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        Carnevale, un'altra vittima del giustizialismodi Mauro Mellini
 
 Giustizia non è ancora stata fatta per Corrado Carnevale, magistrato che 
        aveva avuto il torto di attraversare la strada di disegni di eversione 
        delle istituzioni e della certezza del diritto e di non piegarsi ai 
        segnali, alle minacce, agli avvertimenti quali la famosa interrogazione 
        Violante Luciano + 13, con la quale lo si aggredì per aver sospeso, in 
        attesa della decisione di un'istanza di rimessione per legittima 
        suspicione, il processo a carico di Don Giovanni Stilo, puntualmente poi 
        condannato a Locri ed assolto poi nei gradi successivi e risarcito a 
        nostre spese. Una corte di giornalisti, beceri e cretini, del 
        giustizialismo oramai incombente lo definì spregiativamente 
        "ammazzasentenze". I suoi colleghi della Corte di Cassazione non seppero 
        e non vollero difenderlo come avrebbero dovuto e potuto e non compresero 
        che in Carnevale si voleva colpire la funzione della Corte Suprema di 
        Cassazione. Alla quale, per ciò che riguarda la sua Sezione, Carnevale 
        aveva dato efficienza e rigore nell'applicazione della legge, ottenendo 
        il meglio dai Consiglieri, non lesinando tempo e fatiche di tutti.
 
 Qualcuno, anche nella Corte, lo considerò un pericolo per il quieto 
        vivere, oltre che per i ritmi più rilassanti di lavoro. Il suo rigore 
        interpretativo fu bollato come pignoleria; l'annullamento di sentenze 
        abnormi e sbilenche fu inteso come "accomodamento" di processi. Persino 
        oggi, un giornale che si congratula per la sua assoluzione, non sa fare 
        a meno di definirlo "pignolo", sia pure tra virgolette. Ci si mise anche 
        Martelli con il contributo non lieve del "monitoraggio" delle sue 
        sentenze, malefatta che da sola basterebbe ad inchiodare quel 
        guardasigilli tanto poco credibile tra i corresponsabili autolesionisti 
        del golpe giudiziario che si preparava. Che quella di Carnevale non 
        fosse "pignoleria" e che le interpretazioni delle leggi vigenti date 
        dalla Sezione da lui presieduta non fossero astruse trappole è provato, 
        tra l'altro, dal fatto che, oltre che sbarazzarsi di Carnevale, i 
        giustizialisti hanno creduto bene di doversi sbarazzare di alcune norme 
        di legge che gli si faceva carico di aver applicate, giungendo a ciò 
        magari tradendo le chiare disposizioni della legge delega del nuovo 
        codice di procedura penale: basti ricordare la soppressione della 
        rimessione dei processi per legittimo sospetto e la vanificazione della 
        nullità assoluta rappresentata dalla violazione delle norme sulla 
        capacità del giudice perpetrata attraverso quella incredibile 
        "interpretazione" della legge delega rappresentata dall'articolo 33 del 
        codice, secondo comma, che spiega che non si considerano attinenti alla 
        capacità del giudice le questioni relative alla sua capacità, alla sua 
        nomina, alla sua costituzione.
 
 La persecuzione di Corrado Carnevale può considerarsi esemplare come 
        prova dell'estrema estensione ed articolazione del disegno 
        giustizialista, della sua mancanza di scrupoli, del perfetto 
        coordinamento tra "menti politiche" parlamentari e ministeriali, magari 
        oltranzisti, giornalisti aggregati. Allo stesso tempo le vicende di 
        Carnevale dimostrano un dato sconcertante, che su queste colonne abbiamo 
        già affrontato, con toni ritenuti paradossali: la lentezza della 
        giustizia se non può essere considerato un pregio della giustizia 
        italiana, è però un difetto ed una remora dell'ingiustizia che la 
        sostituisce. Qualche anno fa il linciaggio di Carnevale sarebbe stato 
        consumato fino in fondo. Del resto la sentenza della Corte d'Appello di 
        Palermo era stata emessa forse dall'unico collegio che avrebbe potuto 
        giungere a non confermare l'assoluzione pronunziata in primo grado, 
        perché Carnevale, che è l'ultimo italiano a credere nella giustizia, 
        aveva acconsentito che si cambiasse il collegio che già stava trattando 
        la sua causa per evitare un lungo rinvio che le esigenze di quel 
        collegio imponevano con la relativa perdita di tempo.
 
 Giustizia, dicevano, non è stata ancora fatta, anche se è sperabile che 
        Luciano Violante non proclami che hanno ammazzato la sentenza contro 
        l'ammazzasentenze e invochi e guidi un'altra crociata. A Corrado 
        Carnevale dobbiamo tutti le nostre scuse. Non solo Violante. Non solo i 
        giornalisti beceri e saccenti, non solo i giudici che hanno sbagliato 
        (se hanno sbagliato). Non parliamo dei pentiti che lo hanno accusato, 
        semmai dei magistrati che hanno voluto credere ai loro pettegolezzi. 
        Anche noi, però dobbiamo scusarci con Carnevale per non aver saputo fare 
        di più nel difenderlo e così quelli che non hanno voluto farlo per non 
        averlo voluto. E dovremo rimproverarci ancora se non sapremo concepire 
        un gesto riparatore. Se la reputazione di Ilda Boccassini sfiorata, tra 
        tanti osanna, da qualche critica è stata risarcita, in varie tranches, 
        con un miliardo esentasse, la reputazione, ma soprattutto il ruolo di 
        Corrado Carnevale, da lui tenuto alto, malgrado tutto, in difesa dello 
        Stato di diritto e di tutti noi, merita un gesto, almeno un gesto, di 
        apprezzamento e di riparazione dopo tanto ignobile scempio. Il governo, 
        la maggioranza, cui il Popolo ha dato un mandato anche in nome dei 
        principi lesi nella persona di Carnevale così pronunziandosi contro i 
        metodi e le mene di cui egli è stato vittima, trovino il modo e 
        l'occasione perché il gesto non manchi ed adeguato e chiaro ne sia il 
        significato e la portata. Al presidente della Repubblica non osiamo 
        ovviamente dare suggerimenti. Solo ci auguriamo che non intenda mediare 
        tra gli echi del linciaggio e l'esigenza di rendere giustizia ad uno dei 
        migliori magistrati che abbia avuto il nostro paese.
 
 8 novembre 2002
 
 (da 
        
        L'opinione delle libertà)
 
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