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        Con il Papa verso il futurodi Paolo Del Debbio
 
 Le parole, lo spirito ed il corpo ricurvo di Giovanni Paolo II, in una 
        purificazione progressiva, costituiscono, ormai, un'unità quasi 
        perfetta. Difficile è dividere in lui ciò che, normalmente, l'uomo fa 
        difficoltà ad unire nella vita: corpo, parole e spirito, appunto. E' 
        stato così in Polonia, ad agosto, nella sua terra. Era stato così a 
        Toronto, a luglio, per la Giornata mondiale della Gioventù. Come le 
        altre volte. Come era stato a Tor Vergata, alla Giornata dell'Anno 
        Santo. Al cuore va diretto Giovanni Paolo II perché il cuore, l'uomo lo 
        sa fin dall'antichità, è il punto dove sta la vita, cioè il nocciolo 
        dell'uomo e per questo Sant'Agostino diceva che la forma più alta di 
        comunicazione è quella che si rivolge al cuore: "Cor ad cor loquitur". 
        Ma tanto più parla al cuore chi nel suo linguaggio raccoglie e compendia 
        tutto se stesso. E' una meta ambita. I giovani, evidentemente, vedono e 
        sentono che il Papa venuto da lontano ha compiuto un tratto lungo di 
        questo cammino. E per questo lo cercano.
 
 Ernesto Diaco, su Avvenire, ha scritto che Cristo non chiede mai "Da 
        dove vieni?", ma sempre: "Dove vuoi andare?". E' una rappresentazione 
        efficace del pontificato di Giovanni Paolo II e una spiegazione non 
        superficiale del perché, ogni anno, a partire dal 1986 ha incontrato i 
        giovani del mondo nelle Giornate mondiali della Gioventù. Rivolgendosi 
        ai giovani in occasione dell'anno internazionale della gioventù, il Papa 
        ha indirizzato a loro una lettera apostolica, la "Dilecti amici", dove 
        si legge: "In voi c'è la speranza, perché appartenete al futuro, come il 
        futuro appartiene a voi [..]. Pertanto, la vostra giovinezza non è solo 
        proprietà vostra, proprietà personale o di una generazione: essa 
        appartiene al complesso di quello spazio, che ogni uomo percorre 
        nell'itinerario della sua vita, ed è al tempo stesso un bene speciale 
        per tutti. E' un bene dell'umanità stessa". Nel Messaggio ai giovani, 
        l'ultimo che il Concilio Vaticano II inviò al mondo, il 7 dicembre del 
        1965, si diceva che la Chiesa rappresenta la vera giovinezza del mondo. 
        "Essa possiede - scrivevano i padri conciliari - ciò che fa la forza o 
        la bellezza dei giovani: la capacità di rallegrarsi per ciò che 
        comincia, di darsi senza ritorno, di rinnovarsi e di ripartire verso 
        nuove conquiste". Il futuro come una sorta di eterno cominciamento, non 
        ancorato ad utopie impossibili, fuori dal tempo e dallo spazio, ma alla 
        speranza che pensa il futuro come un luogo dove l'umanità può 
        reinventare, sempre da capo, nuove forme e nuovi significati ancorati ad 
        un senso che non muta. Che c'è già tutto ma che può conoscersi sempre 
        più in profondità. E tutto questo avviene dentro l'uomo, e 
        particolarmente, nella sua fase iniziale, la gioventù, dove il futuro è 
        la pasta stessa di cui si è fatti e dove man mano questo futuro può 
        prendere le sembianze del presente. Sono ragioni profonde, ancorate alla 
        concezione dell'uomo del Pontefice, quelle che lo hanno spinto a ridare 
        vita a queste giornate. Non altro.
 
 I tecnici di una pretesa profondità e coloro che ritengono la 
        comunicazione, soprattutto mediatica, come la bara di qualsiasi 
        messaggio che riguardi le domande dell'uomo hanno da tempo decretato la 
        superficialità di queste manifestazioni. E' impossibile, secondo loro, 
        che questi luoghi possano ospitare domande e risposte essenziali per i 
        giovani di tutto il mondo. Anche a Toronto le critiche non sono mancate, 
        come non mancarono durante le giornate del 2000 a Tor Vergata. In molti 
        indagarono i perché questi giovano corressero così numerosi per 
        incontrare un vecchio Papa anche malato. Pochissimi si lasciarono 
        sfiorare dal sospetto che il motivo per il quale quei giovani erano lì 
        era esattamente quello dichiarato. Incontrare un uomo portatore di un 
        messaggio per loro. Non mettono nel conto la possibilità che l'incontro 
        con una persona possa rappresentare un evento. I Vangeli raccontato 
        tanti episodi di incontri, anche più fugaci delle Giornate, che hanno 
        cambiato radicalmente la vita delle persone di volta in volta coinvolte. 
        Il Vangelo di Matteo ci racconta di un incontro di Gesù con un giovane. 
        "Gesù, fissatolo, lo amò" (10, 20). Questo sguardo che riesce a offrire 
        la convinzione che chi è guardato è conosciuto e capito da chi guarda. 
        E' compreso. Ai ragazzi che ha incontrato, alcuni mesi fa, in Kazakistan, 
        il Papa ha detto: "Tu sei un pensiero di Dio, un palpito del cuore di 
        Dio". Questo incrocio di sguardi e di comprensione può avvenire in un 
        attimo nel quale chi guarda entra con l'autorevolezza del messaggio che 
        porta. E, questo, c'è chi lo ha e chi non lo ha. E' l'attimo 
        dell'intuizione mistica della presenza di qualcosa che trascende, 
        dell'Altro che per un attimo prende le sembianze dell'altro, che si 
        avverte presente in lui. Solo così trovano senso e ragione gli ultimi 
        incontri-envento del Papa.
 
