Gerhard Schröder e la sindrome di Paperino
dal nostro inviato
BERLINO. Tra le varie qualità che può vantare il cancelliere uscente
Gerhard Schröder, una non è stata ancora valutata con la dovuta
evidenza: la fortuna sfacciata. Quando nel 1999, dopo il primo
disastroso anno di governo, l'Spd perse le elezioni europee e gli
elettori sembravano vittime di un virus nostalgico verso il suo
predecessore Helmut Kohl, sopraggiunse lo scandalo dei fondi neri della
Cdu che spazzò via l'intera classe dirigente democristiana, compreso il
suo ingombrante padre nobile. E il cancelliere risalì nei sondaggi. Ora
che la campagna elettorale sembrava indirizzata verso una sonora e
umiliante sconfitta (la stessa moglie aveva incautamente fatto intendere
che erano ormai pronte le valigie per un dorato pensionamento a New
York), è arrivata l'alluvione a risollevare le sorti del governo. La
catastrofe naturale che ha colpito Desdra e dintorni ha causato molte
vittime e un solo miracolato: Gerhard Schröder.
Sarebbe eccessivo, però, ridurre le qualità politiche del cancelliere
solo alla fortuna. Anche perché le occasioni bisogna saperle cogliere e
sfruttare sino in fondo. Ma ciò che sorprende di più nello strano
rapporto che lega questo politico alla sua gente è che più lui combina
pasticci, più la gente gli vuol bene. E' la sindrome di Paperino. Che
potrebbe aiutarlo a superare la crisi e a riguadagnare il posto nelle
nuova Cancelleria di Berlino.
Politico di lungo corso, Schröder ha trascorso tutta la sua vita dentro
l'Spd cogliendo al volo l'occasione presentatasi quattro anni fa di
fornire un volto rassicurante all'elettorato stufo della lunga monarchia
di Kohl. Serviva un moderato, uno che avesse rapporti intensi con la
grande industria, un socialdemocratico che guardasse al centro e non
alimentasse le paure del massimalismo sindacale. Schröder, nonostante un
passato giovanile nella componente più a sinistra e anti-americana dell'Spd,
era diventato la persona giusta e inflisse al padre della Germania
riunificata la più dolorosa sconfitta politica della sua carriera.
Sembrò una svolta totale, perché il nuovo cancelliere ebbe il coraggio
di consolidare una maggioranza di sinistra, portando al governo i Verdi
e il loro bagaglio politico sessantottino. Grande industria ed ex
contestatori, riuniti in una coalizione di interessi che avrebbe dovuto
ridisegnare i contorni della sinistra tedesca all'ombra dell'allora
trionfante "Ulivo mondiale".
Non è andata così. Le difficoltà del governo sono state più numerose del
previsto. La modernizzazione proposta è rimasta in gran parte sulla
carta, i dati economici sono tutti peggiori di quelli ereditati dalla
lunga stagione democristiana. Ma come accade spesso alla generazione che
ha fatto il Sessantotto, Schröder è abile a scaricare la colpa sugli
altri. L'economia va male? Colpa dell'11 settembre che ha contratto le
esportazioni verso gli Stati Uniti. I disoccupati aumentano? Colpa delle
politiche ereditate da Helmut Kohl. Già, Kohl. E' ancora lui il termine
di paragone di questa campagna elettorale. Schröder tenta di
rivitalizzare le speranze di rinnovamento che accompagnarono la sua
ascesa alla Cancelleria, paventando il ritorno del vecchio se vincerà il
suo avversario. Nei suoi comizi solo il tono pacato ricalca quello stile
presidenziale che i suoi guru hanno imposto come filo conduttore della
propaganda elettorale. I discorsi sono invece molto retorici e generali,
di politica concreta si parla poco. Meglio far dimenticare quattro anni
di governo e puntare sui fantasmi di un passato ormai, però, un po'
troppo remoto. (p. men)
13 settembre 2002
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