| Punto militare. Le 48 ore più lunghe del Rais 
 Due giorni per decidere. La Turchia per concedere o meno agli Stati 
        Uniti l'utilizzo delle proprie basi in caso di attacco. L'Irak per 
        rispondere all'Onu in merito alla distruzione dei missili Al Samoud 2. 
        Quarantott'ore che plasmeranno lo scenario strategico della guerra, ma 
        che in nessun caso sembrano essere in grado di fermare l'escalation 
        militare, ormai arrivata ben oltre il punto-di-non-ritorno.
  
        Ankara ha 
        chiesto tempo per permettere al premier Tayyip Ergodan di convincere il 
        partito di governo (Akp) ad accettare le richieste di Washington. Ma 
        l'accordo, che prevede un sostanzioso afflusso di dollari nelle casse 
        del tesoro turco, ormai c'è. E questo dovrebbe permettere al Pentagono 
        di sviluppare al meglio la strategia prevista per la "caccia a Saddam": 
        un attacco simultaneo da nord (Turchia) e da sud (Kuwait) per fiaccare 
        immediatamente la resistenza e il morale delle truppe irakene, 
        permettendo un'avanzata velocissima verso Bagdad e gli altri obiettivi 
        strategici del paese (come Tikrit, la "roccafforte" della famiglia 
        Hussein). In caso di una mancata concessione delle basi da parte della 
        Turchia, invece, il comando centrale statunitense guidato dal generale 
        Tommy R. Franks sarebbe costretto a concentrare le truppe, soprattutto 
        di terra, in Kuwait. E la penetrazione in Irak sarebbe più lunga e 
        dolorosa, non solo per le forze armate statunitensi ma anche, con ogni 
        probabilità, per la polazione civile irakena. La 
        dottrina "shock warfare" del Pentagono e del segretario alla Difesa 
        Donald H. Rumsfeld, insomma, sarebbe pronta a scatenare il proprio 
        massimo potenziale soltanto in caso di accordo con la Turchia. Ma le 
        caratteristiche dei nuovi aerei da trasporto C-17 Globemaster III, 
        capaci di atterrare praticamente ovunque, consentirebbero in ogni caso 
        all'esercito USA di muovere nel nord del paese abbastanza truppe per 
        tenere occupate le unità della guardia scelta repubblicana che 
        presidiano attualmente il territorio. Forse anche per questo motivo, una 
        delle unità si sta muovendo da qualche giorno verso sud. Si tratta del 
        primo, significativo spostamento di truppe ordinato da Bagdad nelle 
        ultime settimane. E l'obiettivo potrebbe proprio essere quello di 
        rinforzare la difesa della capitale o di Tikrit. La 
        strategia irakena, infatti, sembra essere orientata a lasciare spazio 
        all'invasione nei primi giorni del conflitto, per concentrare le proprie 
        capacità di resistenza nelle città, costringendo il nemico ad una sorta 
        di guerriglia urbana che, quasi certamente, provocherebbe un altissimo 
        costo di vite umane, soprattutto ai "difensori". Mentre Saddam si 
        prepara alla guerra "porta a porta" e ordina ai suoi soldati di perdere 
        peso (pena il dimezzamento dello stipendio), Stati Uniti e Gran Bretagna 
        hanno già iniziato a bombardare alcune postazioni missilistiche nelle 
        "no-fly zone" del del sud in grado di colpire le truppe di terra alleate 
        che si stanno ammassando al confine tra Irak e Kuwait. Mentre al Nord 
        gli aerei radar Awacs stanno potenziando la difesa del confine turco in 
        applicazione del trattato Atlantico. A bordo, insieme ai quattro 
        italiani che hanno scatenato l'indignazione del centro-sinistra 
        nostrano, anche cittadini di Belgio, Canada, Danimarca, Germania, 
        Grecia, Norvegia, Olanda, Portogallo e Turchia. (a.man.)
 28 febbraio 2003
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