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        I cittadini sono sempre un passo avanti ai 
        politicidi Vittorio Mathieu
 
 Quando il ministro degli Esteri diede le dimissioni, l’opposizione 
        commentò: “Dopo un anno il governo perde già i pezzi”. I governi 
        precedenti, dopo un anno, non perdevano i pezzi perché non c’erano più: 
        in media duravano di meno, seppur non erano balneari. Con tanti 
        avvicendamenti in vista, all’opposizione era più facile essere attivi, e 
        non semplicemente agitati come ora, aspettando che la legislatura passi. 
        Agitati nel sonno. Si può obiettare che compito dell’opposizione non è 
        soltanto far cadere il governo. E’ anche controllare la legittimità di 
        ogni suo passo, per presentare il conto alle successive elezioni. Ciò 
        implica che maggioranza e opposizione si escludano a vicenda, altrimenti 
        il controllo resterebbe di facciata. Ma, perché l’alternanza sia “a 
        vicenda”, occorre che entrambe le parti ne riconoscano la legittimità. 
        Ciò non avveniva nella prima Repubblica, ad esempio rispetto a un 
        partito classificato come fascista, perché la ricostituzione del partito 
        fascista era esclusa dalla Costituzione. E divenne presto impossibile 
        anche rispetto a un partito leninista o, peggio, stalinista, perché con 
        etichette del genere non era lecito proporsi come partito di governo. 
        C’era, bensì, un partito comunista, ma si trattava ufficialmente d’altra 
        cosa, al punto che questo partito escludeva, sia la malattia infantile 
        dell’estremismo, sia la malattia senile del culto della personalità.
 
 Si noti che, con quel patto di doppia esclusione, del fascismo e dello 
        stalinismo, si riuscì per decenni ad abolire un’effettiva dialettica tra 
        maggioranza e opposizione. In essa si sarebbero potuti alternare solo 
        democristiani e comunisti; ma i comunisti, pur essendo eurocomunisti, 
        democratici, indipendenti da Mosca, conservavano tuttavia appiccicata 
        una matrice bolscevica, come l’Msi una matrice fascista. Ciò servì a 
        simulare una possibilità di alternanza che in realtà non c’era; e, 
        grazie a questa simulazione (“o inciucio”), a conservare costante una 
        spartizione di vantaggi tra i componenti dell’unica maggioranza: 
        comunisti e Dc di sinistra. Poi assistemmo a veri riciclaggi in storici 
        congressi di An e del Pds o sigle affini. Grazie ad essi sembrava che il 
        gioco democratico potesse cominciare. Ma sorse un ostacolo inaspettato, 
        inaccettabile: un imprenditore, un non politico a capo di un non partito 
        che, come non partito, era rappresentato solo da una persona. Al punto 
        che nel ’96 una verduriera che esortavo a votare per Forza Italia mi 
        disse:” No, io voto per Berlusconi”. Dunque, un nuovo culto della 
        personalità? L’equivoco era dovuto tutto ai partiti tradizionali, troppo 
        frettolosi nel demonizzare l’intruso. (Non così An e la Lega, appunto 
        perché non partiti tradizionali). Per demonizzare occorre 
        personalizzare. Perciò Berlusconi fu rivestito d’orbace e assimilato ad 
        un dittatore. A Stalin non si arrivava, ma a Mussolini sì. Un collega un 
        giorno mi domandò .” Sarà come Franco?”. Gli risposi:” No, le origini 
        sono diverse. Piuttosto come Salazar”. E il collega apparve contento 
        della risposta, come non sarebbe stato se gli avessi risposto “come 
        Giolitti”.
 
 Poi Forza Italia divenne un partito, tanto da acquisire anche i difetti 
        propri dei partiti. Ma quando, con le ultime elezioni, il centro 
        sinistra perdette la maggioranza era ormai tardi per accettare una 
        dialettica democratica con Berlusconi e i suoi: chi accettava Berlusconi 
        non aveva diritto all’esistenza e, quindi, all’alternanza. La 
        personalizzazione del centrodestra, dunque, posto che sia un difetto, è 
        dovuto al centrosinistra. Anche se molti aspirerebbero comprensibilmente 
        a succedere a Berlusconi, tutti si rendono conto che senza di lui la 
        coalizione si scioglierebbe. Per questo ha più difficoltà la minoranza 
        ad opporsi che la maggioranza a governare. La dialettica democratica si 
        ristabilirà accettando ciò che la demonizzazione di Berlusconi 
        involontariamente ha prodotto. Già sull’ultima scheda c’era il nome del 
        premier proposto agli elettori: con la riforma che si farà – si ispiri 
        essa al modello tedesco, francese o inglese – l’elezione diretta di un 
        presidente, involontariamente preconizzata dalla mia verduriera, diverrà 
        una norma costituzionale.
 
 17 gennaio 2003
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