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        Il richiamo primordialedi Claudio Risé
 
 In quanto fenomeno inaspettato dal potere ufficiale, e del tutto 
        deviante rispetto alla maggioranza delle previsioni delle scienze 
        sociali, la tendenza è quella di apparentare il populismo alle paure, 
        alle nevrosi, ai sintomi e manifestazioni d'angoscia individuali, e di 
        gruppo, di cui sarebbe l'espressione politica. Nel parlarne, comunque, 
        gli osservatori insistono volentieri sui tratti patologici, dei suoi 
        militanti o dirigenti. La diffidenza, sconfinante nel disprezzo, verso i 
        movimenti che si richiamano al popolo non è, d'altra parte, affatto 
        nuova. Il popolo, ed i suoi specifici modi di esprimersi, hanno sempre 
        ben rappresentato, presso storici e studiosi della politica, ciò che 
        Freud più tardi chiamerà il "perturbante" (Unheimlicht), vale a dire ciò 
        che non ci è familiare, e che turba la nostra coscienza con i tratti 
        ambigui ed inquietanti delle immagini che abbiamo respinto 
        nell'inconscio. Il popolo - come il populismo - non si esprime con 
        misura, e non si appassiona ai calcoli e misure della politica 
        ufficiale. Nihil in vulgus modicum osservava già Tacito (Annali, I, 29). 
        E Cicerone lo chiamava: "mmanius belua, l'animale più mostruoso. Con la 
        modernità, e il socialismo, la reputazione del popolo presso gli 
        intellettuali e i professionisti della politica e di chi vi si richiama 
        non migliora. Marx ammette: "quando si parla di popolo, mi domando che 
        brutto colpo si stia giocando al proletariato" (adesso che i 
        rappresentanti del proletariato, nelle loro varianti riformista e 
        autoritaria hanno governato a lungo, sarebbe il caso - osserva Michel 
        Maffesoli - di andare a vedere quanti e quali brutti tiri hanno giocato 
        ai popoli). Allo stesso modo, anche il sapere popolare non è apprezzato 
        da politici e sociologi della politica. Il buon senso popolare è 
        definito da Engels "la peggior metafisica", Durkheim ha il massimo 
        sospetto di ogni "sociologia spontanea", e Pierre Bourdieu chiama il 
        sapere popolare un "bric-à-brac di nozioni".
 
 Populismo come Ombra del potere convenzionale
 
 Il popolo ed i suoi modi di esprimersi nella storia politica sono 
        dunque, praticamente da sempre, l'Ombra rifiutata della politica 
        ufficiale occidentale, dei suoi dignitari e dei suoi tecnici. Per essi 
        il popolo, ed i suoi eventuali saperi, è qualcosa che viene 
        costantemente rimosso dalla coscienza, e ricacciato nell'inconscio. Non 
        c'è allora da stupirsi se coscienza e cultura politica dominanti siano 
        sempre colte di sorpresa, e piuttosto spaventate, quando questo popolo, 
        "rimosso" nell'inconscio, periodicamente riappare sulla scena della 
        storia, con i suoi movimenti dalle forme inquietanti. Tra i quali, 
        appunto, i "populismi", come quelli che, con aspetti e stili diversi, 
        vanno riscuotendo oggi interesse ed adesione in Europa. Dai Paesi del 
        Nord, che secondo gli stereotipi dovevano esservi alieni (e invece se ne 
        lasciano entusiasmare), ai già più compromessi (secondo quest'ottica 
        diffusa) Paesi mediterranei. Ma perché la coscienza politica ufficiale 
        rimuove sistematicamente il popolo e le sue forme espressive? La 
        notazione di Tacito (nihil modicum in vulgo), ci mette sulla strada. La 
        politica abbisogna di misure e ponderazioni, di calcoli, e il popolo vi 
        sembra tendenzialmente avverso. L'osservazione è utile soprattutto 
        perché quest'avversione al calcolo, alla misura astratta, ci porta alla 
        sostanza del discorso sul popolo e il populismo. Che è il suo legame con 
        la materia, con la materialità dell'esistenza nella sua forma più 
        elementare, non calcolata e mediata dalle convenienze intellettuali 
        (bene espresso nella rivendicazione dei vandeani di avere la propria 
        terra "sotto i piedi", mentre i parigini rivoluzionari ce l'avevano 
        "nella testa").
 
