“Oltre i documenti, vi raccontiamo da dove viene Fini”
intervista a Luciano Lanna e Filippo
Rossi di Cristiana Vivenzio
“Nessun programma di governo, nessun discorso parlamentare tanto meno mozioni congressuali. Dopo il tramonto delle ideologie, l’immaginario resta la chiave di volta per comunicare e fare politica” cominciano così a raccontare il loro libro, “Fascisti immaginari”, Luciano Lanna e Filippo Rossi. Tutto quello che c’è da sapere sulla destra qui c’è. Niente a che fare con noiose ricostruzioni sulla destra “istituzionale” e di governo, quella del Msi, di Fiuggi e di Alleanza nazionale, qui si tratta della destra immaginata, della destra vissuta sottovoce, finanche soggiaciuta e soffocata, nei suoi “non detti”, nelle sue contraddizioni, nella retorica autoprodotta e di quella, opposta, che l’ha riguardata. Della destra popolare, quella dei simboli e dei miti ma anche commerciale e di consumo. E ci si ritrova di fronte ad un mondo conosciuto ma non codificato; immaginato, per l’appunto, ma mai etichettato, inaspettatamente meravigliati da “l’inaspettata varietà dell’underground nero”. Oltre 100 voci, in rigoroso ordine alfabetico, raccontano destra italiana del dopoguerra. Il taglio è ironico, la cura meticolosa. “E’, soprattutto, un lavoro che cerca di raccontare e spiegare un mondo oltre le analisi, spesso astratte e teoriche, dei politologi, dei sociologi e della stessa politica politicante – continuano gli autori. Che cerca di ricostruire le ragioni, gli innamoramenti, gli stessi bluff e le identificazioni nell’immaginario popolare e nella cultura di massa dell’antropologia della destra”. Dentro c’è apparentemente tutto e il contrario di tutto: da Lucio Battisti a Corto Maltese, dai ragazzi di Salò ai Paninari degli anni Ottanta, dall’esoterismo alla musica leggera, dalla fantascienza a un certo cinema americano”.
Un immaginario popolare che tratteggia la cultura pre-ideologica ed esistenziale della destra, quindi? Ma non si rischia di rendere di destra tutto ciò che non è di sinistra?
LANNA – C’è un dato indiscutibile che cozza prepotentemente contro il luogo comune sulla cosiddetta “egemonia culturale” esercitata, almeno così si dice, dalla sinistra italiana nelle sue due varianti azionista e neo-marxista. Ora, dopo una lunga azione di scavo in emeroteca e in biblioteca, e dopo una rilettura attenta non solo di quanto si scriveva a destra ma anche a sinistra, a noi pare che occorre distinguere tra due piani. Quello dei salotti letterari, della cultura accademica e delle redazioni dei principali giornali, da un lato. Quello della cultura popolare e dell’immaginario diffuso, dall’altro. Se sicuramente il primo versante ha visto trionfare gli uomini, le idee, le opere, le suggestioni della sinistra, sul piano delle culture popolari è vero esattamente il contrario…
ROSSI - Qui infatti, secondo noi, hanno circolato, sono stati veicolati, si sono imposti valori, miti, figure indiscutibilmente di destra. Non a caso quasi tutta la pubblicistica di sinistra e cattolico-progressista degli anni Sessanta e Settanta è piena di riferimenti polemici e demonizzazioni nei riferimenti delle principali mode, tendenze, sensibilità di successo in quegli anni. Penso a tanti fumetti, a certo cinema, ad alcuni fenomeni di costume: dai film polizieschi a quelli della commedia erotica all’italiana, da Tex Willer ai Supereroi, da Jacovitti a John Wayne, sino al cabaret del Bagaglino. Ma, attenzione: non c’è solo la cultura popolare. Basti pensare, su altri ambiti, al cinema di Gualtiero Jacopetti, alla narrativa di Giuseppe Berto, alla stessa avanguardia teatrale di Carmelo Bene. E ancora alla letteratura di John Fante, Charles Bukowski e Jack Kerouac, di Arturo Perez Reverte e Michel Houellebecq. In realtà, forse si potrebbe anche azzardare a dire che sul piano dell’immaginario diffuso tutti i decenni del secondo dopoguerra hanno conosciuto una egemonia fatta di suggestioni estetiche, di stilemi, di codici linguistici e modelli antropologici senz’altro connotabili come “di destra”.
Una risposta alla ricerca di una identità della destra popolare italiana, anche di quella politica?
L. – Siamo convinti che la stragrande maggioranza delle persone non facciano una scelta di campo politica per motivi razionali o legati alla cronaca immediata. In realtà, entrano in gioco fattori d’ordine psicologico, per cui c’è gente che si è sentita a destra per aver visto un film, per una certa letteratura o, che so, perché ha percepito a destra la propria squadra del cuore. Essendo andati, infatti, a indagare non sul linguaggio convenzionale e autoreferenziale di una politica mediatico-parlamentare ma su quello dell’antropologia diffusa abbiamo verificato che, nel suo complesso, l’universo umano e culturale collocatosi a destra dopo il ’45 si è sempre pensato, vissuto e raccontato nel senso del postfascismo. E vorrei spiegarmi meglio. Non è che la destra italiana sia diventata postfascista nel ’95. Lo era già, di fatto, sin dal ‘45, da quando il fascismo era un fenomeno ormai alle spalle. Un fenomeno con il quale, però, chi si collocava ‘a destra’ prospettava una qualche continuità, una qualche eredità, anche un certo ripensamento, magari. Ma un fenomeno che, nel suo complesso, definiva il radicamento storico preciso e specifico sul quale affondava le sue radici la destra italiana postbellica. La mia impressione, del resto, è che quando la destra si sia voluta ripensare oltre questo suo radicamento, ha finito per costruire una sua presunta identità modellata su esempi esterofili, del tutto sganciati da quello che era invece il suo originario, vasto e diffuso immaginario popolare. E questa è una questione nella quale, a mio avviso, affondano le radici anche alcuni recenti problemi politico-elettorali e di identità della destra politica italiana.
