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        Europa, questa sconosciutadi Franco Berlino
 
 Il minimo che si possa dire sulla posizione comune dell’Unione Europea 
        rispetto al terrorismo è che essa appare ondivaga. Ma si può dire molto 
        di più. Ad esempio che non esiste. Quello che emerge dai summit europei 
        non è, infatti, la risultante di posizioni diverse che si compongono in 
        unità attraverso uno sforzo di mediazione: più prosaicamente è la 
        posizione di quello stato – o di quella alleanza di stati – che in quel 
        determinato momento ha più forza sul piano politico o mediatico. E così, 
        dopo le testimonianze di fede e di impegno del periodo dominato dal 
        triangolo Londra-Madrid-Roma siamo passati alle prudenze e ai distinguo 
        del periodo attuale che vede l’Unione rinsaldarsi attorno al redivivo 
        asse Parigi-Berlino. Posizioni sempre scavalcate dall’attivismo delle 
        singole diplomazie nazionali, che non intendono esaurire i propri 
        rapporti internazionali nella casa comune europea e si agitano attorno 
        ai grandi attori globali con il peso piuma di una mosca, oscillando tra 
        nobili tentativi di mediazione e prese di posizione di pura 
        testimonianza.
 
 L’Europa dunque è ondivaga, o non esiste, a seconda di come si voglia 
        guardare il caotico panorama brussellese. Una volta parla per bocca di 
        Blair e traccia la linea di totale impegno al fianco dello storico 
        alleato americano. Un’altra parla per bocca di Schröder e giura che mai 
        e poi mai seguirà gli Usa nella guerra a Saddam Hussein. Una volta si 
        affida alla mediazione filo-occidentale di Berlusconi. Un’altra ai 
        poteri di veto in sede Onu di Chirac. Fra tutta questa confusione si 
        aggira il fantasma di Javier Solana, quello che molti ambienti 
        giornalistici continuano a chiamare il ministro degli Esteri dell’Unione 
        e che invece nessuno sa chi sia, cosa faccia e cosa abbia da impettirsi 
        ogniqualvolta si accenda una telecamera. Del ruolo internazionale 
        europeo resta ingloriosa traccia nel pugno di mosche che raccolse la 
        missione spagnola in Israele, lo scorso inverno in uno dei momenti caldo 
        del conflitto israelo-palestinese: uno dei momenti più bassi del 
        semestre di presidenza spagnolo.
 
 Stretta da un’opinione pubblica contraria alla guerra, 
        deresponsabilizzata da decenni di politica estera appaltata agli Stati 
        Uniti, concentrata sull’ombelico del proprio allargamento, l’Unione 
        Europea stenta a trovare una collocazione nello scenario internazionale 
        del dopo 11 settembre. Anzi lo esorcizza, quasi facendo finta che nulla 
        di veramente epocale sia accaduto quel giorno. Non vede, non sente, non 
        parla. Al massimo minimizza, facendosi burla dell’attivismo di Bush, 
        della sua voglia di reagire, della sua nuova dimensione di presidente 
        con l’elmetto. Tutto esagerato, tutto drammatizzato: la cerimonia di 
        commemorazione dell’attacco alle due torri svoltasi a Bruxelles lo 
        scorso settembre è stata di una scialberia quasi irritante. C’è sempre 
        una ragione comprensibile per ogni nefandezza, per l’antiamericanismo, 
        per il terrorismo, per la lotta al capitalismo e giù un profluvio di 
        manifestazioni di anime candide dell’antiglobal, di libelli da quattro 
        soldi che hanno invaso le librerie di mezza Europa, di commenti 
        giornalistici intinti nell’inchiostro della viltà. Mentre altrove 
        tornano a esplodere le bombe, a Bali, a Manila, e un gruppo di 
        terroristi fanatici assalta un teatro a Mosca con ottocento persone 
        dentro. Accade altrove. Accade lontano (anche se la nuova Europa 
        dell’allargamento dista da Mosca solo 1000 chilometri). Accade fuori dal 
        cono di luce del provincialismo europeo.
 
 29 ottobre 2002
 
 fberlino@hotmail.com
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