela, ricco di sentimento e pathos
religioso e divenuto una sorta di Siddharta per cattolici ritrovati. Il
libro di Kerkeling è al primo posto nelle classifiche di saggistica, il
romanzo di Kehlmann guida quelle di narrativa. Due anni fa, in cima a
quelle classifiche c’era la saga anti-bushiana di Michael Moore: non c’è
dubbio che si tratti di una svolta. Talmente ampia da intaccare anche il
tempio della cultura socialdemocratica del paese, il settimanale Der
Spiegel, che da sempre misura umori e passioni della pensosa sinistra
anseatica. Cicero è drastico e dopo essersi chiesto quanto a destra sia
scivolato il magazine amburghese, conclude: con la direzione di Stefan
Aust, una cosa è certa, non è più di sinistra. L’ultima copertina sullo
scandalo dello scrittore-icona Günter Grass, con l’autore raffigurato
mentre batte mestamente sul suo tamburo di latta, sembrerebbe confermare
anche questa svolta.
Da Berlino a Parigi rimbalza poi il dibattito sulla famiglia, sul suo
valore, sulla sua riscoperta come base morale ed economica di una
moderna società europea. Aumentano i divorzi, diminuiscono i matrimoni,
nascono sempre meno bambini ma i conservatori non si danno per vinti e
rilanciano proposte concrete per politiche familiari raccordandosi anche
su questo versante con il mondo cristiano. E se in Germania il ministro
per la Famiglia della cdu Ursula von der Leyen esibisce orgogliosamente
in copertina la propria numerosa famiglia come esempio della possibilità
di realizzarsi a un tempo a casa e sul lavoro tenendo assieme tradizione
e modernità, in Francia il settimanale Courrier International dedica uno
dei suoi numeri alla riscossa conservatrice che fonde identità e valori
familiari e che, unita a un senso di patria che a Parigi si tinge sempre
di grandeur nazionale e di senso repubblicano, fanno ormai parte del
bagaglio elettorale del candidato conservatore alla presidenza, Nicolas
Sarkozy, forse il politico più brillante e passionale apparso negli
ultimi tempi sulla scena politica europea. Legge e ordine, valori
religiosi e senso repubblicano, libertà economica e riforma dello Stato
sociale sono punti cardine di un programma che mira a chiudere la lunga
e cinica stagione chiracchiana e a fondare su basi morali e civili più
solide una nuova fase del centrodestra francese.
Insomma, proprio dal cuore di un’Europa che sembrava destinata a un
declino inesorabile per la pressione economica delle grandi economie
asiatiche, per l’incapacità riformistica della proprie società, per la
marginalizzazione della sua presenza strategica, giunge una proposta
che, per alcuni aspetti e con diversi risultati, ha già sostanziato
esperienze di governo in Spagna e in Italia. Bisognerà vedere se questa
proposta, lungi dal prospettare una società chiusa che del
conservatorismo privilegia solo gli aspetti difensivi in una sorta di
riedizione dell’antico trittico Dio-Patria-Famiglia, saprà affinarsi e
calarsi nelle dinamiche di società moderne, fornendo soluzioni a tempi
complessi e non solo facili scorciatoie in un passato idealizzato. E,
soprattutto, se le classi dirigenti europee di centrodestra vorranno
adottarla, ritenendola una valida traccia su cui impostare politiche
future. Non è detto che questo accada. E se in Francia Nicolas Sarkozy
sembra offrire la sintesi finora più convincente tra istanze
conservatrici, tradizione repubblicana e riformismo liberista, proprio
in Germania, dove più robusta è la pressione del pensiero conservatore,
la cdu di Angela Merkel è assai più prudente: perché costretta a una
coabitazione impegnativa con i socialdemocratici e perché il suo
personale politico appare innanzitutto culturalmente impreparato a
cogliere “l’opportunità conservatrice”. Lo stesso si può dire per
l’Italia, dove Fini prevede per an bagni di modernità, Forza Italia
ritarda l’aggiornamento della propria proposta politica
post-berlusconiana, la Lega affoga nel populismo e il piccolo partito
cattolico dell’udc nell’eterna tentazione trasformista. Della Spagna,
neanche a parlarne. Con il paradosso di leggere, in molti paesi
d’Europa, il romanzo politico surreale di governi di sinistra al tempo
dello Zeitgeist conservatore.
13 settembre 2006
Pierluigi Mennitti, direttore di Ideazione
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