R. - Concordo. Cercare, come hanno tentato di fare alcuni ambienti della destra italiana, di accreditarsi e di riproporre una propria nuova identità attraverso referenti culturali stranieri o del tutto innaturali porta soltanto a un disorientamento del suo più specifico bacino di riferimento.
L. - “La politica resta infatti un processo di rappresentanza. E nella sua azione si rappresentano realtà antropologiche e fenomeni sociali reali, esistenti, significativi e, soprattutto, radicati nella storia profonda del proprio Paese. Fatto sta che nella prima metà del Novecento italiano ci sono stati fenomeni di tale portata e di tale impatto sull’immaginario e sulla storia delle idee - il dannunzianesimo, l’avventura fiumana, il futurismo di Marinetti, le avanguardie artistiche, l’arditismo, il primo fascismo, l’estetica e il linguaggio mussoliniani, la politica delle arti di Bottai, le imprese aviatorie di Italo Balbo, la prima modernizzazione italiana nel suo complesso - la cui persistenza è qualcosa di evidente e di ineliminabile. Non si tratta - è ovvio - di riproporre questo patrimonio, sicuramente non spendibile nell’arena politica. Ma di ripensarsi e proporsi nell’attualità tenendo presente il radicamento popolare di tutto ciò. Il rischio che spesso si corre è invece quello di far finta pubblicamente che tutto ciò non ci sia. E così ci si illude di comunicare a un mondo che, in realtà, non esiste. Lo ripeto: ripartire dal postfascismo è un’operazione tutt’altro che nostalgica. Non occorre, in altre parole, ripetere l’errore compiuto da tanti ex comunisti italiani che si sono inventati genealogie e autobiografie postume del tutto sganciate dalla storia e dall’immaginario vissuti nel proprio passato”.
E la destra politica come deve rapportarsi a questo comune sentire, immaginato e prepolitico?
R. - Siamo ben consapevoli della differenza che corre tra la politica quotidiana, le urgenze del confronto tra i partiti e l’immaginario prepolitico e metapolitico. Ma resta il fatto che anche - se non soprattutto - nella postmodernità le scelte individuali, le motivazioni simboliche e gli stessi meccanismi di identificazione politico-culturale non scaturiscono da processi razionali e valutazioni d’ordine programmatico, ma sono il frutto di stratificazioni profonde, innervate dentro le dinamiche della società civile e operanti in primo luogo nella formazione della mentalità e dell’immaginario collettivo. Da questo punto di vista, crediamo che la destra politica soffra forse un certo deficit di sintonia nei confronti della destra diffusa e, in particolar modo, della destra radicata nell’immaginario. Sino ad ora nessuno ha cercato di farsi carico di questa questione e di portare alla luce quanto era dato per scontato o era vissuto soltanto nei processi di autoreferenzialità. Se mi si consente il paragone, potremmo dire che la destra politica italiana ha sinora avuto i suoi Occhetto e i suoi D’Alema ma non ha ancora avuto il suo Veltroni.
L. - Beh, Veltroni appare come un politico capace meglio di altri di comprendere e usare i riferimenti all’immaginario. Dalle figurine Panini a Kennedy, dal calcio al cinema, dalla passione per la musica di Jan Garbarek a quella per la narrativa, appare, come scrisse qualche anno fa Stenio Solinas, come una specie di nostro ‘compagno di classe’ di sinistra. Questa è la sua forza e il segreto della sua capacità di comunicare e di conquistare consensi. E perché, allora, non appare anche a destra un leader politico che faccia anche lui riferimento, e in maniera strategica e mirata, allo sport e a Lucio Battisti, al Diario Vitt e al cinema di John Milius, al jazz e agli anni Settanta vissuti “da destra”, alla letteratura fantastica e al teatro? Non si tratta di questioni secondarie o di aspetti marginali ma dei linguaggi della nostra epoca. Soprattutto dopo il tramonto delle ideologie, l’immaginario resta la chiave di volta per comunicare e fare politica. Il resto è solo amministrazione e discorso procedurale. Limitarsi a evocare regole, leggi e procedure senza appelli all’immaginario porta nel campo dell’indifferentismo e del grigiore impolitico dove qualsiasi identità si appanna senza bucare e apparire significativa.
R. - Leggendo le voci del nostro libro è possibile individuare all’interno di un apparente caos, suggestioni, persistenze e riferimenti in grado, se opportunamente ripensate, di portare anche la destra politica alla piena consapevolezza dell’egemonia di fatto esercitata per interi decenni dalla destra culturale e antropologica.
24 ottobre 2003
vivenzio@ideazione.com
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