 Il popolo si richiama, senza nessun imbarazzo, agli aspetti materiali 
        della vita e ai suoi interessi. I contadini francesi ne sono un buon 
        esempio: le loro rivendicazioni contro ogni tipo di contingentamento e 
        regolamentazione, che ne danneggiasse interessi e tradizioni, sono 
        sempre state un rompicapo prima per i pianificatori di Quarta e Quinta 
        Repubblica, e poi per gli euro-burocrati. E' in questa attenzione alla 
        materialità, caratteristica da sempre di ogni populismo, che si sigla la 
        sua collocazione a pieno titolo nella post-modernità, una delle cui 
        cifre è proprio l'opposizione dell'elemento organico, corporeo, al 
        privilegio per l'ideologia che aveva caratterizzato la modernità. E' 
        questa attenzione all'organico, alla materia, al corpo che fa della 
        post-modernità il tempo dei movimenti di identità: il movimento delle 
        donne, quello delle razze e delle etnìe (il Revival etnico di cui parla 
        Anthony Smith), i movimenti omosessuali, il movimento degli uomini 
        fortissimo negli Usa dalla metà degli anni Ottanta (Farrakhan fra i 
        musulmani neri, Promise keepers in campo cristiano, i diversi men groups 
        di Robert Bly, ed altri). Nel mondo, il movimento antropologico-politico 
        che si fa portavoce di questa "conversione" alla materia, di questa 
        riscoperta del "corporeo", che è anche conversione alla propria storia e 
        passato, rispetto alla fuga nel futuro delle ideologie moderne, è quello 
        del primordialismo. Sincronicamente all'affermazione delle tendenze 
        globalizzanti, si è andato infatti affermando un altro fenomeno, 
        sinergico ad esse, appunto il primordialismo.
 
 La base epistemologica dei populismi: il 
        primordialismo
 
 Esso raccoglie e ispira tutti quei diversi orientamenti e attività 
        (dalla ricerca alla politica) che si interessano alle esperienze umane 
        riferite al legame con la nascita, la discendenza, e il luogo di nascita 
        o di provenienza ancestrale. I movimenti sopra nominati rientrano in 
        questo grande bacino per il loro riferimento al corpo, la terra, la 
        discendenza. Quest'atteggiamento, supportato dal punto di vista 
        epistemologico da filosofi della scienza come Paul Feyerabend (cfr. il 
        mio articolo "Il ritorno della guerra" in Ideazione n. 5/1999: "Dieci 
        anni dopo il muro"), ha indebolito la credibilità, anche dal punto di 
        vista scientifico, di proposte "universali", e rafforzato il movimento 
        delle diverse culture verso il recupero della propria storia, reale o 
        immaginata, verso la propria "primordialità". Il movimento ha 
        rapidamente assunto una forza, anche sul piano storico-politico, molto 
        notevole, che ha colto di sorpresa chi era rimasto legato alle 
        concezioni del sapere e della politica, tipiche della modernità. E 
        costituisce, consciamente o inconsapevolmente, una della basi 
        epistemologiche che concorrono a spiegare gli attuali populismi, a ben 
        vedere espressione essi stessi di esigenze e sensibilità "primordiali" 
        che si sovrappongono alle visioni intellettuali di poteri e tecniche 
        politiche tradizionali.
 
 E' del resto ancora questo, per certi versi, anche l'orizzonte di natura 
        primordiale (das Primordiale) cui si riferisce Husserl parlando 
        dell'orizzonte della propria particolarità (Eigenheitshorizont), che 
        definirebbe l'area e gli oggetti "familiari". Naturalmente quest'ambito 
        è in continuo mutamento, ma "il fatto che i limiti dell'orizzonte del 
        possesso di sé varino attraverso il tempo e le civiltà non invalida né 
        il fatto che gli esseri umani percepiscono oggetti come primordiali, né 
        l'efficacia significativa della categoria del primordiale". I contenuti 
        dei legami primordiali sono stati fortemente svalutati da gran parte 
        della sociologia contemporanea, omogenea e conseguente alla posizione 
        illuministica, e sono stati riassunti, dopo Talcott Parsons, nel 
        termine, "particolarismi". Più di recente, per sottolinearne la 
        ristrettezza d'ambito, la loro qualità è stata identificata con la 
        categoria dell' "emozionale". Eller e Coughlan, ad esempio, ritengono 
        che il "primordialismo è essenzialmente questione di emozione o 
        sentimento... prodotto dall'interazione sociale". Ritroviamo qui 
        l'atteggiamento del vecchio razionalismo moderno che, incurante di ogni 
        smentita dai fatti, continua ad opporre l'esperienza emozionale a quella 
        cognitiva (anche se, da Weber allo stesso Parsons si è poi lavorato 
        sulla distinzione tra emozioni cognitive ed emozioni affettive). In 
        realtà, come ha osservato opportunamente Crosby, questa posizione 
        dimentica che "le emozioni sono suscitate dalla cognizione di un 
        oggetto".
 
