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      Ma per il partito sarà un trauma realeintervista a Roberto Chiarini di Cristiana Vivenzio
 
 “Fini sta trasformando Alleanza nazionale da partito fortemente ideologico 
      in un partito d’opinione e questa trasformazione comporterà un vero e 
      proprio trauma per l’elettorato di An”. Roberto Chiarini, professore di 
      storia contemporanea all’Università di Milano e studioso della destra 
      analizza la “rivoluzione” che si sta compiendo all’interno del partito di 
      Fini e conta i feriti sul campo. “Sarà un passaggio drammatico perché 
      implicherà una riorganizzazione interna al partito, che da pesante e 
      strutturato dovrà divenire più leggero. Una svolta ancor più drammatica 
      per i militanti, il cui ruolo andrà definitivamente scomparendo, per 
      lasciare spazio a persone che partecipano all’attività del partito 
      giudicandone i comportamenti con atteggiamento laico e senza quel 
		sentimento di appartenenza fideistica che ne ha contraddistinto finora l’operato”.
 
 La scelta finiana parla chiaramente di una nuova identità politica, ma non 
      è che il pretesto per continuare un dibattito interno al partito, che ha 
      bisogno di prendere una direzione più decisa. “Da Fiuggi in poi si è 
      registrata una virata storica sul tema della memoria del Ventennio, niente 
      di nuovo, dunque, rispetto alle posizioni del passato. Tanto che credo che 
      ciò che più di tutto ha indispettito l’elettorato di An sia stato il modo 
      e il luogo. Non si manchi poi di considerare l’ambiguità delle parole di 
      Fini, perché non è chiaro se con 
      l’espressione “male assoluto” egli abbia voluto intendere l’antisemitismo 
      fascista o il fascismo in generale. Nel primo caso il giudizio 
      sull’antisemitismo è passato alla storia da tempo, anche nella destra 
      neofascista”.
 
 Una crisi annunciata, dunque, che impone a tutto il partito di guardare 
      avanti, rapportandosi alla politica nazionale e internazionale partendo da 
      un nuovo modo di essere. Una crisi che è sintomo di “un disagio che esiste 
      ed è profondo e che molto ha a che fare con l’identità cui si accennava, e 
      che ha costretto o indotto i militanti a riparare in un angolo isolato per 
      cinquant’anni. Per un partito ideologico l’identità è la risorsa 
      strategica più importante che non muta da un giorno all’altro sebbene si 
      possa modificare nel tempo”. Quello di Fini è stato allora un gesto miope 
      o dalla vista lunga? “Ciò che è accaduto in passato, il sacrificio già 
      avvenuto del sistema di valori condivisi dell’elettorato missino, è stato 
      un sacrificio morale simbolico, richiesto ai militanti dietro il premio 
      di un ottimo successo elettorale. Pensate ad un partito inchiodato al 4 
      per cento, fuori da ogni circuito della politica, che all’improvviso si 
      ritrova al governo con un successo più che raddoppiato: è un buon 
      risarcimento di qualsiasi subbuglio morale. Ma il presente di Alleanza 
      nazionale è ancora da chiarire: che cosa è An? Vuol rappresentare lo 
      statalismo dei ministeriali o il privatismo della piccola azienda? E’ un 
      partito integrato nell’Occidente, vero: ma di quale Occidente si tratta? quello 
      di Londra, Parigi o Washington? Propone il liberalismo ma non si capisce 
      se si ispiri al modello anglosassone conservatore thatcheriano o a quello 
      francese di De Gaulle. Di più: si rifà a modelli neoliberisti o al 
      liberalismo sociale? Per gli attivisti, per coloro che la politica la 
      fanno solo fortemente motivati ideologicamente, che sono una minoranza ma 
      rappresentano l’ossatura del corpo elettorale, è un travaglio perenne, un 
      trauma forte, è una sofferenza reale”.
 
 Il problema di una nuova identità per An apre anche la questione dei 
      rapporti interni alla coalizione, e del riposizionamento interno alla Casa 
      delle libertà, “un riposizionamento tattico ma anche politico in vista di 
      un maggior peso contrattuale di ciascuna parte politica. Soprattutto della 
      Lega, il cui elettorato per molti aspetti, soprattutto quelli di natura 
      antropologica più che ideologica, si avvicina a quello di Alleanza 
      nazionale: il senso di paura, il bisogno di conferme, la richiesta di ordine invocati 
      dalla gente. Lo stato d’incertezza che si è creato lascia scoperto uno 
      spazio politico che la Lega cercherà di accaparrarsi. Ancor più oggi che 
      la Lega, solo ieri antesignana della modernizzazione dell’Occidente, si fa 
      interprete delle paure di questo mondo, collegandosi a quel filone europeo 
      della nuova destra populista e xenofoba, antagonista del neofascismo 
      tradizionale. Quanto a Forza Italia, poi, sembra essere venuto meno quel 
      tacito accordo tra il leader di An e Berlusconi secondo cui “il ruolo da 
      gregario di Fini veniva ripagato dallo sdoganamento di An come forza di 
      governo”. Un patto mai accettato fino in fondo da Fini, il quale aspirava, 
      e tuttora aspira, a trasporre la legittimazione che gli viene 
      dall’opinione pubblica sul piano istituzionale. “Forza Italia intuisce 
      l’insidia, ma non può denunciare l’operato del suo alleato. Il quale però 
      non può aspettarsi neanche ponti d’oro”.
 
 5 dicembre 2003
 
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