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        “In Europa col modello italiano”intervista a Gianfranco Fini di Luciano Lanna
 
 Il leader della destra italiana sembra scommettere tutto sul “modello 
        italiano” e sulla capacità di esportare in Europa la formula 
        politico-culturale che ha originato la Casa delle libertà. E’ questa, a 
        suo dire, la vera sfida per An: quella di una forza politica che dopo 
        sette anni di vita e un ruolo centrale nel governo del paese intende 
        incidere sul piano europeo. La recente nomina dello stesso Fini nella 
        Convenzione che definirà le istituzioni dell’Unione riveste in questo 
        quadro un grande significato nel tentativo di armonizzare la dimensione 
        nazionale in una Europa non solo burocratica e non solo sovranazionale. 
        Fini, inoltre, sottolinea il ruolo decisivo che la destra democratica 
        italiana può svolgere per superare le contraddizioni che nel Parlamento 
        di Strasburgo ancora impediscono la linearità di un grande e unico 
        grande schieramento alternativo alle sinistre. La ricetta? “Replicare su 
        scala europea il modello italiano di coalizione”.
 
 Alla vigilia del Congresso di Alleanza nazionale e 
        di fronte a uno scenario favorevole – sia in termini di riconoscimenti 
        interni che di legittimazione internazionale – molti osservatori si 
        pongono il problema di inviduare la specificità politico-culturale di An 
        nell’ambito della coalizione italiana di centro-destra. Quale, secondo 
        lei, è – alla luce delle radici storiche, degli orientamenti ideali e 
        del ruolo politico – la vocazione più propria del suo partito?
 
 Credo che l’identità della destra italiana, per ragioni storiche, 
        valoriali e programmatiche sia complessa, capace cioè di riassumere in 
        sé i grandi filoni della cultura politica nazionale ed europea. E’ una 
        identità con una precisa connotazione, capace di far convivere e unire 
        politicamente e programmaticamente i valori della solidarietà, della 
        coesione e della nazione. In questo contesto è chiaro lo specifico di 
        Alleanza nazionale, il suo valore aggiunto nella coalizione della Casa 
        delle libertà che governa l’Italia. Il bisogno di appartenenza, di 
        radicamento e di sicurezza, il prorompente ritorno dei popoli e delle 
        nazioni al centro dell’interesse politico delle società occidentali 
        testimoniano l’emergere di quella che si potrebbe chiamare una vera e 
        propria “voglia di destra”: un desiderio che spetta a noi sapere 
        interpretare e guidare ponendoci al centro dei grandi processi di 
        modernizzazione che la nostra società richiede a gran voce.
 
 Un partito politico rappresenta ovviamente una 
        realtà complessa ed articolata. Ma lei come definirebbe Alleanza 
        nazionale? Un partito neo-conservatore? Un partito cattolico-sociale? Un 
        partito riformista di destra? Un partito nazional-conservatore? Potrà 
        sembrarle un gioco di parole, ma forse proprio attraverso una 
        definizione orientativa e di massima si può offrire un’idea relativa al 
        ruolo ed al profilo, attuale e futuro, di An…
 
 Proprio perché la nostra è una identità complessa trovo difficile – e 
        forse anche riduttivo – appiccicare ad Alleanza nazionale una 
        qualsivoglia etichetta ideologica. Soprattutto se si tratta, come nel 
        caso di quelle appena citate, di etichette forse datate, di sintesi 
        politico-culturali più o meno nobili ma riferibili al passato: al secolo 
        scorso, al millennio che abbiamo ormai alle spalle. Forse non è ancora 
        stato ben compreso che Alleanza nazionale è nata come un grande 
        contenitore politico al quale hanno fatto riferimento esperienze e 
        filoni culturali diversi dopo il crollo delle ideologie e la fine del 
        lunghissimo dopoguerra italiano. Un contenitore che ha, tra l’altro, 
        permesso anche all’Italia di poter costruire delle fondamenta solide per 
        il bipolarismo impedendo l’affermazione di quel “bipolarismo zoppo” che 
        qualcuno sino a pochi anni fa ancora teorizzava quale frutto di un 
        confronto tra centro e sinistra.
 
 Secondo alcuni osservatori, il dibattito politico 
        e la discussione pubblica tra attori politico-culturali nel nostro paese 
        sono stati negativamente condizionati dalla rimozione che alcuni 
        soggetti politici hanno operato del proprio passato. Il riferimento 
        ricorre, in particolare, agli eredi del comunismo e agli eredi del 
        neo-fascismo, che si sarebbero limitati a mettere come una pietra sulla 
        propria storia. La domanda che scaturisce è la seguente: An ha fatto 
        realmente – e come – i conti con il proprio passato? Cosa replica a chi 
        continua a imputare al suo partito un eccesso di disinvoltura?
 
