Una storia italiana
di Luciano Lanna e Filippo Rossi
Riportiamo, per gentile concessione degli autori, un estratto dall’introduzione al libro “Fascisti immaginari. Tutto quello che c’è da sapere sulla
destra
E cominciamo allora col dire cosa questo libro “non è” e cosa non ha nessuna intenzione di fare. Innanzitutto, anche alla luce delle considerazioni precedenti, non si occupa della “destra” così come è stata presentata e prospettata a partire dagli anni ’90, sempre più ricalcata su modelli e ricette politiche importati dall’estero e di per sé estranea ai processi di lungo periodo della storia italiana; non è un studio sull’interpretazione politologica, filosofica o storiografica del fascismo; non è, poi, un saggio sull’estrema destra o sui tanti fenomeni di radicalismo politico spesso sconfinanti nelle cronache o nella sociologia della marginalità; non è, infine, una ricostruzione cronologica sulle vicende politico-parlamentari e cronachistiche della destra italiana del dopoguerra, soprattutto perché è nostra convinzione che gli studi d’impostazione sistematica siano costituzionalmente refrattari a cogliere lo specifico argomento in oggetto del nostro libro.
Esso, infatti, persegue tutt’altro obiettivo. Un obiettivo che è magari eterodosso, a suo modo interdisciplinare e forse pure ambizioso: ricostruire un quadro d’insieme – giornalistico, esistenziale, antropologico, psicologico e di storia della mentalità – del mondo che può essere definito, in assenza di una categoria unificante e accettata da tutti, del “fascismo immaginario”. Un universo mentale – e una complessa stratificazione esistenziale – che non possono essere schiacciati o ricondotti ai fenomeni più immediatamente politici, dal fascismo del Ventennio al neofascismo partitico e non, dalle diverse forme del radicalismo di destra fino alle più varie tentazioni estremistiche. Anche se poi, naturalmente, singoli aspetti, suggestioni e contaminazioni di queste stesse realtà finiscono senz’altro col rientrare nel vastissimo perimetro in cui ci si muove. Ma l’oggetto dell’indagine è qualcosa di più ampio, e pressoché onnicomprensivo. Qualcosa che è allo stesso tempo più impalpabile e più profondo. E che assume la forma di una dimensione immaginaria che, a sua volta, deriva da un intreccio complesso di impatti emotivi, percezioni esistenziali, percorsi iconologici, suggestioni letterarie e vissuto generazionale.
Una dimensione che supera e taglia trasversalmente l’interpretazione convenzionale di tante vicende della nostra storia collettiva. Solo un approccio fondato sull’immaginario, infatti, può aiutare a raccontare – e forse a comprendere meglio – ciò che la politologia e la storiografia accademica non riescono a cogliere. E questo è tanto più vero in riferimento al postfascismo, categoria unificante e, sin dall’etimo, atta a includere dentro di sé tutta la fenomenologia – politica, antropologica, sociale, di costume – che si è espressa “dopo il fascismo storico” e che a quest’ultimo non solo non si è contrapposta ma, in qualche modo, vi ha percepito elementi di affinità se non proprio di continuità ideale e politica. Intendiamo, in particolare, il termine “postfascismo” nella sua accezione più propria e non in quella in voga dalla metà degli anni ’90 e tesa a qualificare esclusivamente la vicenda politico-parlamentare successiva alla fine del Msi (che, in realtà, essendo stato fondato nel 1946 era già di suo un fenomeno “postfascista”). Postfascismo, quindi, come contesto storico e background sociologico di ciò che abbiamo definito “fascismo immaginario”.
24 ottobre 2003
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