La Dichiarazione di Roma e l'Europa che verrà
di Giuseppe Mancini
Berlusconi mattatore. Perché ha saputo trasformare un accordo di per sé
poco significativo, come la Dichiarazione di Roma firmata a Pratica di
Mare, in avvenimento di portata storica: tracciando uno scenario
futuribile di coinvolgimento della Russia, a pieno titolo, nel processo
di integrazione europea. Un successo personale, un successo della
diplomazia italiana, una speranza affinché l'Europa divenga finalmente
un attore decisivo nello scacchiere mondiale. L'accordo di Pratica di
Mare, se tolto dal contesto dei rapporti tra l'Occidente e Mosca, ha in
definitiva un'importanza limitata. Esso non sancisce assolutamente
l'ingresso della Russia nella Nato. In sostanza, il Consiglio dei Venti
che viene creato è poco dissimile dal Consiglio permanente congiunto tra
Nato e Russia esistente dal luglio 1997. Come allora bisognava trovare
il modo di risarcire Mosca per l'imminente allargamento dell'Alleanza
atlantica alla Polonia, all'Ungheria e alla Repubblica ceca, oggi il
risarcimento viene concesso in vista della seconda ondata che verrà
formalizzata al vertice novembrino di Praga (si pronostica l'ingresso di
sette paesi: Estonia, Lituania, Lettonia, Slovenia, Slovacchia, Bulgaria
e Romania).
Beninteso, la Dichiarazione di Roma è un concreto passo in avanti,
perché rafforza le forme di possibile cooperazione tra gli ex nemici
della Guerra fredda, soprattutto nell'ambito della convergenza
geostrategica determinata dalla lotta globale al terrorismo, dopo l'11
settembre. Ma ad un passo in avanti ne corrispondono due indietro. Il
primo, la probabile trasformazione della Nato in un'entità che di
militare avrà ben poco: con l'allargamento prossimo a 26 membri,
infatti, si trasformerà in un forum politico, vedrà la sua efficienza
definitivamente strangolata dalla burocrazia organizzativa, pur
continuando ad essere lo strumento formale che sancisce la presenza
degli Stati Uniti in Europa. Ma quando si è trattato di fare sul serio,
contro Saddam Hussein e contro Osama bin Laden e il mullah Omar,
Washington ha sempre preferito i legami bilaterali, al di fuori dei
formalismi e delle restrizioni del trattato. Il secondo passo indietro,
invece, è l'annuncio nelle scorse settimane da parte di Putin - che non
è stato ripreso dai media occidentali - della creazione di
un'Organizzazione per la Sicurezza collettiva in Asia centrale:
un'alleanza militare che unirebbe la Russia e le 5 repubbliche
centrasiatiche post sovietiche (non molto contente, peraltro, di
quest'iniziativa) in strutture militari congiunte che condividerebbero
anche la politica estera. Insomma, una riproposizione nei fatti
dell'idea russa della metà degli anni Novanta: un ombrello europeo di
sicurezza (rappresentato dall'OCSE) in cui convivessero le
responsabilità militari della Nato per l'Europa occidentale e di un
organismo militare sotto la guida di Mosca per lo spazio post sovietico,
per quell'estero vicino che viene ancora considerato patrimonio
esclusivo da sottrarre alle minacciose influenze americane. La
satellitarizzazione della Bielorussia, la cooptazione dell'Armenia
(anche in funzione anti-turca), le continue pressioni sull'Ucraina fanno
parte dello stesso disegno geopolitico.
La genialità politica di Berlusconi nasce allora da questa
constatazione: che una cooperazione fattiva e non solo formale tra
Occidente e Russia sarà possibile solo all'interno di quella Casa comune
europea che Gorbaciov prefigurò già nel 1984, in un'Europa che vada
dall'Atlantico a Vladivostok, passando per gli Urali. La Russia è ben
avviata verso la creazione di uno stato di diritto e un'economia di
mercato. Per completare la transizione, ha bisogno di sostegno
economico, da incastonare però in un progetto politico di lungo respiro.
Se prevarrà questa visione politica (e Berlusconi in proposito non ha
dubbi), allora l'Accordo di Pratica di Mare verrà considerato a ragione
un avvenimento epocale; se prevarrà viceversa il volar basso che da
troppi anni caratterizza la politica europea (e anche, in minor misura,
quella americana), si tratterà dell'ennesima occasione perduta.
7 giugno 2002
giuse.mancini@libero.it
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