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        Avanti popolo, senza riscossadi Pierluigi Mennitti
 
 L'Europa è vecchia e stanca, non ha più il gusto del rischio, vive di 
        rendita, manca di entusiasmo nell'affrontare le sfide del nuovo secolo. 
        L'Europa è divenuta la terra della denatalità, dove le nuove generazioni 
        non scommettono sul futuro. E' l'area geografica dove la crisi economica 
        non sviluppa la fantasia dei governi. Dove le soluzioni portano sempre 
        ad alzare le tasse, di rado a ridurle. Dove l'alibi della sicurezza 
        sociale prevale sempre sull'idea di scardinare le rigidità. Dove la 
        cittadella dei privilegi è sempre ben serrata e non si lascia espugnare 
        nel nome di una rivoluzione liberale. In questi mesi di crisi comune, 
        negli Stati Uniti si è deciso di stimolare l'economia attraverso una 
        coraggiosa politica di riduzione della tassazione, estesa anche ai ceti 
        medio-bassi, con la speranza di rilanciare consumi e investimenti; in 
        Germania, invece, il governo rosso-verde di Schröder ha puntato su un 
        nuovo aumento delle tasse che rischia di soffocare l'asmatica economia 
        teutonica. Da una parte dell'Atlantico prevale il modello liberista. 
        Dall'altra quello socialdemocratico.
 
 L'Europa, però, non compie queste scelte per caso. Cammina con la testa 
        e le gambe di un uomo che l'Italia conosce bene. Questa Europa vecchia, 
        stanca e incapace di rischiare è l'Europa di Romano Prodi, che guida da 
        quattro anni la Commissione europea e, secondo i boatos della politica 
        italiana, sarebbe pronto a lasciare Bruxelles con qualche mese di 
        anticipo rispetto alla scadenza naturale della sua carica per ritentare 
        la scalata a Palazzo Chigi. Magari assieme a Sergio Cofferati, l'ex 
        segretario della Cgil, in un tandem elettorale che dovrebbe riunire 
        resti dell'Ulivo e cattolicesimo di sinistra, girotondini e no global, 
        finanza cattolica e salotti imprenditorial-chic. Con l'obiettivo di 
        governare l'Italia a immagine e somiglianza dell'Europa: una lenta 
        gestione della decadenza. Più Schröder e meno Blair, ma soprattutto meno 
        mercato e meno riforme, con buona pace di quanti, anche a sinistra, 
        spingono per un programma più maturo e innovativo capace di assicurare 
        al paese ripresa e sviluppo, non un dolce ma inesorabile tramonto.
 
 Al momento la competizione è sotterranea e tutta interna alla sinistra. 
        Il tandem però avanza, sostenuto dai sondaggi che lo danno vincente 
        rispetto a qualsiasi altra alternativa disponibile nell'opposizione. 
        Recluta sostenitori nelle fila delle minoranze rumorose che agitano le 
        piazze della sinistra, dai pasdaran del giustizialismo alle belle anime 
        del no global. Incamera il plauso della stampa debenedettiana, da 
        Repubblica all'Espresso. Raccoglie consensi in quella parte di 
        burocrazia che frena le riforme economiche timidamente avanzate dal 
        governo. E soprattutto cavalca con furbizia le paure che si diffondono 
        in tempi di crisi, sostenendo il progetto di una società chiusa che 
        faccia scudo contro i mali del mondo. Rispetto al 1996, quando Prodi 
        vinse le sue elezioni con l'Ulivo, questa sinistra di stampo 
        socialdemocratico tradizionale appare assai meno innovativa e molto più 
        indulgente verso i vecchi vizi dello statalismo. Si nutre delle utopie 
        no global sulle quali mette il cappello Cofferati ma prova a rassicurare 
        il mondo imprenditoriale con la suadente tecnocrazia di Prodi.
 
 Moriremo dunque socialdemocratici? E' troppo presto per dirlo. Ma di 
        questo si comincia a parlare, anche come conseguenza del non brillante 
        momento del governo che stenta a portare in fondo le riforme che aveva 
        promesso in campagna elettorale. Ma se l'ansia rinnovatrice appare oggi 
        appassita, il futuro potrebbe essere ancora peggiore. "Ideazione.com" 
        tenta in questo numero una prima analisi del progetto di Prodi e 
        Cofferati, sviscerandone i presupposti sociali ed economici con gli 
        articoli di Massimo Lo Cicero, Giuseppe Mancini e Fausto Carioti. Quindi passa sul 
        terreno della politica concreta evidenziando, nell'articolo di Paolo Zanetto, due mine che possono frapporsi al successo 
        del tandem: un rilancio del pacchetto di riforme del governo di 
        centrodestra e/o il riscatto della sinistra riformista, oggi appesa quasi 
        esclusivamente agli umori di Massimo D'Alema e alle elaborazioni
        teoriche delle sue invenzioni editoriali (Italianieuropei e il
        Riformista). La strada per il tandem è ancora lunga e non è detto che
        sia tutta in discesa.
 
 22 novembre 2002
 
 pmennitti@ideazione.com
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