 Giovanni Paolo II non perde occasione per spingere oltre. Per portare 
        sempre al di là. Per non fermarsi mai. Per cercare insieme all'uomo le 
        strade dell'umanità. Per dare senso all'esistenza. Ha paragonato le rive 
        del lago Ontario a quelle del lago di Tiberiade dove lo sguardo di Gesù 
        ha incontrato lo sguardo degli uomini, dei pescatori di quei posti, e 
        acceso la speranza così come oggi questo sguardo può "infiammare il 
        cuore di un giovane e motivare la sua esistenza". Non ci convince se non 
        si incontra chi può convincerci. In Palestina allora o in Canada oggi 
        non cambia. Nel discorso alla festa di accoglienza che si è svolta nell'Exhibition 
        Place di Toronto ha detto: " Ho ascoltato le vostre voci festose, le 
        vostre grida, i vostri canti ed ho percepito l'attesa profonda che pulsa 
        nei vostri cuori: voi volete essere felici […]. L'uomo è fatto per la 
        felicità". L'uomo è fatto per la felicità. E' un adagio antico che ci 
        porta fino ad Aristotele e al suo interprete medioevale San Tommaso d'Aquino. 
        Risuona in queste parole del Pontefice la ricerca dell'Aquinate. Ha 
        scritto il teologo Jean-Pierre Torrell: "E' proprio questa categoria che 
        Tommaso impiega per spiegare quel che è virtù. Non è un peso imposto 
        dalla natura per domarla suo malgrado a forza di ordini e di precetti 
        che essa non potrebbe che rifiutare, ma un perfezionamento ulteriore che 
        va nella linea del suo vero compimento in quanto, a causa della 
        creazione da parte di Dio, la natura è già necessariamente inclinata al 
        bene […]. Mentre un agire forzato provoca tristezza in quanto è il 
        risultato di una violenza esternamente imposta, l'agire virtuoso è al 
        contrario fonte di gioia […]. Come osserva Tommaso con una certa 
        insistenza commentando Aristotele:" e azioni compiute virtuosamente sono 
        naturalmente gradevoli. Bisogna ancora aggiungere che il diletto che se 
        ne ricava appartiene necessariamente alla virtù ed entra nella sua 
        definizione. Non si è né buoni né virtuosi si non si trova la propria 
        gioia nel ben agire". Evidentemente siamo molto lontani da pio slogan 
        fino a poco tempo fa così diffuso: solo ciò che è meritorio" (Saint 
        Thomas d'Aquin - maitre spirituel, Editions Universitaires Fribourg 
        Suisse, Fribourg, 1996).
 
 Ancora una volta l'uomo diviene il punto dal quale si parte. In quanto 
        creatura di Dio, certo, ma dotato di una struttura che contiene, 
        naturalmente, in sé alcune disposizioni di fondo in grado di renderlo, 
        appunto, felice. "L'uomo è fatto per la felicità": che può trovare 
        seguendo se stesso, nella sua natura più profonda, quella che reca in sé 
        le tracce di Dio. "La vostra sete di felicità - ha detto ancora il Papa 
        sulle rive dell'Ontario - è dunque legittima". In occasione della grande 
        veglia a Downview, Giovanni Paolo II ha detto: "Il nuovo millennio si è 
        inaugurato con due scenari contrastanti: quello della moltitudine di 
        pellegrini venuti a Roma e nel Grande Giubileo per varcare la Porta 
        Santa che è Cristo, Salvatore e redentore dell'uomo; e quello del 
        terribile attentato terroristico di New York, icona di un mondo nel 
        quale sembra prevalere la dialettica dell'inimicizia e dell'odio. La 
        domanda che si pone è drammatica: su quali fondamenta bisogna costruire 
        la nuova epoca storica che emerge dalle grandi trasformazioni del XX 
        secolo? […] La domanda ritorna: su quali basi, su quali certezze 
        edificare la propria esistenza e quella della comunità cui 
        s'appartiene?". E ha continuato:" L'attesa, che l'umanità va coltivando 
        tra tante ingiustizie e sofferenze, è quella di una nuova civiltà 
        all'insegna della libertà e della pace. Ma per una simile impresa si 
        richiede una nuova generazione di costruttori che, mossi non dalla paura 
        o dalla violenza ma dall'urgenza di un autentico amore, sappiano porre 
        pietra su pietra per edificare, nella città dell'uomo, la città di Dio. 
        Lasciate, cari giovani, che vi confidi la mia speranza: questi 
        costruttori dovete essere voi! Voi siete gli uomini e le donne di 
        domani, nei vostri cuori e nelle vostre mani è racchiuso il futuro". Non 
        oppone, il Papa, ideologia ad ideologia. Non delinea un programma che 
        questi giovani dovranno seguire per essere costruttori giusti. 
        Piuttosto, si riferisce a Cristo ma lascia la costruzione nelle mani 
        dell'uomo.
 
