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        E l’Olanda piange il suo Pimdal nostro inviato
        
        
        Barbara Mennitti
 
 ROTTERDAM – La città di Pim Fortuyn è diventata un unico grande e 
        impressionante santuario all’aperto. Arrivati alla stazione di primo 
        mattino non abbiamo avuto bisogno di chiedere indicazioni o di 
        consultare la mappa. Ci è bastato seguire la scia ininterrotta di 
        persone che dal fioraio ci ha condotto alla villetta di Pim, come lo 
        chiamano tutti qui. Davanti alla casa del leader scomparso ci aspetta 
        uno spettacolo incredibile. Tutto il piazzale davanti alla villa, le 
        cancellate, le transenne, ogni centimetro quadrato è letteralmente 
        tappezzato di fiori, messaggi di cordoglio e bandiere. Dell’Olanda e del 
        Feyenoord, la squadra di calcio di casa che proprio mercoledì sera ha 
        conquistato, qui a Rotterdam, la Coppa Uefa. I tifosi gli han voluto far 
        sapere che la loro squadra ce l’aveva fatta.
 
 Non c’è limite alla fantasia dei visitatori: animali di peluches, 
        bottiglie di vino rosso, candele, cravatte, disegni, croci, cuori 
        gonfiabili. Uno striscione enorme: “You made us proud, because you were 
        proud of us”. Di fronte alla casa, ormai a tre giorni dall’omicidio, 
        continua a sciamare una folla attonita, quasi muta, per salutare 
        l’ultimo “eroe”. Qualcuno ha scritto che l’Olanda sembra essersi 
        risvegliata da un sogno ed è davvero l’impressione che si ha in 
        quest’atmosfera quasi surreale. Non ci sono attivisti di partito, né 
        naziskin rapati. Ci sono semplici cittadini olandesi, del paese più 
        tollerante d’Europa, costretto oggi a riflettere sui suoi metodi. E 
        anche molti stranieri: neri, asiatici, indiani; il registro dei 
        visitatori, per esempio, ci è stato porto da una signora di colore. I 
        nervi sono ancora molto scossi e qualcuno inveisce contro le telecamere 
        di una tv locale: “E’ colpa vostra, è colpa dei media. Avete creato un 
        demone e questo è il risulato”.
 
 E in effetti a trovarsi qui, nella Mathesser Laan che porta diritto alla 
        Cattedrale stracolma di gente che si sobbarca tre ore di fila per 
        l’estremo saluto, si ha davvero l’impressione che le cose non possano 
        corrispondere ai titoli dei giornali: “La risposta ce l’hai davanti agli 
        occhi”, dice Edgard, studente di 25 anni con gli occhi arrossati e 
        visibilmente turbato. “La risposta sono tutte queste persone. Pim diceva 
        solo quello che tutti pensano. Sono venuto dal sud dell’Olanda, sentivo 
        che dovevo esserci”.
 
 “Il 50 per cento degli stranieri di questa città ha votato per lui”, 
        spiega una gentile coppia di mezza età, sdegnata perché la figlia che 
        vive a Roma gli ha raccontato che la stampa italiana ha descritto Pim 
        come il Le Pen olandese: “Lui non era xenofobo, voleva solo chiudere le 
        frontiere per un po’ in modo da far stare meglio tutti quelli che sono 
        già qui”. “Ora diventerà un santo”, chiosa Edgard. E in attesa del voto 
        politico di mercoledì, il paese piange il suo Pim, il primo martire e 
        l’ultimo eroe dell’Olanda tollerante.
 
 10 maggio 2002
 
 bamennitti@hotmail.com
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