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      Sciopero, arma impropria da codice penale?di Paolo Zanetto
 
 Nel primo giorno del mese di dicembre la città di Milano è impazzita. Lo 
		sciopero dei mezzi pubblici, previsto dalle 8.45 alle 15, all’insaputa 
		di tutti gli utenti è stato invece dilatato per tutta la giornata. Il 
		motore economico d’Italia per un giorno è quindi letteralmente saltato 
		in aria: non potendo contare sul loro rinnovo del contratto, i 
		ferrotranviari hanno pensato bene di mandare in apnea una città intera. 
		In quel giorno di pioggia, in una città paralizzata dallo sciopero 
		selvaggio di pochi ma fondamentali lavoratori, la mente ritornava alla 
		storia recente, richiamando un precedente analogo nelle modalità ma 
		assai differente negli effetti. Il 3 agosto 1981 il presidente Ronald 
		Reagan entrò nel giardino delle rose della Casa Bianca per parlare alla 
		Nazione. I controllori di volo americani avevano iniziato uno sciopero 
		al di fuori delle regole di garanzia dei servizi pubblici, una sorta di 
		“aquila selvaggia” d’oltreoceano. Reagan parlò agli scioperanti in 
		diretta Tv: dava loro 48 ore per mettere fine a qualunque protesta fuori 
		dalle regole. Chi non avesse rispettato l’ultimatum sarebbe stato 
		licenziato. Alcuni leader sindacali decisero di sfidare l’ordinanza del 
		presidente. Inutile dirlo, due giorni dopo non avevano più un lavoro. La 
		magistratura rinviò a giudizio 75 organizzatori della protesta 
		selvaggia, e comminò multe per due milioni di dollari. Da allora 
		l’America non conosce più scioperi nel settore del trasporto aereo.
 
 Anche in Italia la legge prevede dure sanzioni per chiunque commetta un 
		simile reato. Si chiama interruzione di pubblico servizio, è normato 
		dall’articolo 331 del codice penale. Punisce gli organizzatori di queste 
		proteste fuori da ogni regola con la reclusione da tre a sette anni. In 
		tutta questa vicenda, la prima ragione di curiosità è vedere chi – tra 
		qualche mese – avrà il coraggio di sostenere che chi ha commesso un 
		reato va punito. Oggi a parole sono tutti d’accordo. Il vice sindaco di 
		Milano, Riccardo De Corato, minaccia conseguenze legali e ricorda: 
		“abbiamo i nomi”. Il prefetto Bruno Ferrante convoca i segretari 
		regionali dei grandi sindacati, ma non precetta proprio nessuno. Il 
		presidente di Assolombarda, Michele Perini, ha il coraggio di annunciare 
		un ricorso in Procura. Sarà anche interessante vedere se a Palazzo di 
		Giustizia, tra un’inchiesta e l’altra su Berlusconi, avranno anche il 
		tempo di occuparsi dei problemi reali dei cittadini.
 
 Tuttavia non ci facciamo illusioni. Finirà con un niente di fatto, con 
		qualche polemica sulla commissione di garanzia. Ma quanto accaduto a 
		Milano solleva anche una seconda domanda: cosa succede nel sindacato? Il 
		segretario della Cisl, Savino Pezzotta, ha subito commentato con parole 
		dure: “ingiustificabile”. Poi ha ammorbidito: “Le responsabilità sono 
		anche di chi non ha disinnescato la situazione”. Peccato, era proprio 
		una di quelle situazioni che sarebbe stato bene condannare “senza se e 
		senza ma”, per usare uno slogan caro ai cortei degli scorsi mesi. No, il 
		sindacato non sospenderà i suoi soci fuori dalle regole. Il povero 
		Pezzotta si ritrova a gestire una situazione complessa. Da un lato un 
		sindacalista degno di questo nome non può permettere che centinaia di 
		lavoratori se ne freghino di qualunque regola di convivenza civile e di 
		applicazione del diritto di sciopero. Dall’altro i leader dei tre grandi 
		sindacati sono tirati per la giacca da quella vasta fronda, interna al 
		sindacato ma anche più “avanzata” a sinistra, che vorrebbe un movimento 
		dei lavoratori sempre in piazza, stile anni Settanta. Quel periodo non 
		ha portato bene al sindacato. Cgil, Cisl e Uil hanno imparato la 
		lezione. Eppure la situazione attuale è figlia delle proteste degli 
		ultimi anni, dell’anti-berlusconismo sfrenato, delle manifestazioni e 
		degli scioperi di cui abbiamo perso il conto, oltre ad averne 
		dimenticato le svariate motivazioni. Quando il sindacato vuole fare 
		politica, è facile che travalichi le sue funzioni. Pezzotta ha ragione: 
		le responsabilità in fondo sono anche di chi non ha saputo far 
		raffreddare gli animi. Si tratta soprattutto dei sindacati.
 
 5 dicembre 2003
 
 zanetto@tin.it
 
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