 Il primordialismo, che sottende oggi gran parte dei populismi, appare 
        invece come criterio cognitivo, di orientamento a valenza identitaria, 
        in base al quale: a) gli individui classificano sé e gli altri, e b) su 
        queste classificazioni formano poi gruppi, appartenenze che influenzano 
        il comportamento dei membri. Nell'identificazione di questi legami 
        primordiali hanno notevole importanza le tradizioni, e i simboli 
        originari attorno alle quali questi si organizzano: "Gruppi e 
        nazionalità etniche esistono perché ci sono tradizioni di convinzioni e 
        comportamenti che si riferiscono a oggetti primordiali, come i dati 
        biologici e soprattutto le localizzazioni territoriali" (Crosby). Il 
        primordialismo, riferimento cognitivo forte, proprio perché supportato 
        da emozioni, e insieme riferimenti simbolici, consente ai populismi di 
        opporre dei "modi di essere", delle identità, dei gusti e necessità di 
        vita (si pensi ai contenuti ecologisti in essi variamente presenti), ai 
        diversi "dover essere" proposti dalle ideologie moderne e tardo-moderne. 
        In questo modo i "popoli", o meglio gli attori del populismo mettono tra 
        sé e l'ordinamento giuridico dello Stato (o dei sovra-Stati), il filtro 
        dei legami di nascita, delle identità, dei corpi, della terra, e della 
        loro storia. Il corpo, che ama il lardo di Colonnata che ha nutrito i 
        suoi avi, ne fa un elemento di identità, di appartenenza comunitaria, di 
        guadagno economico (col suo commercio), e si unisce ad un popolo (quello 
        della zona di produzione), nell'opposizione ad una burocrazia 
        transnazionale che vorrebbe metterlo al bando in nome di un dover essere 
        di tipo igienico. Che, in effetti, potrebbe coprire qualsiasi altra 
        motivazione, compreso interessi di gruppi industriali, portatori di 
        identità meramente economiche, e non organicamente e simbolicamente 
        condivise, e quindi significative.
 
 Il populismo, rafforzato dalla base epistemologica primordialista, nega 
        che l'individuo sia riconducibile esclusivamente all'ordine dello Stato 
        e della sua legge, mettendo tra sé e l'ordinamento giuridico categorie 
        di ordine contemporaneamente materiale e trascendente: i corpi e la loro 
        sopravvivenza, le tradizioni di cultura materiale, le identità, la 
        comunità di appartenenza, la sua storia, le credenze condivise. Questo 
        atteggiamento disturba il legislatore o il politico tradizionale che lo 
        qualifica volentieri di "nevrotico", opponendogli la "sana" e razionale 
        asetticità di un regolamento comunitario. Ma, in realtà, non ha nulla di 
        patologico (come, da un punto di vista di sociologia politica, rilevano 
        anche Meny e Surel in Populismo e democrazia, il Mulino, Bologna, 2001). 
        Dalla rivendicazione di identità al delirio ce ne corre. Gli ebrei hanno 
        ridato vita a uno Stato e a una lingua, dopo duemila anni. In 
        Cornovaglia è rinato il cornico; in Occitania, l'occitanico. "Varesotto", 
        che quando ero ragazzino io era un insulto dei milanesi agli abitanti di 
        quella provincia, oggi è un distintivo per i ragazzi dell'Insubria, che 
        riscoprono radici linguistiche e simboliche insieme a una difesa 
        territoriale e di interessi. Insomma, il "popolo", è roba testarda (heady 
        stuff), che sembra sparita ma dura nei secoli. Come si rileva da una 
        serie di documenti delle Nazioni Unite, che hanno riconosciuto, per ora, 
        l'impossibilità di costruire una partizione del mondo sulla base di 
        categorie e confini puramente amministrativi, razionalmente stabiliti.
 
