An: Niente di nuovo sotto il cielo
intervista a Marco Tarchi di Renato Tubére
Marco Tarchi, politologo e studioso della storia dei partiti italiani,
critica da analista quello che definisce “l’ecumenismo di facciata”
mostrato da Alleanza Nazionale al termine dell’ultimo Congresso di
Bologna. Docente presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università
di Firenze, si occupa dei processi di crisi nei regimi democratici e
dirige la rivista culturale Diorama, un osservatorio politico che
raccoglie le testimonianze di quegl’intellettuali delusi dalle posizioni
della destra cosiddetta ufficiale italiana ed estera in campo
socio-economico. Ideazione lo ha intervistato sugli esiti del
dopo-Bologna:
Fini esce leader indiscusso della destra
attualmente al governo dopo il congresso nazionale di Bologna, ma il
futuro di An è davvero in discesa, così come gran parte della stampa
nazionale ha scritto?
Trovo che la posizione di Alleanza nazionale all’interno della
coalizione di centrodestra resti difficile. Il calo di voti subito di
recente ne riduce il potere di ricatto nella coalizione di governo, ma
per ottenere più consensi dovrebbe puntare su argomenti più radicali e
populisti in grado di attrarre un pubblico di protesta. Così facendo,
però, complicherebbe il cruciale rapporto della Casa delle libertà con
l’elettorato centrista e rischierebbe di essere emarginata.
Probabilmente An punta sulla scomparsa dalla scena di Berlusconi – per
motivi di salute, giudiziari o d’altro genere – per riguadagnare terreno
su Forza Italia; ma è una scommessa, nel breve periodo, incerta. Non è
detto che un centrodestra guidato da Fini resterebbe compatto e verrebbe
seguito dalla totalità degli attuali simpatizzanti. E’ semmai probabile
il contrario.
Può provare a descrivere il percorso che dovrebbe
fare oggi che è al governo la destra sociale o comunitaria di Storace ed
Alemanno? Se sta sbagliando, in che cosa in particolare secondo Lei?
Non credo che nell’attuale compagine di governo la “destra sociale”
possa avere un peso consistente. Può solo esprimere dubbi su specifiche
decisioni politiche, puntare temporaneamente i piedi e così acquisire
visibilità; dal punto di vista programmatico è condannata ad andare a
rimorchio degli indirizzi neoliberisti della maggioranza. Non mi è del
resto chiaro cosa veramente questa componente di An voglia: i suoi
proclami peccano di genericità e non vanno oltre la richiesta di una
sorta di capitalismo “ben temperato” che sa tanto di anni del miracolo
economico. A tutti i suoi esponenti suggerirei caldamente di leggere con
attenzione quel che Alain De Benoist, considerato non so a quale titolo
da Gianfranco Fini musa ispiratrice di An, ha scritto in questi giorni
sulle tragiche conseguenze del liberismo sfrenato, in Francia come nel
mondo intero, e sulla sostanziale omogeneità fra i modelli economici
proposti oggi da sinistra e destra in tutta Europa: il titolo è davvero
emblematico, “tout sauf la droite”, ovvero “tutto tranne questa destra”.
Berlusconi-Fini-Bossi esponenti di un centrodestra
dai contorni più liberaleggianti o più populistici? Qual è il segreto
del successo della Cdl nel paese reale?
Il centrodestra è liberista, più ancora che liberale, nelle coordinate
ideologiche, e populista nello stile di azione. Non vi è dubbio che
questo amalgama abbia un notevole richiamo nell’Italia di oggi, imbevuta
di culto del successo individuale e di egoismo sociale, ma anche
propensa al mugugno contro i politici di professione. La prova del
governo ci dirà se alle promesse seguiranno fatti capaci di far durare
nel tempo questa attrazione.
La destra e la cultura: un rapporto difficile e
tormentato nel corso degli ultimi decenni. Quali sono le sue aspettative
come studioso della politica perché siano rese pubbliche le idee ed i
programmi di questa destra in futuro?
Le idee e i programmi della destra cominciano ad essere ben noti: fra le
risorse ottenute con l’ascesa al governo c’è una notevole e crescente
visibilità televisiva e giornalistica dei non molti intellettuali di
area, che iniziano a godere della logica lottizzatrice che hanno dovuto
subire per decenni. Che a questa maggiore presenza non corrisponda una
qualità culturale all’altezza del nuovo ruolo, mi pare indiscutibile.
Forse è l’effetto dei molti anni trascorsi in una condizione di
sudditanza psicologica determinata dall’egemonia della sinistra nei
luoghi di riproduzione del potere intellettuale. Certo è che, se dietro
l’emarginazione c’erano energie di pensiero vitali, è venuto il momento
di esibirle, affinché possano essere giudicate. Ma per ora non vedo
altro che riproposizioni scolastiche di un patrimonio culturale ormai
spremuto e incartapecorito.
Di recente lei ha auspicato la nascita di una
destra europeista e non supina di fronte agli interessi americani e più
attenta alle legittime aspettative del Terzo Settore: può farmi degli
esempi concreti di questa sua teoria?
Li farei volentieri se esistessero soggetti disposti a far proprie
queste scelte, ma l’attuale destra italiana non sa, nei fatti,
discostarsi da un atlantismo di maniera e non ha neanche il coraggio di
seguire l’Unione Europea sulla strada della concorrenza nei confronti
degli Usa (ultimo recentissimo indizio di questa divaricazione di
interessi e di prospettive: il varo del progetto tecnologico Galileo,
avversato dagli americani perché potrebbe metterne in discussione
l’egemonia in un ambito cruciale). Quanto all’attenzione al sociale, la
vedo di forma assai più che di sostanza, come l’allineamento a Forza
Italia sulle recenti vertenze in materia di Statuto dei lavoratori
dimostra.
24 maggio 2002
renatotubere@email.it
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