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        Corsivo. La trappola dei Democratici in Floridadi Byron York
 
 Il repubblicano Jeb Bush vince la corsa alla poltrona di governatore 
        della Florida quasi con un plebiscito. La repubblicana Katherine Harris 
        conquista un seggio alla Camera dal tredicesimo distretto congressuale 
        della Florida con un ampio margine. Il repubblicano Tom Feeney guadagna 
        nettamente un seggio nel nuovo distretto della Florida, il 
        ventiquattresimo. Tutti e tre sono state delle figure chiave nel 
        ricalcolo dei voti della Florida nelle elezioni del 2000: Bush, il 
        governatore repubblicano fratello del candidato alla presidenza, Harris, 
        il segretario di stato repubblicano, e Feeney, il portavoce repubblicano 
        della Camera dei deputati che chiese che tutti gli elettori di George W. 
        Bush fossero mandati a Washington. Tutti subirono attacchi feroci dai 
        democratici che giurarono di fargliela pagare per aver rubato 
        l'elezione ad Al Gore. Ed ora hanno vinto tutti e tre. Uno dei temi 
        principali dei risultati elettorali di ieri è stato il completo 
        fallimento della strategia della "rabbia della Florida" come forza 
        motivante per i democratici. Non ha funzionato né in Florida né in 
        nessun'altra parte del paese.
 
 Nel febbraio del 2001, in una sala da ballo di un hotel di Washington, 
        Terry McAuliffe, appena eletto presidente del Comitato Nazionale 
        Democratico, tenne un discorso che mandò quasi in visibilio una folla di 
        attivisti di partito. "Trasformeremo la rabbia per il caso della Florida 
        in energia politica", disse McAuliffe con la voce che diventava un urlo. 
        "Dimostreremo che esiste la vittoria dopo il rifiuto, la democrazia dopo 
        la Florida, Daschle dopo Lott, Gephardt dopo Hastert e la giustizia dopo 
        la Corte Suprema degli Stati Uniti. Daremo agli americani un Congresso 
        di cui andare fieri e cacceremo George Bush nel 2004". La rabbia nella 
        stanza rasentava l'irrazionalità. Come la strategia di McAuliffe. 
        Guidato dalla sua personale frustrazione per la Florida e da quella dei 
        suoi principali aiutanti di campo, McAuliffe fece della sconfitta di Jeb 
        Bush l'obiettivo numero uno del suo partito. Questo, credeva, avrebbe 
        avuto un effetto "devastante" su Gerorge W. Bush e avrebbe aiutato i 
        democratici a conquistare la Casa Bianca fra due anni. Solo domenica 
        scorsa McAuliffe aveva predetto che Jeb Bush avrebbe perso, dicendo: 
        "Conquisteremo la Florida e questo ci rafforzerà molto in vista del 
        2004".
 
 Contemporaneamente McAuliffe ha dedicato un'enorme quantità del suo 
        tempo e delle risorse del suo partito alle questioni dei diritti 
        elettorali. I democratici hanno dilapidato molto denaro nel nuovo 
        Istituto per i diritti elettorali e, nei giorni precedenti l'elezione, 
        si sono dati furiosamente da fare insinuando che in tutto il paese gli 
        elettori erano stati intimiditi, come avevano sostenuto per il caso 
        della Florida. Ieri pomeriggio, per esempio, il consigliere legale del 
        Comitato Nazionale Democratico, Jack Young, in un briefing telefonico 
        con i giornalisti, ha descritto quelli che lui chiamava i diffusi sforzi 
        dei repubblicani per tenere gli elettori lontano dai seggi elettorali. 
        "I repubblicani sanno bene quanto noi chi ha vinto il voto popolare nel 
        2000", ha detto Young. "Penso che abbiano paura di perdere se tutti gli 
        americani vanno a votare". Il Grand Old Party, ha detto Young, "vuole 
        chiaramente limitare il diritto" di voto.
 
 Lunedì McAuliffe ha rilasciato una dichiarazione, insinuando che il 
        partito repubblicano aveva intimidito elettori in Maryland, in Texas e 
        in New Hampshire. "Signor presidente, non permettiamo che il nostro 
        processo elettorale sia ancora una volta preda di sporchi imbrogli 
        politici - ha detto - dica ai suoi attivisti repubblicani di smettere di 
        intimidire gli elettori e di lasciare che gli americani esercitino il 
        diritto di voto senza subire molestie e intimidazioni". La settimana 
        precedente McAuliffe aveva ancora fatto dichiarazioni insinuando 
        comportamenti repubblicani non ortodossi in Arkansas, Florida e 
        Missouri. La settima ancora precedente aveva accusato i repubblicani di 
        creare un "alto livello di negazione del diritto di voto". E' stata, 
        alla fine, una strategia disastrosa. Ossessionato dalla Florida, 
        McAuliffe ha passato più tempo a parlare del diritto di voto - e 
        immaginando gli sforzi dei repubblicani per sopprimerlo - che di quello 
        per cui i democratici avrebbero potuto votare. Sconfiggere Jeb Bush non 
        era un'idea abbastanza grande.
 
 E poi, se McAuliffe avesse raggiunto il suo obiettivo principale, quale 
        aiuto avrebbe portato al partito nazionale? Se foste il presidente del 
        Comitato Nazionale Democratico, preferireste conquistare il Senato degli 
        Stati Uniti o la magione del governatore della Florida? McAuliffe ha 
        scelto la seconda. Ora non ne ha nessuna. E presto potrebbe perdere il 
        posto. Le grosse perdite dei democratici segneranno probabilmente l'atto 
        finale della controversia sulla Florida nelle elezioni del 2000 come 
        fattore serio nella strategia del partito. E' difficile immaginare come 
        McAuliffe, che si identificava così tanto con quella strategia ed ora ha 
        perso, possa rimanere al suo posto. Un'ultima cosa. Vi ricordate di 
        Carol Roberts? Era il commissario pro Gore della contea di Palm Beach 
        che, durante il conteggio del 2000 aveva aggressivamente tentato di 
        dirigere il conteggio nella direzione dei democratici. Questa volta ha 
        sfidato il deputato repubblicano uscente nel ventiduesimo distretto 
        della Florida. Ha perso.
 
 8 novembre 2002
 
 (da 
        National Review, traduzione dall'inglese di Barbara Mennitti)
 
 
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