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        Verso quale Europadi Sandro Gozi
 
 Un nuovo processo costituzionale si è aperto in Europa. Una Convenzione, 
        composta da 105 “saggi” (15 rappresentanti dei governi e 30 membri dei 
        parlamenti dei paesi membri, 16 rappresentanti del Parlamento europeo, 
        due rappresentanti della Commissione e 3 rappresentanti – uno del 
        governo e due del Parlamento – dei paesi candidati), sotto la guida di 
        Valery Giscard d’Estaing, è stata incaricata dal Consiglio europeo di 
        Laeken di studiare le questioni essenziali legate allo sviluppo 
        dell’Unione europea e le soluzioni possibili in vista dell’allargamento. 
        I risultati della Convenzione dovranno servire da punto di partenza 
        della prossima Conferenza intergovernativa incaricata di rivedere i 
        trattati comunitari. Per allargare il dibattito e garantire un’ampia 
        partecipazione della società civile, un Forum, una rete cioè di 
        organizzazioni e associazioni, sarà regolarmente informato e consultato 
        sull’andamento dei lavori. La composizione della Convenzione, l’ampiezza 
        del mandato e la qualità e il peso dei suoi membri sono la prova che 
        qualcosa è cambiato in Europa.
 
 I leader europei sembrano essersi finalmente resi conto della necessità 
        di cambiare metodo: la costruzione della grande Europa, di tipo 
        continentale, non può più essere gestita da una piccola élite, 
        attraverso un negoziato tipicamente diplomatico, tra governi, a porte 
        chiuse. Sono troppe le aspettative sollevate dall’Europa per non dare 
        vita – nel momento in cui si avvia la storica unificazione di un 
        continente rimasto diviso da un mezzo secolo di guerra fredda – ad un 
        nuovo processo, più aperto, più trasparente e più democratico. Un 
        processo che stimoli finalmente un ampio dibattito pubblico su quale 
        tipo di Europa vogliamo, per raggiungere quali obiettivi e con quali 
        strumenti politici ed istituzionali. Non si tratta di complesse 
        questioni di ingegneria istituzionale. Si tratta di questioni altamente 
        politiche. Dopo mezzo secolo d’integrazione economica che – per vari 
        motivi, legati soprattutto al contesto internazionale – ha perseguito 
        alcuni obiettivi politici solo in modo indiretto e non dichiarato, è 
        arrivato il momento di abbandonare le “ambiguità costruttive” del 
        passato e di affrontare apertamente la “questione europea”. Per questo, 
        era necessario preparare il prossimo appuntamento istituzionale 
        attraverso un metodo nuovo, quello appunto della Convenzione.
 
 Ma il metodo non garantisce di per sé il risultato. Si tratterà di 
        vedere, nel corso dei lavori della Convenzione e al momento dell’inizio 
        dei lavori della nuova Conferenza intergovernativa, quale risultato i 
        “saggi” riusciranno ad ottenere e quanto veramente i governi vorranno 
        basare le decisioni finali sui lavori della Convenzione. Oggi è 
        difficile dirlo. Il dibattito sulle date, però, ancor prima che sui temi 
        di fondo, è già avviato. La Convenzione, infatti, dovrebbe terminare i 
        suoi lavori nel marzo del 2003, ma non è da escludere che si prolunghi 
        sino all’estate del 2003, mentre la data della nuova Conferenza 
        intergovernativa è ancora da fissare, e dipende da alcune variabili. La 
        prima variabile concerne i lavori della Convenzione: come saranno 
        organizzati? Quali opzioni verranno presentate ai capi di stato e di 
        governo? Quale sarà il grado di operatività e il margine di manovra 
        reale che verrà lasciato alla Conferenza intergovernativa? Forse, 
        infatti, il Consiglio europeo di Laeken non ha valutato appieno tutte le 
        conseguenze che potrebbero derivare dalla Convenzione. Nel corso dei 
        lavori, alcuni governi potrebbero cercare di “raddrizzare il tiro” e di 
        pervenire a conclusioni tanto ampie da lasciare una piena 
        discrezionalità alla Conferenza intergovernativa. Forse invece, il 
        movimento creato dalle elezioni attorno alla Convenzione sarà tale che 
        questa potrà giungere a delle opzioni operative, tali da permettere una 
        Conferenza intergovernativa breve, efficace e decisiva.
 