 Populismo mostruoso
 
 Certo, il populismo ha anche un aspetto mostruoso, come già notava 
        Cicerone, e come spiega oggi Michel Maffesoli. È mostruoso perché è 
        contradditorio, e quindi doppiamente inquietante, come un monstrum che 
        possiede nature opposte. È avido e generoso, materialista e metafisico, 
        tradizionalista e trasgressivo... Ma questa contradditorietà è 
        caratteristica del vivente, solo lo schema razionale, astratto, è 
        impeccabilmente coerente. Anche la storia, quella di lunga durata, che 
        interessava Braudel è contraddittoria, come appunto tutto il vivente. 
        Per esempio, molti si stupiscono (e, più o meno apertamente, invocano la 
        patologia), perché Pim Fortuyn, il populista olandese ucciso prima delle 
        elezioni, ipertradizionalista ed omosessuale, fosse per la libertà 
        sessuale e contro la riproduzione nelle coppie omosessuali. Ma questo 
        atteggiamento è, appunto, molto tradizionale. In Europa l'omosessualità 
        è sempre stata praticata liberamente, come un aspetto della sessualità 
        popolare; tanto che non c'era neppure la parola per definirla. Come 
        hanno mostrato Foucault, ed altri, l' "invenzione" dell'omosessualità è 
        un frutto della modernità, nasce nell'Ottocento, come la stessa parola. 
        Naturalmente però, rapporti col proprio sesso, ed eventualmente coppia 
        "omosessuale", non avevano niente a che vedere con la famiglia e con la 
        riproduzione. Tanto è vero che quando la loro diffusione metteva a 
        rischio la riproduzione del gruppo, scattavano periodi, limitati, di 
        repressione (a Firenze, Venezia, ed altrove), fino a quando il tasso di 
        natalità si normalizzava.
 
 Inoltre il populismo, come ogni aspetto del vivente, più o meno 
        mostruoso e sorprendente, è inafferrabile da ogni igienismo politologico. 
        Perché il popolo ha, tra le proprie caratteristiche, una sorta di 
        imprendibilità, uno stare per sé, che lo mette al riparo da ogni 
        condizionamento duraturo da parte del potere. Come dimostrano gli eroi 
        popolari (tra i quali eccelle Till Eulenspiegel, il mito fiammingo di 
        cui Gérard Philipe diede un'indimenticabile interpretazione 
        cinematografica alla fine degli anni Cinquanta). Il popolo finge 
        adesione al potere, ma se la riprende abbastanza rapidamente quando 
        percepisce che il potere si è fatto gioco di lui in quanto popolo, dei 
        suoi interessi materiali e dei suoi riferimenti trascendenti (si vedano 
        i grossi spostamenti di voti da un turno elettorale ad un altro, fonte 
        di tante patologie ansiose nei rappresentanti politici). Dalla 
        Rivoluzione Francese al secondo dopoguerra mondiale è sembrato - a dire 
        il vero - che la forza degli universalismi e delle ideologie moderne 
        avesse sottomesso il popolo, una volta per tutte. Ma, in particolare 
        dagli anni Novanta in poi, si è capito che non era così.
 
 Il popolo, che junghianamente potremmo vedere come una sorta di Sé della 
        comunità, in gran parte inconscio della sua esistenza, ma attivo dal 
        profondo, era sempre lì. Beffardo come Till; irriducibile a ogni logica 
        normalizzatrice, come un "complesso autonomo"; avido come un bottegaio; 
        religioso come un contadino; disincantato come una bella donna circuita 
        da tutti; appassionato come un amante. Il popolo è ancora lì, per conto 
        suo, pronto a cambiare bandiera e cavallo, e disarcionare chi in nome 
        suo lanci proclami. Alla fine, contrariamente a quanto accade 
        nell'immaginario del politico paranoico, è lui che decide, e non le 
        supertecnocrazie, o i comitati ristretti. Per questo, i populismi 
        fioriscono.
 
 27 settembre
        2002
 
 (da Ideazione 4-2002, luglio-agosto)
 
 
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