 Con una buona dose di benevolenza potrei definire “disattenti” o 
        “distratti” quegli osservatori – pochi in verità – che hanno parlato, 
        per quel che ci riguarda, di “rimozione del passato”. Potrei, ma non è 
        mio costume. E, allora, a costo di apparire ripetitivo, ribadisco che i 
        conti col passato li abbiamo fatti fino in fondo a Fiuggi nel 1995 con 
        il congresso costitutivo che ha sancito la nascita in Italia di una 
        grande forza di destra che si riconosce nella cultura europea e 
        occidentale. Una destra, cioè, coerente con i valori della libertà 
        personale e della solidarietà in generale, stabilmente ancorata ai 
        principi democratici e alle regole delle istituzioni rappresentative, 
        radicata in quel diritto naturale che al primo posto annovera la tutela 
        e la pratica della libertà come bene prezioso e irrinunciabile. Una 
        destra democratica che afferma senza timori o remore una condanna 
        esplicita, definitiva e senza appello verso l’orrore della dittatura e 
        delle dittature e verso ogni forma di antisemitismo e di anti-ebraismo 
        comunque camuffati. Una destra, infine, che bandisce ogni pregiudizio 
        quale anticamera della intolleranza. Poi, sempre agli osservatori 
        distratti, ricorderei che nel 1998 c’è stata la grande assemblea di 
        Verona dove, con la Carta dei valori, abbiamo approfondito i tratti 
        specifici di una identità politica e culturale. E dopo ancora c’è stata 
        la conferenza di Napoli con la presentazione di un dettagliato progetto 
        di governo col quale, unitamente agli amici delle altre forze della Casa 
        delle libertà, ci siamo sottoposti al giudizio degli italiani 
        ricevendone il mandato a governare. In tutti questi anni, gli atti 
        politici, le iniziative parlamentari, le decisioni operative del partito 
        e del suo gruppo dirigente sono stati assolutamente e inequivocabilmente 
        conseguenti alle scelte fatte: mi sembra la risposta migliore, 
        sicuramente la meno disinvolta e anche la più corretta a chi dovesse 
        nutrire ancora perplessità.
 
 Nel contesto del bipolarismo europeo si è parlato 
        ultimamente dell’ipotesi di un possibile ingresso di An nel gruppo del 
        Partito popolare europeo, vera e propria coalizione alternativa alle 
        sinistre che – da tempo – non è più il riferimento a Strasburgo dei 
        vecchi partiti democratico-cristiani ma, dopo il ruolo svolto dal 
        premier spagnolo Josè Marìa Aznar, è un grande contenitore di diversi 
        soggetti politici, laici e cristiani, unificati da un progetto politico 
        alternativo all’Europa socialdemocratica.
 
 Non è così. O meglio, a livello europeo non ci troviamo ancora in una 
        situazione di questo tipo perché, in realtà, nel parlamento di 
        Strasburgo non esiste ancora un bipolarismo sul modello italiano. Nel 
        parlamento europeo i partiti politici che a livello nazionale fanno 
        riferimento al centro-destra appartengono infatti a gruppi differenti 
        che non hanno ancora pensato di dar vita ad un unico schieramento comune 
        alternativo alla socialdemocrazia, pur votando in molte circostanze e su 
        temi qualificanti allo stesso modo. Alleanza nazionale, ad esempio, fa 
        già parte di un gruppo parlamentare, a Strasburgo, che lega tra loro 
        alcune delle destre democratiche europee. Allo stesso modo non si può 
        non vedere come, all’interno del Ppe, convivano ancora una serie di 
        “contraddizioni” il cui superamento non può non essere decisivo per dar 
        vita ad un unico grande schieramento alternativo alle sinistre 
        continentali. Mi riferisco ovviamente alla situazione dei partiti 
        italiani iscritti al Ppe: ad esempio, i Popolari italiani che da noi 
        sono alleati delle sinistre e in Europa, aderendo al Ppe, si trovano ad 
        essere alternativi alla socialdemocrazia. Per essere chiari: noi ci 
        poniamo come obiettivo ambizioso quello di riuscire a replicare su scala 
        europea il “modello italiano” di coalizione. Pensiamo cioè di 
        rappresentare la destra di un bipolarismo europeo nuovo, nato dalla 
        scomposizione degli attuali blocchi di centro e di sinistra che produca 
        una ricomposizione su basi più simili a quelle di un vero bipolarismo 
        tra centro-destra e centro-sinistra. E’ certamente una sfida ambiziosa, 
        ma è anche la soluzione migliore per porre fine ad ambiguità evidenti e 
        per definire così anche a livello continentale alleanze chiare ed 
        omogenee.
 
 An è, ovviamente, un partito di ispirazione 
        “nazionale”: nel suo Dna ci sono la caratteristica di essere il partito 
        dell’identità italiana e la vocazione a tutelare gli interessi nazionali 
        dell’Italia. Si tratta di una evidenza che oggi deve però coniugarsi con 
        la precisa idea d’Europa che si intende difendere. Qual è allora – anche 
        alla luce dell’importante incarico che lei riveste nella Convenzione 
        europea – il modello d’Europa che An fa proprio?
 
