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        Federalismo, utopia o realtà? intervista a Luca Antonini di Renato Tubére
 
 Federalismo, panacea per tutti i mali della nostra penisola? Cresce ogni 
        giorno di più un senso di malcelato scetticismo attorno a quella che era 
        stata annunciata, in pompa magna, prima da Massimo D’Alema e Giuliano 
        Amato e adesso da Silvio Berlusconi come la madre di tutte le riforme. 
        Un inquietante segnale di disaffezione arriva ora dalla previsione sui 
        costi attuativi della riorganizzazione in senso federalista delle nostre 
        istituzioni: già oggi le Regioni, ad esempio, spendono la considerevole 
        cifra di 159 miliardi di euro l’anno per fornirsi degli strumenti 
        attuativi previsti dal Titolo Quinto della nostra costituzione, mentre 
        il semplice processo di devoluzione dei poteri dallo Stato centrale a 
        tutti gli organi periferici della nostra amministrazione pubblica 
        (Regioni, Province, Comuni e Città Metropolitane) ammonterebbe finora, 
        secondo quanto pubblicato una decina di giorni fa dall’ISAE, l’istituto 
        di ricerca economica che dipende dal Ministero del Tesoro, a ben 92 
        miliardi di euro. Se a questi dati aggiungiamo la miserevole situazione 
        in cui versano alcune regioni autonome, come la Sicilia, cui ad esempio 
        lo Stato centrale finanzia ogni anno il 57 % della spesa sanitaria 
        dimostrata, benché il locale assessorato alle Finanze abbia il diritto, 
        sancito da un’opportuna legge regionale, di trattenersi il 100 % delle 
        imposte raccolte ... beh, realizzare un federalismo condivisibile a 
        tutti i livelli da noi sembra oggi un’utopia bella e buona!
 
 Eppure, se i precedenti governi di centrosinistra avevano introdotto per 
        legge il federalismo grazie all’apprezzabile tentativo di pianificazione 
        voluto dalla riforma Bassanini, è per merito indiscutibile di certe 
        componenti politiche di centrodestra, sotto l’impulso “in primis” di 
        Umberto Bossi e di Roberto Formigoni, che questo governo provvederà al 
        lifting definitivo delle nostre istituzioni. A discuterne i principi 
        guida con noi di IDEAZIONE è il professor Luca Antonini, 39enne docente 
        di Istituzioni di Diritto Pubblico presso la Facoltà di Economia di 
        Torino, membro del Comitato scientifico della Scuola Superiore di Alta 
        Amministrazione della Regione Lombardia e consulente del Presidente 
        della Regione Piemonte Enzo Ghigo dal gennaio 2000. Lo incontriamo alla 
        conclusione delle lezioni che l’ASSO (Associazione Scuole di 
        Sussidiarietà Orizzontale), ente da lui presieduto e nato dalla riuscita 
        partnership a livello nazionale fra Fondazione Giovanni Agnelli e 
        Compagnia delle Opere, ha tenuto con notevole successo in 4 regioni 
        (Piemonte, Lombardia, Veneto e Lazio) sui vari aspetti del federalismo 
        in Italia e nel mondo.
 
 A che punto è, professore, lo stato dell’arte del 
        federalismo in Italia?
 
 E’ secondo me in una delicata fase di trasformazione culturale: stiamo 
        cioè vivendo non solo il trasferimento di competenze o poteri da un ente 
        ad un altro, ma il coinvolgimento diretto del principale beneficiario 
        del federalismo, il cittadino, attraverso la sussidiarietà. Già il 
        documento di programmazione economica e finanziaria (DPEF) 2002-2006, 
        presentato in giugno dal Governo, conteneva un’affermazione per me 
        sacrosanta, che legge in modo puntuale la vicenda di questo principio 
        nel processo di riforma che sta interessando il nostro Paese. Eccola: 
        “La devoluzione dei poteri, dallo Stato alle Regioni, non è solo il 
        trasferimento di poteri politici, ma anche apertura di vastissimi 
        settori di attività (sanità, istruzione, formazione professionale) ad 
        operatori diversi da quelli organizzati nella forma burocratica 
        classica. Con la devoluzione acquistano in specie nuove promettenti 
        opportunità nella catena della produzione dei servizi alle persone tanto 
        il mercato, quanto il mondo del Non Profit, o Terzo settore: famiglie, 
        volontariato, mutue, fondazioni, ecc. Questi operatori porteranno nuove 
        idee, nuove energie, nuovi modi di soddisfare i bisogni dei cittadini. 
        Terzo settore è un nome nuovo, per indicare una realtà sociale che in 
        realtà, da secoli, contribuisce a rendere civile il nostro Paese”.
 
 Potrebbe spiegarci brevemente il significato della 
        parola sussidiarietà?
 
