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        “Una proposta? Incentivi per gli investimenti 
        alle imprese”intervista a Massimo Lo Cicero di Cristiana Vivenzio
 
 E’ divenuto cronaca quotidiana il botta risposta tra governo, parti 
        sociali e organi costituzionali sulla politica per il rilancio dello 
        sviluppo del Mezzogiorno. Tra timori di recrudescenze di un recente 
        passato assistenzialista (e improduttivo) e l’incapacità di dare 
        risposte adeguate ai problemi del Sud le proposte dell’esecutivo 
        passeranno al vaglio della Camera non senza suscitare critiche e 
        polemiche anche all’interno della stessa maggioranza. Il documento 
        programmatico per il Mezzogiorno della Fondazione Ideazione che sarà 
        presentato a Bari tra i suoi promotori porta un capofila, Massimo Lo 
        Cicero. Professore di economia all’Università di Roma-Tor Vergata, Lo 
        Cicero è anche il direttore scientifico dell’Osservatorio per il 
        Mezzogiorno istituito presso la Fondazione.
 
 Professore, qual è a suo avviso la logica di fondo 
        che ha guidato le scelte del governo?
 
 Con il Dpef il governo mostra di voler sostenere i consumi interni e non 
        gli investimenti. E mostra di ritenere più espansiva l’attribuzione 
        della capacità di spesa alle famiglie rispetto alla titolarità di quella 
        decisione da parte della pubblica amministrazione. Resta da capire 
        quanto la disponibilità a spendere delle famiglie a basso reddito sia 
        sensibile alla riduzione della relativa aliquota di imposta.
 
 E le politiche per il Mezzogiorno come si 
        inseriscono in questo quadro tracciato dal Disegno di programmazione 
        economica e finanziaria?
 
 Il Mezzogiorno rappresenta, in questo contesto, un problema che non 
        viene affrontato e non un problema che non viene risolto. Il Mezzogiorno 
        è un sistema economico che non riesce ad attivare la propria capacità 
        produttiva in termini efficienti e lascia, quindi, disoccupate sia le 
        proprie risorse umane che le proprie risorse finanziarie: larga parte 
        dei depositi bancari del Mezzogiorno non si trasforma, infatti, in 
        impieghi per le imprese di quell’area.
 
 Sembra esserci una patologia dell’economia 
        meridionale di cui si leggono i sintomi senza disporre, ancora, né di 
        una diagnosi attendibile né di una terapia adeguata…
 
 Tre circostanze oggettive, che sono state esposte nel documento per il 
        Mezzogiorno, rallenterebbero la messa in efficienza della “macchina 
        produttiva” meridionale: per primo il basso grado di integrazione 
        internazionale delle imprese esistenti; in secondo luogo l’inesistenza 
        di banche che abbiano nel Mezzogiorno il proprio “nocciolo duro” in 
        termini di proprietà e radicamento sociale del top management; infine, 
        una stagione di bassa congiuntura e di persistente depressione nel breve 
        termine che non consente di affrontare problemi di recupero strutturale 
        della propria inadeguatezza economica né di cimentarsi, facilmente, con 
        obiettivi di recupero dei divari di benessere e dei divari di 
        produttività che pesano sull’economia meridionale.
 
 La preoccupazione comunque è generale. Sia a 
        livello istituzionale – mi riferisco all’intervento diretto del 
        presidente Ciampi di qualche giorno fa – sia le parti sociali hanno 
        levato una voce decisa in favore di una politica specifica per il Sud…
 
 Il presidente Ciampi ha ricordato il problema, misurando egli stesso dal 
        grado di disoccupazione l’ampiezza e la gravità sociale del fenomeno, ed 
        ha indicato una terapia intelligente e necessaria che, tuttavia, non è 
        ancora sufficiente: il ricorso più tempestivo ai fondi ed alle 
        provvidenze messe a disposizione dalla politica regionale europea. Quei 
        fondi non si possono attivare se non in presenza di un cofinanziamento 
        da parte della finanza pubblica nazionale: cofinanziamento che, in tempi 
        di stretta fiscale, non si può attivare se non nelle forme spurie della 
        “sponda” con le spese ordinarie della pubblica amministrazione. 
        L’obiettivo di una maggiore rapidità e di una maggiore robustezza 
        endogena della crescita, tuttavia, impone di capire le ragioni della 
        patologia meridionale e di attivare la spesa di quei fondi in direzioni 
        capaci di attenuare la negatività di quelle patologie. Non conta la 
        velocità ma la qualità della spesa di quei fondi e la loro efficacia 
        relativa nella rimozione degli ostacoli allo sviluppo.
 