 Credo che L’Europa sia un progetto che si sviluppa e realizza “con i 
        popoli” e non “sopra i popoli”; un progetto di sovranità concentriche 
        imperniato, cioè, sulle istituzioni nazionali legittimate dal voto 
        popolare e sull’assemblea europea. E’ un’idea che vede gli Stati e gli 
        interessi nazionali contribuire e non ostacolare la formazione 
        dell’interesse e delle priorità europee. Penso che nessuno Stato europeo 
        debba rinunciare alla sua sovranità, o a quote di essa. Credo, al 
        contrario, che bisogna organizzare (come già sta accadendo oggi) parte 
        della sovranità dei singoli Stati insieme. Inoltre, in riferimento al 
        prossimo ingresso nell’Unione di alcune nazioni dell’ex Est, ritengo sia 
        sbagliato parlare di allargamento dell’Europa: si tratterà infatti, a 
        mio modo di vedere, di un vero e proprio ricongiungimento ai popoli e 
        Stati che per tanti anni sono rimasti vittime di un muro ideologico 
        fortunatamente e definitivamente crollato.
 
 Secondo molti osservatori il governo locale è il 
        vero banco di prova delle forze politiche. Del resto la nascita di An ha 
        avuto una grande spinta propulsiva da quando, a partire dal 1993, uomini 
        della destra sono stati eletti sindaci di città grandi e piccole. A nove 
        anni di distanza, si è oggi affermato uno specifico “modello” di 
        amministrazione portato avanti dagli uomini di An? Se sì, su quali 
        coordinate?
 
 Se devo proprio individuare una specificità riferita al lavoro che le 
        donne e gli uomini di Alleanza nazionale svolgono quotidianamente 
        all’interno delle amministrazioni locali penso certamente alla 
        trasparenza, alla serietà, alla competenza, alla tendenza alla 
        modernizzazione. Sono elementi che, man mano che aumentavano i comuni, 
        le province e le regioni amministrati da maggioranze di centro-destra, 
        abbiamo verificato essere particolarmente presenti nelle nostre fila e 
        di cui vado naturalmente orgoglioso. Oggi Alleanza nazionale può contare 
        su un patrimonio di migliaia di amministratori locali, su centinaia di 
        sindaci di città grandi o piccole, su presidenti di province e di 
        regioni: ebbene, al netto delle polemiche politiche, quel che 
        l’osservatore esterno perpecisce è secondo me una serietà di fondo, una 
        predisposizione naturale alla cura del bene comune. Anche questo fa di 
        An un grande partito e, soprattutto, per il futuro ci conferma nella 
        giustezza delle scelte politiche che abbiamo operato.
 
 Lei ha personalmente giocato un ruolo importante 
        sulla conclusione del contratto sul pubblico impiego. Il suo partito si 
        è, del resto, particolarmente distinto nell’ambito del dialogo con le 
        parti sociali, così come si è parlato molto dei suoi rapporti col 
        sindacato. Come inquadra questo ruolo nell’ambito del progetto di 
        modernizzazione dell’Italia che intende svolgere la Casa delle libertà?
 
 Il dialogo con le parti sociali è certamente un fattore di coesione. Ciò 
        tuttavia non significa ricercare ad ogni costo e in ogni circostanza 
        l’accordo sia sui singoli aspetti sia su questioni strategiche. I 
        governi di centro-sinistra hanno fallito proprio quando è stato chiaro a 
        tutti noi che alle enunciazioni sul versante della modernizzazione 
        dell’economia e del mercato del lavoro non seguiva alcun fatto concreto. 
        E ciò perché era impossibile per la sinistra superare lo scoglio del 
        sindacato di riferimento, sempre più compresso nella nicchia della 
        difesa dei tutelati/associati e sempre più sordo alle istanze e alle 
        esigenze di una società in rapida evoluzione e in attesa spasmodica di 
        nuove e migliori opportunità di lavoro e di crescita economica. Noi 
        siamo convinti che il lavoro sia una delle più alte manifestazioni della 
        vita umana attraverso cui l’individuo realizza la sua personalità. Ma 
        appunto per questo pensiamo sia necessario moltiplicare le opportunità, 
        eliminando, nei modi e nelle forme possibili, quelle rigidità che 
        comprimono la nostra economia e rendono precario il presente e il futuro 
        di intere generazioni. In un mondo in cui la flessibilità e la 
        partecipazione sostituiscono le divisioni rigide e il conflitto di 
        classe nelle imprese è necessario dotarsi di nuovi strumenti normativi, 
        ricercando ove possibile l’accordo e il consenso delle parti sociali. E’ 
        questa, se vogliamo riferirci al contingente, la linea di condotta che 
        mi è sembrata giusto assumere nelle occasioni da lei citate, col 
        consenso degli alleati e di tutto il governo.
 
 4 aprile 2002
 
 (da Ideazione 2-2002, marzo-aprile)
 
 
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