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        Il Sud sarà arbitro del proprio destinodi Domenico Mennitti
 
 Il primo ostacolo da rimuovere sulla strada del riscatto del Mezzogiorno 
        è la tendenza alla rassegnazione, celata dietro la scelta di un nemico 
        sul quale scaricare la responsabilità dell'andamento insoddisfacente 
        delle cose. Appena sono state rese note le linee della legge finanziaria 
        è scoppiata la polemica sulla povertà degli interventi previsti per il 
        Sud. Lecito denunziare delusioni e manchevolezze, purché sia chiaro che 
        la crisi del Sud data dall'unità d'Italia e con essa si sono misurate, 
        con risultati deludenti, varie generazioni di classe dirigente. Anche 
        quella del governo precedente, che ha potuto impegnare nel ministero 
        dell'economia un personaggio del livello e della competenza di Ciampi. 
        Diciamolo senza ipocrisie: il ministro del Tesoro Ciampi ha vinto sul 
        fronte dell'Europa, ma ha perduto su quello del Mezzogiorno d'Italia. 
        Tanto va puntualizzato non per indulgere al gioco mediocre dello 
        scaricabarile, ma per stabilire che il centro-destra si sta confrontando 
        con questo delicatissimo caso in una fase che non si può certo definire 
        di vacche grasse. Siamo in presenza di una situazione complessa, dalla 
        quale emerge che le condizioni del Sud sono allarmanti, che il governo 
        non ha inventato strumenti nuovi per affrontarle, ma pure che la classe 
        dirigente meridionale ha smarrito la consapevolezza che la battaglia del 
        rilancio, per quanto difficile, si deve combattere perché la si può 
        ancora vincere.
 
 C'è l'attualità da gestire, ma per le rivendicazioni sul presente ci 
        sono le sedi ed i soggetti legittimati ad intervenire: infatti qualche 
        mese fa, sul tema del bonus fiscale, il governo, messo alle strette 
        dalle organizzazioni sindacali e di categoria, trovò una 
        soluzione-tampone, alla quale la legge finanziaria sta cercando di dare 
        una sistemazione più strutturale. Ora però c'è bisogno di una 
        mobilitazione intelligente degli interessi meridionali, perché c'è un 
        altro piano sul quale il Mezzogiorno paga lunghi silenzi ed inerzie, che 
        diventano più gravi in fasi di recessione: è quello della progettualità 
        propria, dell'analisi sui cambiamenti intervenuti, sulle prospettive 
        concrete che scaturiscono dalla nuova organizzazione geopolitica 
        dell'Europa, sul superamento degli schemi sui quali si disegnò e si 
        svolse l'intervento straordinario.
 
 Invochiamo perciò sedi ed occasioni di studio, di partecipazione, di 
        dibattito. Una comunità, che comprende venti milioni di cittadini, conta 
        per quello che esprime non per quello che chiede le venga generosamente 
        concesso. La scarsa disponibilità delle risorse ha reso impraticabile la 
        prassi di investire senza un obiettivo, nella speranza che emergano 
        blocchi di interessi meritevoli di sostegno. Ora il processo deve essere 
        invertito, nel senso che il fenomeno sociale deve precedere quello 
        politico e ciò significa che dovrà contare il valore dei progetti, la 
        creatività degli uomini, il peso delle classi dirigenti.
 
 La questione settentrionale scaturì dagli studi di alcuni centri 
        culturali del Nord ed in particolare della Fondazione Agnelli. L'entità 
        territoriale della Padania fu individuata in quegli ambienti, che sono 
        stati pure i luoghi di incubazione del fenomeno politico della Lega. 
        Sono almeno vent'anni che la questione meridionale si è caratterizzata 
        per i suoi aspetti più inquietanti, primo fra tutti la criminalità 
        organizzata: le conseguenze sono state la perdita di potere politico 
        centrale della classe dirigente e la caduta di attenzione per la 
        questione meridionale, considerata non più nazionale, ma marginale. Una 
        sorta di peso di cui l'altra parte del paese non ha più voglia di farsi 
        carico. Il Sud ha vissuto questo lungo tempo subendo l'offensiva che 
        l'ha rappresentato come l'area del malaffare, dello sperpero, del 
        personale politico scadente; soggetto perciò a minacce di secessione che 
        per anni sono state ventilate come ipotesi concretamente realizzabili. 
        Nel Mezzogiorno si è operato con la preoccupazione che la debolezza 
        politica ed economica potesse produrre effetti negativi irrecuperabili; 
        perciò la partita è stata giocata soprattutto sul piano della gestione 
        residuale dei vecchi incentivi, riducendo la vertenza ad una sorta di 
        questione ragionieristica avulsa dalla grande tradizione di pensiero che 
        ha suggerito anche interventi strutturali che sarebbe errato valutare in 
        blocco fallimentari.
 
