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      Ballando sul Titanic della Raidi Domenico Mennitti
 
 Lo spettacolo delle nuove nomine Rai prosegue sconsolante sui canali della 
      politica. Ma almeno è finita, anche con una coda polemica assolutamente 
      imprevedibile, la brutta favola della Rai presieduta da Antonio 
      Baldassarre e non si fa fatica a definirla una delle esperienze peggiori 
      della gestione pubblica radiotelevisiva. Dopo l’uscita di Zaccaria 
      sembrava che il fondo fosse stato proprio toccato ed invece s’è imposta 
      quella mediocre previsione secondo la quale “al peggio non c’è mai fine”. 
      A rifletterci vengono i brividi per il futuro.
 
 Quella della Rai era ed è uno dei più importanti banchi di prova sul quale 
      il centro-destra è stato chiamato a misurare la capacità di governo: il 
      risultato è deludente, fortemente deficitario per lo spirito di disinvolta 
      concorrenza interna con il quale la coalizione di maggioranza ha 
      affrontato e poi gestito il problema. Chiamato a sciogliere uno dei nodi 
      centrali del dibattito politico, che comprende anche l’aspetto più 
      rilevante del conflitto d’interessi, il governo si è lasciato travolgere 
      dalla smania della spartizione degli incarichi, restando sordo alla 
      esigenza di fornire una prova di equilibrio e di competenza. I membri del 
      consiglio di amministrazione, compresa l’appendice del direttore generale, 
      sembravano ben targati come provenienza politica, ma pure quella si è 
      rivelata alla prova dei fatti fittizia, occasionale, fasulla. Appena si è 
      profilato lo scontro sugli obiettivi, infatti, la maggioranza si è 
      disfatta perché era stata costruita con trasversali riserve mentali. Più 
      che l’ostinata intransigenza dei consiglieri di opposizione ha potuto la 
      debolezza dei paladini del governo, ritrovatisi prima minoranza nel 
      consiglio, poi addirittura minoranza del consiglio, autori di una patetica 
      resistenza senza vie d’uscita.
 
 Nel frattempo la Rai ha perduto ancora pezzi: di ascolto, di credibilità, 
      di decenza. Chi riesce ad andare in video, guadagna la postazione e la 
      utilizza come fosse l’ultima trincea. La carenza di professionalità ha 
      agevolato la diffusione di disinvolti dispensatori d’ironia. Che, per 
      innalzarsi ad arte, deve essere sublime; quando è mediocre, produce 
      insulto, turpiloquio, fastidio. Tutto finito? Vorremmo poter azzardare 
      l’ipotesi che tutto ricomincia. Ma perché si possa sperare in un rilancio, 
      la prima urgenza è quella di comprendere che problemi di questa 
      delicatezza vanno affrontati con lo spirito giusto. Che non è quello di 
      piantare sulla Rai la bandiera del proprio partito, bensì qualcosa che sia 
      simbolo di competenza, di equilibrio, di riconoscimento dei meriti. Non 
      invochiamo l’avvento di inopinati saggi, virtuosi resistenti alle 
      tentazioni della politica; semplicemente pensiamo ad una classe dirigente 
      consapevole del difficile compito al quale è stata chiamata. Ci sono i 
      tempi delle vacche grasse, delle spartizioni facili, degli arrembaggi 
      scriteriati e ci sono quelli delle difficoltà, della responsabilità, delle 
      prove di coraggio. Non è tempo di eroi, ma di uomini seri ed è questo che 
      complica maledettamente le cose.
 
 28 febbraio 2003
 
 domenico@mennitti.it
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