 Sono messaggi forti perché sono diversi da quelli che si odono 
        normalmente nelle nostre chiese. Sono messaggi che vanno al cuore: 
        distinguono la sostanza dall' "accidente" (come direbbe ancora San 
        Tommaso) e si soffermano sulla prima, indicandola come via. Una grande 
        fede, come quella che indubbiamente anima il Papa dei nostri giorni, non 
        nasconde, in lui, una grande fiducia nelle mani dell'uomo. Una fiducia 
        che gli fece indicare "l'uomo come via della Chiesa" nella sua prima 
        enciclica, Redemptor hominis. Non poteva Giovanni Paolo II, scegliere 
        una città più multietnica e multiculturale di Toronto: una metropoli di 
        due milioni e mezzo circa di abitanti dove si parlano circa 100 tra 
        lingue e dialetti e dove sono presenti 170 gruppi etnici. Ebbene, in 
        questa metropoli e per questa occasione, il Papa ha scelto un versetto 
        del Vangelo di Matteo: "Voi siete il sale della terra…Voi siete la luce 
        del mondo" (5, 13-14). La luce illumina il sale insaporisce. Nessuno dei 
        due distrugge o ingaggia anche solo una battaglia con gli elementi con i 
        quali viene in contatto. Perché, come nel caso del messaggio cristiano, 
        semplicemente non ne ha bisogno: cerca, infatti, la libertà. Come diceva 
        il poeta Holderlin: "Dio ha creato il mondo come l'oceano la terra, 
        ritirandosi". Cioè dando ad esso libertà. E così all'uomo. E così alle 
        culture. E così alle etnie. Perché è un messaggio per il senso 
        dell'esistenza che può illuminare e insaporire tutto e tutti. Pretende 
        solo il rispetto della legge minima della libertà degli uomini che 
        vivono assieme: i diritti umani. Perché quelli vengono prima di ogni 
        religione, etnia e cultura. Vengono prima perché sono con l'uomo che 
        esisteva prima del resto.
 
 La XVII Giornata mondiale della Gioventù si è chiusa con un'immagine: 
        quella del Papa sulla pedana mobile sospinto dai ragazzi. Come a dire 
        che chi ha un messaggio di salvezza trascendente non ha paura della 
        debolezza umana. Anche lui chiede che il suo corpo sia spinto perché il 
        male che lo affligge non gli consente di andare da solo dove la mente e 
        il cuore gli dicono di andare. Il futuro che spinge il futuro: il futuro 
        dei giovani che sospinge dolcemente il senso di quel futuro che 
        continuamente viene fuori con novità, con freschezza, dal vecchio Papa: 
        sempre più vecchio, sempre più stanco. Non ha avuto paura neanche ad 
        ammettere lo scandalo dei sacerdoti pedofili americani. Chi annuncia il 
        Trascendente lo fa attraverso la propria umanità e quanto più questa 
        umanità è riconosciuta dall'interlocutore, tanto più quella trascendenza 
        è avvertita come vicina. "Voi siete giovani - ha detto nell'omelia a 
        Downsview Park - e il Papa è vecchio e un po' stanco. Ma egli ancora si 
        identifica con le vostre attese e con le vostre speranze. Anche se sono 
        vissuto tra molte tenebre, sotto duri regimi totalitari, ho visto 
        abbastanza per essere convinto in maniera incrollabile che nessuna 
        difficoltà, nessuna paura è così grande da poter soffocare completamente 
        la speranza che zampilla eterna nel cuore dei giovani. Non lasciate che 
        questa speranza muoia! Scommettete la vostra vita su di essa! Noi non 
        siamo mai la somma delle nostre debolezze e dei nostri fallimenti […]". 
        Non avere paura dell'umanità, ma anzi considerarla l'unica vera risorsa 
        cui affidare le sorti del mondo. Nella libertà, come ha fatto Dio: 
        limitando la propria per creare quella dell'uomo.
 
 13 settembre 2002
 
 (da Ideazione n. 5, settembre-ottobre 2002)
 
 
 
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