Dopo l’11 settembre il via ai piani d’invasione dell’Iraq
di Stefano Magni
Il piano per l’attacco all’Iraq ha avuto un parto lungo e difficile. Prima del 2002, non vi era alcun piano per l’invasione dell’Iraq e il rovesciamento del regime iracheno. Il piano americano per il teatro di guerra nel Golfo Persico, durante tutto il decennio precedente, era difensivo, adatto a rafforzare la politica di contenimento dell’Iraq. L’OPLAN 1003, così era denominato, prevedeva un’azione di deterrenza, sia politica che militare, nel caso l’Iraq avesse mostrato serie intenzioni di attaccare nuovamente il Kuwait o l’Arabia Saudita. Ai primi segnali di allarme, gli Stati Uniti avrebbero incominciato a dispiegare forze nei paesi minacciati, utilizzando soprattutto le basi e i depositi di materiale pesante preposizionato, in Kuwait, Arabia Saudita, Qatar, Bahrein e Oman.
La priorità sarebbe stata attribuita alle forze puramente difensive (aviazione da interdizione e reparti di terra con armi anticarro) per fermare un’offensiva irakena. Al quarantacinquesimo giorno di crisi, gli americani sarebbero stati già in grado di fermare un’offensiva irachena. Dopo sette giorni di combattimenti difensivi, una volta completato lo schieramento delle forze pesanti americane (previste in almeno due divisioni meccanizzate, un reggimento di cavalleria corazzata e una brigata di aviazione con elicotteri d’assalto), gli americani sarebbero passati al contrattacco. Per ristabilire i confini violati, non per invadere l’Iraq. Questo era tutto ciò che il Pentagono aveva pianificato per il Golfo fino all’11 settembre. E’ possibile che, con l’insediamento di Bush alla Casa Bianca, siano state apportate delle varianti al piano, che comprendessero anche l’eventualità di una controffensiva in territorio iracheno e il rovesciamento del regime di Saddam, ma la cosa non è certa e si trattava, comunque, di una risposta a un’eventuale aggressione irachena.
Solo dopo l’11 settembre e l’inclusione dell’Iraq nella lista dei regimi sponsor del terrorismo, l’OPLAN 1003 fu ripreso in esame dagli strateghi del Pentagono per una sua modifica. Fu pianificata un’offensiva in grande stile dell’Iraq da tre direzioni: dalla Turchia, dal Kuwait e da Ovest, con l’appoggio di almeno cinque task force di portaerei e delle forze aeree dispiegate in tutte le basi della Turchia e del Golfo. Le forze richieste per l’operazione, ammontavano a circa 300.000 uomini: circa cinque divisioni pesanti in Kuwait e due aviotrasportate in Turchia, più le forze speciali.
A partire dal luglio del 2002, il Pentagono ha incominciato a mostrare interesse per la pianificazione di operazioni più limitate e, allo stesso tempo, più rapide. Il risultato di questo tipo di cambiamento di strategia, fu la formulazione del piano “Baghdad First”, anche chiamato “Inside Out”: assicurarsi prima di tutto la decapitazione dei centri di potere iracheni per poi passare a un controllo più completo del territorio solo in un secondo tempo. Raid aerei e missilistici avrebbero dovuto precedere l’attacco di terra per almeno 10 giorni, colpendo soprattutto i centri del potere e la catena di comando irakeni, oltre che tutte le infrastrutture utili all’esercito di Saddam. Le forze di terra impiegate sarebbero state limitate a 60-80.000 uomini, quasi tutti schierati in Kuwait e pronti ad avanzare verso Baghdad. Molti dubbi furono sollevati: prima di tutto, in caso di una resistenza forte irachena, un piano così limitato sarebbe risultato problematico.
Nel frattempo, altri due piani, radicalmente alternativi, furono presi in esame e scartati. Il primo di questi, una sorta di riedizione dell’Operazione Desert Fox, prevedeva una serie di raid aerei contro le installazioni irachene sospette. Il piano mirava al disarmo di Saddam, ma non al suo rovesciamento. Parallelamente, il generale Downing, incoraggiato dall’esito vittorioso della precedente campagna in Afghanistan, riprese in mano un vecchio progetto proposto dall’Iraqi National Congress: il rovesciamento del regime iracheno per mano di forze insurrezionali sciite (almeno 5000 uomini), appoggiate dall’aviazione e dalle forze speciali statunitensi. Il Piano Downing fu preso seriamente in considerazione e alla sua elaborazione parteciparono anche veterani della Cia, come Clarridge, l’uomo che addestrò i Contras nella guerra contro il regime sandinista. Nell’estate del 2002 nessun provvedimento era stato ancora preso per la realizzazione del Piano Downing e il generale diede le dimissioni.
Nel gennaio e febbraio del 2003, quando le condizioni politiche e gli obiettivi da raggiungere erano ormai ben chiari, fu elaborato il piano “Shock and awe”, basato sull’omonima dottrina elaborata nella metà degli anni ’90 per la conduzione rapida di operazioni offensive. Il piano prevede una serie di azioni a sorpresa per disorientare il nemico: uso massiccio della disinformazione, attacchi su più punti del fronte, distruzione della catena di comando e controllo nemica: tutto ciò che può gettare nel caos un esercito. L’effetto di “shock and awe”, al meglio, poteva essere “l’equivalente non nucleare del lancio di alcune bombe atomiche” in fatto di distruzione del software di disciplina e coesione del nemico. Le prime mosse anglo-americane, fra il 19 e il 21 marzo scorsi, dimostrano che, alla fine, il Pentagono ha optato per quest’ultimo piano. Saddam e Tarek Aziz sono stati dati per morti, sono stati sferrati improvvisi attacchi d’opportunità, si è diffusa la voce che l’intera 51esima divisione si era arresa e aveva consegnato i suoi carri “chiavi in mano”, che Umm Qasr e forse la stessa Bassora erano sotto il controllo degli Alleati già la prima notte di guerra.
Il piano non ha sortito effetti immediati e l’esercito iracheno non è collassato immediatamente. Resistenze sono state opposte a Bassora, come lungo il Tigri. La sorpresa peggiore, poi, è stata subita dagli Americani, i primi giorni di guerra, quando, contrariamente al risultato positivo di trattative informali con Erdogan, la Turchia ha negato il passaggio della Quarta divisione meccanizzata, tagliandola fuori dalle operazioni militari. Tuttavia, nonostante gli imprevisti, in tre settimane esatte, le forze della coalizione anglo-americana, con sole quattro divisioni, sono riuscite a ottenere un successo completo, demolendo completamente la struttura del regime di Saddam, compiendo un’avanzata di più di 500 km, arrivando fin nel cuore della capitale irachena, senza aver subito perdite rilevanti e senza aver avuto bisogno di rinforzi consistenti.
11 aprile 2003
stefano.magni@fastwebnet.it
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