 Parlare di qualità significa anche chiedere tempo 
        per politiche programmate, di medio o lungo periodo…
 
 Il tempo per attivare questi processi è ormai drammaticamente breve: 
        perché esso viene limitato oggettivamente dal basso profilo della 
        congiuntura mondiale, prima, e, subito dopo, dall’ingresso di nuovi 
        paesi nell’Unione e dalla conseguente ridefinizione delle modalità in 
        cui si manifesteranno le politiche regionali alla nuova scala europea. 
        La individuazione della “dote finanziaria” per il Mezzogiorno, 
        declassato alla definizione di area sotto-utilizzata, conferma 
        l’esistenza di una disponibilità potenziale di spesa ma, appunto, riduce 
        la questione meridionale ad un problema che deriva dalla 
        sottoutilizzazione delle risorse finanziarie in termini di velocità 
        della spesa, lasciando in ombra due problemi ben più rilevanti.
 
 Quali problemi?
 
 La natura delle procedure e la qualità degli apparati che determinano il 
        contenuto reale, gli effetti di quella spesa e la sua efficacia, una 
        volta individuata nei suoi risultati effettivi, per contrastare e 
        ridimensionare le tre evidenti manifestazioni della patologia 
        meridionale e le cause della stessa.
 
 E allora quali rimedi consigliate?
 
 In effetti la migliore politica economica per il Mezzogiorno dovrebbe 
        affidarsi ad incentivi automatici e fondati su strumenti fiscali e 
        previdenziali per gli investimenti alle imprese: perché essi si 
        rivolgono ad imprese strutturate che possono reggere la sfida di 
        allargarsi solo al prezzo di una riduzione della pressione fiscale e 
        contributiva, in quanto lo Stato non onora nel Mezzogiorno il 
        corrispettivo reale della pressione fiscale e contributiva essendo 
        latitante nella creazione di capitale fisso sociale, sicurezza privata 
        ed amministrazione della giustizia civile. Questa riduzione della 
        pressione fiscale è solo il riconoscimento del fallimento dello Stato 
        nella sua missione tipica e potrà essere ridotta, nel lungo periodo, 
        ridimensionando la presenza pubblica e riqualificandola in relazione 
        agli effettivi obiettivi strategici del suo intervento. Essa dovrebbe, e 
        potrebbe essere temporanea proprio perché questo ridisegnare le funzioni 
        e le dimensioni dello Stato dovrebbe essere accompagnato da una 
        sostanziale ridefinizione della curva delle aliquote e dalla nascita di 
        strumenti di mercato che integrino il contenuto previdenziale e 
        pensionistico degli enti pubblici esistenti e del loro improvvido ed 
        inefficiente monopolio legale della previdenza e della sicurezza 
        sociale. D’altra parte l’allargamento dei paesi partecipanti all’Unione 
        Europea, che si colloca tra il 2004 ed il 2007, come è stato già 
        deliberato, imporrà di rivedere e qualificare anche le politiche 
        regionali che ogni nazione sviluppa per ridurre i propri divari interni 
        di benessere e di produttività. Si apre una nuova stagione in cui la 
        politica economica, sia essa monetaria, fiscale od orientata al governo 
        della crescita economica, davvero non sarà più nazionale ma dovrà essere 
        realizzata ad una scala, quella europea, mentre le regole istituzionali 
        per “governare” i processi decisionali a quella scala sono ancora 
        indeterminate.
 
 11 ottobre 2002
 
 c.vivenzio@libero.it
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