 Peraltro abbiamo varcato la soglia dell'Europa: l'ingresso prossimo 
        nell'Unione di altri dieci paesi è un evento che coinvolge direttamente 
        il Mezzogiorno d'Italia, perché vanno valutati gli effetti che 
        l'allargamento produrrà: da un lato la perdita di sussidi per le aree 
        economicamente depresse, quelle che rientrano nel famoso "obiettivo 
        uno"; dall'altro le opportunità di commerci con aree di mercato che 
        diventeranno più accessibili. Gli studi già predisposti dall'Unione 
        indicano che solo la Calabria manterrà la propria posizione all'interno 
        dell'area "obiettivo uno", mentre Puglia, Campania, Molise e Basilicata 
        saranno automaticamente promosse, ma soltanto a causa dell'ingresso di 
        zone ancora più povere. Il ritardo dell'ingresso di Romania e Bulgaria 
        (posposto dalla Commissione a non prima del 2007) potrà forse migliorare 
        qualche dettaglio, non la situazione complessiva. Sono perciò certe le 
        conseguenze negative e tutte da costruire le opportunità di sviluppo, 
        per cogliere le quali pressante è l'esigenza di accedere a fonti nuove 
        di conoscenza e di organizzazione. L'accesso ai nuovi mercati, ad 
        esempio, richiede la valutazione corretta dei mutati equilibri 
        geopolitici del continente e, sul piano interno, la promozione di 
        iniziative che rafforzino il sistema delle imprese sui fronti della 
        finanza, delle infrastrutture, della cultura, intesa come capacità di 
        conoscenza anche dei rapporti internazionali.
 
 La Fondazione Ideazione punta a recuperare la dimensione della 
        conoscenza, a ricondurre il confronto sul piano della progettualità, ad 
        offrire sedi ed occasioni di studio, di analisi, di proposizione. Con 
        questo spirito a Bari sarà illustrato al governo centrale (rappresentato 
        dal vice-ministro Miccichè) ed a quelli delle regioni e degli enti 
        locali (rappresentati dai rispettivi presidenti) un documento 
        predisposto da un comitato di studiosi, di esperti, di operatori. Non 
        siamo afflitti dal vezzo intellettuale di spiegare ai politici come si 
        fa la politica né agli imprenditori come si esercita la loro 
        professione: l'intento è di offrire alla comunità "materiali di 
        costruzione", idee e proposte che possano aiutare a decidere quanti 
        hanno il compito istituzionale di assolvere a questa funzione.
 
 Una riflessione prima di chiudere. A Bari si sarebbe dovuto svolgere 
        nell'ambito delle manifestazioni organizzate dalla Fiera del Levante un 
        dibattito fra i presidenti delle regioni meridionali. L'incontro non c'è 
        stato, perché - è la tesi ufficiale - alcuni presidenti erano occupati 
        in altre incombenze. L'appuntamento annullato è passato senza suscitare 
        scandalo e neppure qui vogliamo crearne. Però il fatto che sei 
        presidenti non trovino modo di far coincidere gli impegni per discutere 
        della loro maggiore incombenza in occasione della manifestazione 
        fieristica più importante del Sud è indicativo dello stato delle cose. 
        Qui l'asse Tremonti-Bossi non c'entra. Perciò rimbocchiamoci le maniche 
        e ricominciamo a lavorare, a pensare, a scrivere. E' più serio e più 
        utile.
 
 11 ottobre 2002
 
 domenico@mennitti.it
 
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