| Il Medio Oriente dopo Saddam intervista a Marco Guidi di Pierpaolo La 
        Rosa
 
 Un conflitto, meglio se di breve durata, e poi la definitiva svolta 
        politica a Bagdad. Liberare il popolo iracheno, e anche il mondo intero, 
        dal pericolo di un dittatore sanguinario, senza scrupoli, capace di 
        usare armi di distruzione di massa, come la vicenda curda conferma in 
        modo drammatico. Insomma, il progetto disegnato dall’amministrazione di 
        George W. Bush un pregio ce l’ha: quello della chiarezza. Certo, parlare 
        del dopo Saddam è esercizio rischioso. Tante, forse troppe le variabili 
        da mettere in conto: dalla reazione del mondo arabo alla probabile 
        risposta di al Qaeda, l’organizzazione terroristica legata a Osama Bin 
        Laden. Dei possibili scenari futuri abbiamo parlato con Marco Guidi, 
        caporedattore de “Il Messaggero” ed inviato di guerra di lungo corso: 
        uno che, per capirci, nei sei anni di permanenza in Afghanistan ha 
        incontrato da vicino quello che sarebbe diventato lo sceicco del 
        terrore. Pur non avendola seguita sul campo, Guidi conosce bene quanto 
        accaduto durante la prima Guerra del Golfo. Un osservatore privilegiato, 
        quindi, tra i più autorevoli esperti di Medio Oriente e mondo arabo.
 
 Poniamo il caso che, al termine delle ostilità, il 
        Raìs venga spodestato. Secondo lei, cosa potrebbe succedere allora?
 
 Si potrebbe insediare un’amministrazione dotata di una sorta di mandato 
        concesso direttamente dagli Stati Uniti. C’è la possibilità che la 
        classe dirigente irachena abbia un vero e proprio colpo di coda e prenda 
        così il posto ricoperto finora da Saddam. A mio avviso, si tratta però 
        di una ipotesi di difficile realizzazione. Il motivo? Semplice: non 
        penso che il ceto dirigente sia all’altezza di portare a termine un 
        cambiamento di questo genere. Senza dimenticare, naturalmente, 
        l’incognita monarchica, anche se la ritengo poco probabile e credibile.
 
 Quali le eventuali ripercussioni legate all’uscita 
        di scena del dittatore iracheno?
 
 Una cosa è indubbia: nelle masse arabe aumenterà, e di molto, un senso 
        di frustrazione, mortificazione ed avvilimento. Di conseguenza, crescerà 
        il numero di persone che si rivolgerà ai gruppi fondamentalisti 
        islamici. Si tratta di vedere quanti Stati arabi riusciranno a tenere 
        sotto controllo i sentimenti della piazza. I paesi più moderati – penso, 
        in particolare, ad Egitto e Giordania – si mostreranno acquiescenti, 
        concilianti, di fronte ad una invasione dell’Irak da parte degli 
        statunitensi. Lo stesso non potrà dirsi delle rispettive popolazioni.
 
 A proposito di reazioni: come risponderà Osama Bin 
        Laden?
 
 Dipende da quanto tempo durerà l’invasione americana. Se sarà veloce, è 
        possibile una ripresa delle azioni terroristiche. Ci potrebbero essere, 
        insomma, attentati e manifestazioni di piazza. Dopo aver riscosso le sue 
        belle “royalties” in Palestina, lo sceicco del terrore spera – e a 
        ragione – in una sempre maggiore diffusione dello scontento presso gli 
        arabi. Osama è tremendamente furbo e pensa di approfittarne.
 
 Cosa accadrà, infine, nella tormentata area 
        mediorientale?
 
 Iniziamo dalla Siria, che resterà ancora più isolata, mentre in 
        Giordania la situazione rimarrà uguale a prima. In Egitto, le autorità 
        dovranno aumentare la repressione contro i movimenti integralisti. Per 
        quanto riguarda i paesi del Maghreb, non rappresentano un pericolo serio 
        e sono davvero troppo distanti dall’Irak. Le conseguenze maggiori si 
        avranno però nella penisola arabica: i sauditi, soprattutto, si 
        troveranno in difficoltà. D’altra parte, è realmente insopportabile la 
        politica del doppio binario portata avanti dalle autorità di Riad: da un 
        lato le collusioni con al Qaeda, dall’altro la mano tesa, o quasi, agli 
        Stati Uniti. In tutto ciò, la Palestina è il nodo principale: sarà 
        ancora tale, se non ci si rende conto che occorre dare ai palestinesi 
        uno straccio di Stato, e se non cambieranno le leadership di Sharon e 
        Arafat.
 
 28 febbraio 2003
 
 pplarosa@hotmail.com
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