Energia, la risorsa fondamentale
di Julian L. Simon*

Questo articolo è stato scritto nel 1993 nell’ambito del dibattito sull’opportunità di introdurre negli Usa una tassa sull’energia (si era allora nel pieno dell’amministrazione Clinton-Gore). I critici, di cui Julian Simon era uno degli esponenti più prestigiosi, affermavano invece che un aumento del prezzo dell’energia avrebbe rallentato la crescita economica senza produrre benefici.

Poiché si fa sempre più serrata la battaglia sull’istituzione di una nuova tassa sull’energia, qualche analista dovrebbe esaminare il presupposto di tale balzello, cioè l’idea che noi dovremmo “conservare l’energia”. Ne abbiamo avuto ampio saggio in titoli di prima pagina come The High Cost of Cheaper Energy o in editoriali del Washington Post come A Totally Free Market Leads to Over-Consumption. Alcune persone pensano che sia una cosa di per sé buona utilizzare meno energia e sperimentare una minore crescita economica. Come dice Paul Ehrlich, "Permettere alla società di avere energia abbondante e a buon prezzo è… come dare una mitragliatrice a un bambino stupido". Altri fautori della tassa cercano non solo di conservare l’offerta energetica, ma anche di tornare a una “vita più semplice” (per gli altri, naturalmente, non per loro stessi) poiché questo ci renderà migliori come esseri umani. Per dirla con Amory Lovins, "Se anche il nucleare fosse pulito, sicuro, economico, abbondante… sarebbe comunque privo di attrattiva". Forse i più numerosi sono quanti pensano che vi sia una ragione economica per “risparmiare” energia. Tale generica e mai approfondita credenza è ben visibile nell’affermazione dell’editorialista Jim Hoagland: "Un rifiuto delle tasse sull’energia manderebbe lungo la spina dorsale dell’America il messaggio che è ancora possibile usare di più e pagare di meno carburanti inefficienti".

Le ragioni a favore del risparmio economico per la tassa sull’energia non sono, tuttavia, ampiamente accettate dagli economisti il cui lavoro è, si suppone, comprendere tali questioni. Sono pronto a scommettere che i principali economisti non approvano la “religione laica” della conservazione dell’energia. Sfortunatamente, però, il pensiero degli economisti su argomenti come questi raramente raggiunge il pubblico poiché non vi è alcun canale deputato a veicolarlo, mentre le opinioni che riflettono le moderne superstizioni – e la conservazione dell’energia è una di esse – vengono regolarmente pubblicate od ospitate in televisione. Così quello che rischiamo è un “piano” energetico che metterebbe le industrie energetiche in grande difficoltà a causa della richiesta di conservazione, costringendole alla sostituzione di petrolio e carbone con altri combustibili, e alla fine ridurrebbe l’offerta e farebbe aumentare i prezzi. Sarebbe uno spreco di tempo e di fatica, rallenterebbe il progresso della civiltà e danneggerebbe l’economia allo scopo di mitigare una scarsità di energia che, secondo un gruppuscolo di profeti di sventura ambientalisti, decreterà la nostra fine a partire da sette miliardi di anni da oggi. (Sì, avete letto bene, sono 7.000.000.000 di anni!). Essi scrivono con orrore di un aumento dell’entropia – la scomparsa dell’ordine e la disgregazione di ogni forma di vita nel caos.

Eppure il trend dell’offerta energetica è esattamente l’opposto di quel che si pensa. Nel corso dei secoli, l’energia è diventata meno e non più scarsa, proprio come tutti gli altri materiali grezzi, dal rame alla terra. E non vi è ragione di credere che questo trend si invertirà – può durare per sempre. La conservazione dell’energia imposta dal governo avrebbe l’unico effetto di rallentare il progresso. La storia smentisce in pieno l’intuitiva teoria malthusiana secondo cui più noi consumiamo, meno resta da consumare e quindi maggiore è la scarsità. L’energia è diventata più e non meno abbondante in tutto il tempo per il quale disponiamo di documentazione. Nel corso dei secoli, il prezzo dell’energia – carbone, petrolio ed elettricità – è diminuito e non aumentato, in proporzione al costo del lavoro e anche in proporzione ai prezzi dei beni di consumo. Lo stesso si può dire di tutte le risorse naturali. E l’energia nucleare costa meno sia del carbone che del petrolio. Un altro modo di leggere la questione: l’energia è diventata sempre meno importante se misurata attraverso la sua incidenza sul prodotto nazionale lordo, e lo stesso vale per tutte le altre risorse naturali.

