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        Chi ha paura della Turchia?di Luciano Lanna
 
 Chi ha paura della Turchia? Chi teme l'ingresso in Europa di questo 
        grande paese, erede di una secolare tradizione di tolleranza e civiltà? 
        Ha scritto lo storico Philip Mansel: "L'eredità più preziosa che 
        Costantinopoli ha lasciato al mondo è il suo ruolo, e il suo esempio, di 
        grande capitale internazionale, che ignorava i rigidi confini di tipo 
        etnico, sociale e religioso. A Costantinopoli la molteplicità di 
        identità era un fatto naturale: la città era una porta aperta nel muro 
        che separava islam e cristianesimo. La "sede del Califfato" apparteneva 
        al "sistema Europa": a Costantinopoli si poteva essere ad un tempo greci 
        e ottomani, musulmani ed europei, e considerare la nazionalità un 
        mestiere anziché una passione…". Certo, molto è cambiato nel corso del 
        Novecento, il secolo nel quale il nazionalismo ha lasciato il segno, 
        lacerando convivenze secolari e generando reazioni a loro volta 
        irrazionali. E' la Turchia di oggi, non più quella di allora.
 
 La rivoluzione politica successiva al crollo del Califfato col pretesto 
        della nazionalizzazione fece perdere al paese i suoi tratti cosmopoliti 
        e ridusse la presenza delle comunità occidentali. E alla centralità di 
        Istanbul subentrò quella di Ankara: la Turchia spostava i suoi interessi 
        geopolitici verso l'Asia centrale, pur sempre guardando a Occidente. Se 
        si chiudeva all'interno, si apriva, infatti, nella strategia delle 
        alleanze. Nel secondo dopoguerra, in particolare, ha sempre 
        rappresentato il bastione orientale della Nato, con l'esercito più forte 
        dell'alleanza dopo quello statunitense. La Turchia, inoltre, è sempre 
        stata membro del Consiglio d'Europa e ha sempre applicato l'economia di 
        mercato. Certo, permangono zone d'ombra e punti da chiarire: il ruolo 
        dei "militari" nella democrazia turca, la situazione carceraria, la 
        questione curda e quella cipriota. Ma sono situazioni in evoluzione e 
        delle quali l'integrazione europea può determinare la stessa soluzione. 
        Altro discorso è quello sull'identità religiosa dei turchi, usato per lo 
        più come pretesto e capro espiatorio. Ma i bene informati sanno che non 
        è quello il problema e che i veri nodi irrisolti sono di ben altra 
        natura.
 
 Non è un caso che gli oppositori più decisi all'integrazione della 
        Turchia siano i tedeschi, che sul loro territorio hanno oltre due 
        milioni di immigrati turchi, la più vasta delle comunità straniere in 
        Germania. Il timore di Berlino riguarderebbe, in realtà, il possibile 
        aumento di questa presenza, non altro. D'altra parte, se si tiene conto 
        che oltre metà della popolazione turca ha oggi meno di venticinque anni, 
        che il tasso di natalità supera il 3,5 per mille - il doppio rispetto 
        alla media europea - si potrebbero spiegare i timori dell'area 
        germanica. Ma non è anche vero che un possibile "aiuto" europeo potrebbe 
        svolgere un ruolo modernizzatore sulle aree arretrate del paese, 
        sostenendo lo sviluppo "in loco" e condizionando ulteriormente la strada 
        del rispetto dei diritti umani? Non sarebbe anche vero che facendo più 
        europea la Turchia si aiuterebbero i turchi anche a casa loro, riducendo 
        molte immigrazioni di necessità?
 
 "Certo che i turchi devono entrare in Europa!" ha profetizzato lo 
        scrittore turco di origine curda Yashar Kemal, aggiungendo: "Perché non 
        dovrebbero farlo? La Turchia è al confine con l'Europa e a poco per 
        volta entrerà a farne parte". E all'osservazione che si tratterebbe 
        dell'entrata in Europa di un paese musulmano, Kemal, ha ribattuto: "E 
        perché no? Sarebbe indubbiamente una svolta. Ora l'Europa può farlo. 
        Guardiamo alla Gran Bretagna: ancora oggi resiste su molte cose, ha 
        specificità tutte sue. Eppure cinquant'anni fa non avremmo mai detto che 
        gli inglesi sarebbero entrati nella Comunità". E' un'ipotesi ancora 
        percorribile. L'Europa potrebbe favorire l'egemonia turca a Oriente, 
        garantendosi oltretutto un interlocutore di fiducia. La Turchia, del 
        resto, riveste un ruolo geo-politico di prima grandezza dai Balcani al 
        Medio Oriente sino all'area dell'ex impero sovietico. Perché farne a 
        meno? Perché non garantire all'Europa la sua naturale funzione di ponte 
        tra Est e Ovest? Forse dare una risposta al destino turco significa 
        anche costruire il futuro europeo. Come un diplomatico americano, Stuart 
        Eisenstat, disse al ritorno da un viaggio a Istanbul: "L'Europa non 
        sarebbe completa senza la Turchia".
 
 29 ottobre 2002
 
 lucianolanna@hotmail.com
 
 (da Emporion n. 18 - 23 ottobre 2002)
 
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