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      La scuola del sapere e la scuola del 
      faredi Cristiana Vivenzio
 
 Il 18 febbraio scorso, la Camera ha approvato con 258 favorevoli e 6 
      contrari il disegno di Legge delega sulla riforma del sistema istruzione. 
      Il primo passo verso l’attuazione del progetto di riforma Moratti è stato 
      compiuto. Resta da ottenere il via libera del Senato, che nei prossimi 
      giorni dovrà approvare il testo definitivo. Ma la scuola rimane ancora uno 
      dei temi più scottanti dell’agenda politica italiana? Tra manifestazioni 
      di pacifismo antiamericano e proteste sindacali di varia natura neanche il 
      centrosinistra sembra essere più intenzionato a cavalcare vecchi cavalli 
      di battaglia, anche se le critiche a questa riforma, come si conviene, non 
      sono mancate. Eppure qualcosa sta cambiando radicalmente nel panorama 
      dell’istruzione italiana. Ciò non significa, affermano con fermezza dal 
      ministero, relegare in un cassetto la tradizione tutta nostrana di una 
      scuola del sapere, ma certamente vuol dire affiancare ed integrare un tipo 
      di formazione che fino ad oggi ha privilegiato la cultura umanistica e dei 
      libri ad una nuova – la definisce così Letizia Moratti - “cultura del 
      fare”. Una cultura fatta anche dall’esperienza sul campo, dai tirocini 
      formativi, dagli stage professionali. Solo slogan o anche sostanza?
 
 Si potrà più o meno condividere questo tipo di imprinting, certo è che, 
      almeno nelle intenzioni, la nuova scuola stile Moratti avvicina di molto 
      ai modelli europei l’impostazione data alla formazione e all’istruzione in 
      Italia, senza tradire il senso della continuità storica con il passato, il 
      valore del sentimento dell’identità nazionale. “Il disegno del cambiamento 
      – scrive il ministro nella lettera di presentazione del suo progetto - è 
      ispirato ad una visione europea dell’educazione e della formazione; è un 
      progetto che intende rafforzare una scuola fortemente radicata in 
      un’identità nazionale solida e condivisa, capace di valorizzare le 
      tradizioni locali che sono un’inesauribile risorsa per partecipare a pieno 
      titolo al processo di integrazione delle culture, dei saperi e delle 
      professioni, avviato in questi anni tra i diversi paesi dell’Unione 
      Europea”.
 
 Uno dei punti chiave della riforma – che è stato anche uno dei più 
      controversi – è l’ormai arcinoto doppio percorso, che affianca ad un iter 
      classico degli studi il binario professionale, consentendo di poter 
      differenziare i percorsi della formazione sulla base delle attitudini e le 
      inclinazioni degli studenti, garantendo, così, possibilità formative 
      diverse per diverse capacità di apprendimento. La finalità principale – 
      spiegano al Miur - è quella di inglobare nel sistema scolastico quei 
      trecentomila giovani che attualmente si trovano esclusi da qualsiasi 
      percorso di formazione. E, inoltre, di istituzionalizzare, sotto il 
      controllo e la responsabilità degli istituti scolastici, l’inserimento nel 
      mondo del lavoro dei giovanissimi, in qualche modo consentendo loro di 
      veder riconosciuta un’esperienza compiuta – per più o meno breve tempo – 
      sul campo. Una risposta secca, quella dei vertici del ministero, nei 
      confronti di coloro che accusando questa riforma hanno parlanto di 
      tentativi di sfruttamento del lavoro minorile.
 
 Questo secondo percorso professionale verrà attuato di concerto tra lo 
      Stato e le Regioni. Il progetto è già avanzato, e sei regioni hanno già 
      dato avvio alle nuove politiche scolastiche. Mentre lo Stato si assume 
      l’onere di tracciare e definire degli standard qualitativi di eccellenza 
      formativa, alle Regioni spetta il compito di attuare i piani in corso. In 
      realtà ora come ora in molti casi si tratta di mettere a regime qualcosa 
      che già si sta realizzando: pensiamo solo che sono oltre 230.000 gli stage 
      di formazione avviati, il 45% in più rispetto all’anno scorso. 
      L'attuazione della riforma, tuttavia, sarà graduale, anche se già dal 
      prossimo anno scolastico verrà consentito l'anticipo delle iscrizioni alla 
      scuola dell'infanzia e alla prima elementare anche ai bambini che 
      compiranno 3 e 6 anni entro il 28 febbraio 2004. Ora è solo questione di 
      tempo.
 
 28 febbraio 2003
 
 vivenzio@ideazione.com
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