Se si vuole fare un paragone, si rifletta sulla storia di un’altra risorsa di cui la gente si preoccupa da tempo immemorabile: la terra. È sempre parso chiaro come il sole che l’offerta di terreno agricolo, apparentemente limitata, dovesse alla fine porre un limite alla crescita della popolazione, rendendo il cibo sempre più costoso con l’aumento delle bocche da sfamare. Ma, abracadabra, è accaduto proprio il contrario. Il prezzo del cibo è sceso, la sua disponibilità è progressivamente cresciuta e la fame e le carestie sono diminuite in tutto il mondo, anche se la popolazione è cresciuta. La spiegazione sta in primo luogo nello sviluppo di mezzi di produzione del cibo sempre più efficienti. Esattamente come alcuni uomini nel corso della storia hanno detto che l’offerta di terra è limitata e non può crescere, molti altri hanno sostenuto che il trend del costo dell’energia dovrà, prima o poi, cambiare poiché l’energia è “finita”. Ed essi sono andati oltre sostenendo che dovremmo rifiutare l’attuale sistema economico e costruire un nuovo modello di “economia ecologica” che usi l’energia come una misura del valore. In questo modo viene riesumato Marx e la sua teoria del valore/lavoro nel tentativo di fissare uno standard materiale del valore, una fondazione fisica solida su cui reggersi. L’energia è diversa da altre risorse poiché una volta usata “finisce” e non può essere riciclata. Apparentemente, essa tende all’esaurimento. Sembra impossibile continuare a usare energia e non trovarsi mai senza, o almeno raggiungere un punto di crescente scarsità. Ma proprio come per la terra e il rame, ci sono altre forze in gioco che rendono possibile per noi avere una crescente quantità dei servizi di cui abbiamo bisogno o che desideriamo anche se la domanda di quelle risorse è in continuo aumento.

Il progresso tecnologico è la ragione per cui i prezzi dell’energia e delle altre risorse naturali scendono anche se noi ne chiediamo di più. Una delle nostre fortune è la minore dissipazione di energia. Si consideri la macchina a vapore, che all’inizio operava con un’efficienza di circa l’uno per cento. Oggi i motori lavorano in modo forse trenta volte più efficiente. In altre parole, essi spendono circa un trentesimo dell’energia per ottenere lo stesso risultato. Quando qualcuno trova il modo di incrementare l’efficienza di una risorsa, per esempio, dell’uno per cento, tale scoperta non aumenta solo l’efficienza dell’energia che noi utilizziamo quell’anno, ma aumenta anche la quantità effettiva di quella risorsa nelle riserve o nei giacimenti ancora ignoti.

Sono importanti anche gli aumenti nell’offerta di energia. Noi impariamo a scavare più a fondo e a pompare più velocemente. E inventiamo nuove fonti di energia, così come nel passato ci siamo mossi dal legno al carbone, al petrolio, alla fissione nucleare. Sappiamo anche far “crescere” i sostituti del petrolio finché resta sole per far crescere le piante. Naturalmente la fissione nucleare sarà disponibile a un prezzo costante o addirittura in diminuzione praticamente per sempre. E chissà, possiamo arrivare alla fusione nucleare, oppure qualche altro sole potrà sostenere i nostri bisogni quando il nostro si spegnerà. Abbiamo sette miliardi di anni per scoprire soluzioni ai problemi teorici a cui abbiamo risposto solo approssimativamente con i progressi della fisica degli ultimi secoli. È ragionevole aspettarsi che l’offerta di energia continui a diventare più abbondante, per sempre.

26 settembre 2003

(da Ideazione 5-2002, settembre-ottobre. Traduzione di Carlo Stagnaro. )