Con Schröder ha vinto una Germania stanca
C'è ancora Schröder sulla poltrona della Cancelleria di Berlino. L'ha
conservata grazie all'exploit dell'alleato Joschka Fischer e a una
spregiudicata chiusura di campagna elettorale su temi che non
incideranno sulla vita dei cittadini tedeschi (la guerra degli Usa in
Irak). Eppure ha funzionato. La Germania si trova adesso nella triste
condizione di dover spedire tutti i suoi emissari possibili e
immaginabili con il cappello in mano (a partire dal ministro degli
Esteri) per provare a ricucire la grave rottura con Bush. E' isolata sul
piano internazionale, perché nella concitazione elettorale il suo
cancelliere non ha saputo fermarsi un attimo prima e un suo ministro si
è fermata più di un attimo dopo ("Bush? Come Hitler"). Ma soprattutto si
ritrova con i conti pubblici in disordine, con un mercato del lavoro
irrigidito, con una disoccupazione che supera i 4 milioni di lavoratori.
Per far fronte a tutto questo non basterà la proposta sulla
liberalizzazione del mercato del lavoro, scritta in tutta fretta in
campagna elettorale dal capo della Volskwagen.
Il paese che si risveglia dopo l'incredibile testa a testa di domenica
notte scopre che forse la guerra degli Usa a Saddam non sarebbe dovuto
essere il piatto forte della campagna elettorale. Anche perché le mosse
(sinora inutili) dei pompieri di Berlino lasciano un po' l'amaro in
bocca anche ai pacifisti più incalliti: ma come, fino a ieri
l'opposizione a Bush era intransigente e oggi il ministro Fischer vola a
Londra per chiedere a Blair di intercedere presso la Casa Bianca?
Abbiamo scherzato, sostiene Schröder, c'est la politique. Ma gli Usa non
si sono divertiti.
Un'analisi più dettagliata della geografia elettorale emersa il 22
settembre semina altre inquietudini per il governo rosso-verde atto
secondo. Primo: la delusione degli ambienti imprenditoriali, espressa
chiaramente dal capo dell'organizzazione di categoria, che ha
contribuito a deprimere le borse europee all'inizio della settimana. La
volta scorsa furono proprio gli industriali a decretare la svolta e a
benedire il Neue Mitte socialdemocratico, dopo sedici anni di era Kohl.
Secondo: l'appoggio al nuovo governo viene dai Länder dell'Est, dove le
paure hanno prevalso sulle speranze, l'atteggiamento passivo
sull'ottimismo, il bisogno di sicurezza sulla voglia di rischiare. E
dove l'antiamericanismo tocca ancora corde antiche che risuonavano negli
anni del regime. L'Ovest ha votato Cdu. O meglio, è tornato a votare la
Cdu, consentendole di uscire dalla crisi in cui l'aveva gettata lo
scandalo dei fondi neri e di recuperare il ruolo di catalizzatore degli
interessi della parte più dinamica del paese. Terzo: i verdi non sono
solo Joschka Fischer. Sono anche e soprattutto un partito intriso di
ideologismo e pauperismo, che predica un'arcadia terrestre i cui conti
finiscono sempre sulle bollette altrui. Lo Stato sociale al servizio
delle utopie. Ma oggi quella bisaccia è vuota e la scelta pauperistica
costa in termini di diminuzione della ricchezza e di assenza dello
sviluppo, come dimostrerà la scelta di abbandonare il nucleare. I verdi
pesano di più sul nuovo governo, perché lo hanno fatto vincere. Hanno
acquisito nuovo voto borghese ma è una borghesia diversa da quella
imprenditoriale, che vive delle rendite passate e vuole godersele nel
giardino di casa.
Molti ostacoli, insomma, per il vecchio-nuovo cancelliere. Al quale non
basterà governare con l'indolenza mostrata in questi quattro anni. Il
suo feeling con il paese è ancora vivo, risulta simpatico e gradevole e
riesce a convincere la gente. Ma questa volta ha convinto gente diversa
rispetto a quattro anni fa. La sua base sociale è cambiata, è più
ideologica e più stanca di quella che lo aveva premiato nel 1998. Ha una
maggioranza numericamente ridotta e politicamente più inquieta. E
un'opposizione che torna a sentire il profumo della vittoria. Riuscirà a
scrollarsi di dosso tutti questi pesi e a intraprendere, finalmente e
con decisione, una vera azione riformatrice? I dubbi persistono e una
cosa è certa: finita l'ubriacatura elettorale saranno i temi interni a
riproporsi in tutta la loro drammatica realtà. (p. men.)
27 settembre 2002
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