 La seconda variabile concerne il tempo che dovrà intercorrere dalla fine 
        della Convenzione all’inizio della Conferenza. Se prevalesse la tesi che 
        vuole che la Conferenza termini i lavori in tempo per le elezioni 
        europee del giugno 2004, la nuova Conferenza dovrebbe aprirsi nel 2003. 
        Dato che aprile e maggio 2004 saranno mesi di campagna elettorale, essa 
        dovrebbe terminare nel dicembre del 2003 (sotto presidenza italiana: “Da 
        Roma 1957 a Roma 2003”) o, al più tardi, all’inizio di marzo 2004. Se 
        invece prevalesse la tesi per cui sarebbe necessario un ampio dibattito 
        nazionale tra la fine dei lavori della Convenzione e l’inizio della 
        nuova Conferenza, allora la nuova Conferenza dovrebbe aprirsi nel 2004 
        o, al più presto, alla fine del 2003. Inoltre, le date della revisione 
        istituzionale e quelle del processo di allargamento si sovrappongono. 
        Bisogna quindi chiedersi come organizzare la partecipazione dei paesi 
        candidati alla riforma dei trattati. Come, già ricordato, questi 
        parteciperanno ai lavori della Convenzione, in qualità di osservatori. 
        Quid invece della loro partecipazione alla Conferenza intergovernativa?
 
 Va considerato infatti che i risultati della Conferenza dovranno venire 
        ratificati anche dai nuovi membri. Sarebbe, quindi, molto rischioso 
        escluderli dai lavori della Conferenza. Inoltre, la Conferenza potrebbe 
        aprirsi con i processi di ratifica relativi alle nuove adesioni dei 
        paesi candidati ancora in corso, ma questi potrebbero concludersi prima 
        della fine della Conferenza. In tal caso, i nuovi membri dell’Unione che 
        hanno già ratificato l’adesione diventerebbero membri a pieno titolo 
        della Conferenza intergovernativa. D’altra parte, un negoziato a 18, 20 
        o 25 Stati diverrebbe estremamente complesso e i risultati ancor più 
        incerti. Al di là del possibile ingorgo istituzionale, vanno considerate 
        le difficili questioni di fondo che la Convenzione dovrà trattare. Si 
        dovranno infatti cercare nuove vie per garantire una nuova legittimità e 
        una nuova leadership nell’Unione di domani, che nel momento in cui si 
        allarga dovrà anche avviare un importate processo di decentramento 
        interno, concentrandosi sulle missioni fondamentali, per completare e 
        rafforzare l’azione degli Stati e assumere pienamente le sue 
        responsabilità di potenza regionale e attore globale.
 
 In particolare, la ricerca di una legittimità europea dovrà essere al 
        centro dei lavori della Convenzione. Il sistema politico europeo dovrà 
        trasformarsi e divenire più conforme ai valori fondamentali ai quali i 
        trattati comunitari si riferiscono: i diritti e le libertà fondamentali, 
        sanciti nella Carta dell’Unione, il principio democratico e 
        maggioritario, la cittadinanza, la solidarietà e la responsabilità 
        politica, l’accountability, delle istituzioni europee. Attraverso una 
        nuova legittimità, sarà possibile avviare un processo di 
        “politicizzazione” del sistema che dovrebbe anche permettere 
        d’identificare una nuova leadership esecutiva, sviluppare nuove 
        sinergie, soprattutto tra Consiglio e Commissione, e ripensare i 
        rapporti tra Parlamento europeo e parlamenti nazionali, superando una 
        volta per tutte le reciproche diffidenze. L’Unione allargata avrà 
        infatti bisogno di essere un’Unione più efficace, soprattutto per quanto 
        concerne l’esercizio del potere esecutivo e la ripartizione delle 
        competenze tra livello comunitario e livello nazionale e locale, e più 
        democratica, attraverso un rafforzamento dei poteri di orientamento e di 
        controllo del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali. Un tale 
        processo comporta anche una grande trasformazione di società. Ed è 
        perciò fondamentale che la riforma dell’Europa diventi una questione di 
        società, che sia dibattuta, a viso aperto, senza pregiudizi o posizioni 
        preconcette. Solo così, con un’ampia partecipazione dei cittadini, il 
        processo europeo potrà solidamente avanzare: sarebbe molto pericoloso, 
        infatti, se un giorno i leader europei si voltassero e si accorgessero 
        di essere soli sul cammino europeo.
 
 25 aprile 2002
 
 (da Ideazione 2-2002, marzo-aprile)
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