 Quando parliamo di federalismo dal punto di vista economico, diciamo che 
        lo sviluppo passa attraverso il ribaltamento dei suoi principi cardine: 
        usando un’espressione anglosassone, il fulcro di ogni attività economica 
        da “top down” diventa “bottom up”, cioè “dall’alto al basso” tende a 
        diventare “dal basso all’alto”. Nell’incessante processo di cambiamento 
        della società civile, la sussidiarietà orizzontale, quella cioè non 
        imposta per legge, è quello strumento che permette all’uomo che imprenda 
        a tutti i livelli di superare la crisi dello statalismo, partecipando 
        attivamente alle politiche economiche e sociali del territorio dove 
        risiede. A rafforzare l’importanza della sussidiarietà mi permetto di 
        sottolinearne un riferimento preciso contenuto nell’art. 2 della nostra 
        Costituzione (“la Repubblica riconosce i diritti fondamentali dell’uomo 
        … sia come singolo, sia nelle formazioni sociali”).
 
 Esiste un modello di federalismo a cui l’Italia si 
        sta ispirando oggi?
 
 Esistono senza dubbio modelli economici nati già nel XIII secolo in 
        Italia e che hanno incontrato un enorme successo nelle società 
        anglosassoni: sono le fondazioni (Trusts e Charities) ed assolvono al 
        compito di finanziare in modo equilibrato la “capacità creatrice dei 
        singoli” cui spesso ha fatto riferimento la Dottrina Sociale della 
        Chiesa cattolica. Alle fondazioni, alle società di mutua assistenza e ad 
        altri enti di questo genere il legislatore italiano affiderà il delicato 
        incarico di valorizzare il federalizing process in atto in Italia, dove 
        al decentramento delle funzioni si dovrà a mio giudizio accompagnare una 
        rivisitazione dei tradizionali modelli amministrativi, spinti verso una 
        rivalutazione di quelle espressione della cittadinanza attiva che 
        trovano un’efficace sintesi nel termine “Welfare Society”. Alcune 
        Regioni applicano già questo concetto cercando altri compagni di viaggio 
        nella gestione di tutta una serie di compiti, di risposte ai bisogni 
        (perché questo sono i servizi), dal sociale fino ai trasporti o alle 
        utilitys: all’acqua, all’energia e così via. Ad esempio, in ambito 
        sociale, hanno introdotto o si apprestano a farlo, il sistema dei buoni 
        servizio o “vauchers” in materia di istruzione e assistenza (dal buono 
        scuola al buono anziano) e sono anche pervenute a soluzioni innovative 
        in tema di valorizzazione della famiglia (ad es. la l. reg. Lombardia n. 
        23 del 1999 o l’introduzione dei bonus scolastici alle famiglie in via 
        d’approvazione qui in Piemonte).
 
 Là dove il sistema privato dei servizi pubblici 
        offre risposte adeguate ai bisogni della popolazione, anche non 
        abbiente, il sistema pubblico evita di intervenire sovrapponendo le 
        proprie strutture a quelle private: è d’accordo su questa teoria e, 
        soprattutto, la trova realizzabile oggi nel nostro paese?
 
 Guardi, per dimostrarle quanto condivida il concetto appena espresso, 
        segnalerei una recente sentenza della Corte costituzionale del Land 
        Renania-Palatinato dove è stato affermato un “principio di sussidiarietà 
        rinforzata”, che potrà costituire un interessante precedente da 
        considerare nella formulazione delle disposizioni statutarie sul 
        federalismo anche qui in Italia. Nella sentenza infatti si afferma non 
        solo che l’ente pubblico non è tenuto ad intervenire quando un certo 
        servizio può essere svolto “altrettanto bene” da soggetti privati, ma si 
        precisa che il presupposto dell’intervento pubblico deve essere quello 
        di poter svolgere “meglio” dei privati quello stesso servizio.
 
 In conclusione, si può quindi affermare che un 
        reale processo di federalismo prefigura necessariamente un nuovo volto 
        della Pubblica Amministrazione?
 
 Questo si sintetizza nel passaggio da una concezione del cittadino come 
        un “controllato” della pubblica amministrazione a quella del cittadino 
        considerato come una “risorsa” della collettività regionale.
 Da parte statale sono soddisfatto dalla recente legge delega per la 
        riforma fiscale, che annuncia provvedimenti interessanti a questo 
        riguardo: si va dalla cosiddetta De Tax all’inclusione del Terzo Settore 
        nel sistema dei valori in base ai quali dovrà essere strutturato il 
        sistema delle deduzioni dall’imposta sul reddito. Si dispone infine 
        l’inserimento degli enti non commerciali nell’area dell’imposta sul 
        reddito e non più in quella dell’Irpeg, con un certo guadagno fiscale 
        per questi ultimi. Certo il percorso che noi addetti ai lavori dobbiamo 
        affrontare perché federalismo e sussidiarietà orizzontale siano fatti, e 
        non parole, è ancora lungo: ma la direzione intrapresa dai vari soggetti 
        in campo è, a mio parere, quella giusta!
 
 7 giugno 2002
 
 renatotubere@email.it
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