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        Jospin: cronaca di una sconfitta annunciatadi Paolo Zanetto
 
 E così Lionel Jospin, il grande campione del politically correct, non è 
        arrivato nemmeno al secondo turno. Proprio lui, il primo ministro 
        uscente, quello che a tre giorni dal voto si permetteva di sfottere 
        Silvio Berlusconi e di additarlo come governante fallimentare, non ce 
        l’ha fatta neanche a superare il primo turno. Come la Ferrari degli anni 
        passati, che rompeva il motore durante il giro di ricognizione del gran 
        premio. Ma che peccato: a noi italiani, i cugini poveri e un po’ 
        antipatici, quelli che al Salone del Libro di Parigi hanno dovuto subire 
        gli sfottò dei contestatori (in massima parte italiani, per la verità), 
        è dispiaciuto davvero. E non tanto per simpatia verso Jospin, che di 
        simpatico o di umano ha ben poco. Ci è venuta tristezza per la tragicità 
        della sconfitta, per la situazione grottesca, per le lacrime di 
        Dominique Strauss-Kahn mentre usciva dal comitato elettorale e, forse, 
        dalla politica. E ci è quasi – ripeto, quasi – venuto da ridere mettendo 
        a confronto il raffinato Jospin, prodotto certificato dall’Ena e figlio 
        del più rispettato establishment francese, con Jean-Marie Le Pen, un 
        tizio il cui programma elettorale si riassume nell’andare ai Consigli 
        europei per sostituire la targhetta sul tavolo con la scritta “Francia” 
        con una con la scritta “veto”. Ci siamo quasi commossi quando il povero 
        Lionel ha annunciato il ritiro dalla vita politica, e ce lo siamo subito 
        immaginati in Corsica, a veleggiare tranquillo, con il telefonino 
        spento, magari sull’Ikarus di Massimo D’Alema.
 
 Eppure, nonostante il dramma umano, Jospin questa disfatta se l’è un po’ 
        cercata. Con quel suo atteggiamento ultra-europeista, che considerava lo 
        spirito comunitario una sorta di marchio di fabbrica che solo i francesi 
        hanno il diritto di attribuire, a scapito delle imitazioni, un po’ come 
        lo champagne e lo spumante. Con quel suo asse internazionale con la 
        Germania di Schroeder che passava più dall’affinità di famiglia 
        socialista che non dalle esigenze dell’Unione Europea, e che alla fine 
        ha rallentato molto lo sviluppo della costruzione europea. Con quel suo 
        atteggiamento ondivago tra moderazione e linea dura, tra il buongoverno 
        e le 35 ore, tra buoni rapporti con le grandi aziende e i ricatti dei 
        Verdi sull’apertura del tunnel del Monte Bianco.
 
 Che dramma dev’essere stato per lui, il bravo Lionel, il primo della 
        classe. L’addio alla politica è quasi una necessità: adesso arriva il 
        momento di riflettere, ripensare, e eventualmente preparare il ritorno 
        sulla scena nei prossimi anni. Lontano da Parigi, probabilmente lontano 
        dalla Francia. Eppure, non è tutta colpa di Jospin: i socialisti 
        francesi assomigliano alla celebre armata Brancaleone, anche per colpa 
        di un segretario di dubbia visione come François Hollande. La loro moda 
        è inseguire insieme il massimalismo e il riformismo, e non capirci più 
        niente. Forse bisogna dare a Moretti il numero di Hollande: un bel 
        girotondo e via, passa tutto. E già che ci siamo, dobbiamo ricordare a 
        D’Alema di invitare Jospin: a New York, dove il leader Massimo passa 
        buona parte del suo periodo sabbatico, le miserie della sinistra europea 
        sono più lontane.
 
 25 aprile 2002
 
 zanetto@tin.it
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