| Saddam, storia di un dittatore chiamato 
        disgrazia di Cristina Missiroli
 
 Jihad, mullah, shari’a, ulema. Nei giorni subito seguenti agli attentati 
        dell’11 settembre 2001 le conversazioni, anche quelle meno 
        intellettuali, diventarono un incubo. Piene di parole arabe che fino a 
        quel momento avevano per gli occidentali un sapore lontano, esotico. 
        Parole che abbiamo imparato a gestire in un modo o nell’altro. Per 
        sopravvivere (e non sfigurare troppo nei dibattiti quoditidiani in 
        ufficio o al bar) siamo stati costretti a riempire casa di pubblicazioni 
        dotte quanto indigeribili sulla storia mediorientale e la religione 
        islamica. Ci venne in aiuto Carlo Panella, giornalista parlamentare 
        Mediaset, particolarmente attento al Medio Oriente. In poche settimane 
        mise insieme un volumetto prezioso, il “Piccolo Atlante del Jihad” 
        scritto per Mondadori. Poco più di duecento pagine con tanto di 
        glossario e cartine geografiche per capire, senza essere esperti, quel 
        che stava accadendo (e perché) a pochi chilometri da casa nostra. Quel 
        volumetto aveva soprattutto il merito di far piazza pulita di alcune 
        leggende metropolitane che si erano affastellate e divulgate negli anni 
        a forza di passa-parola e sentito dire.
  
        Panella ci 
        viene incontro di nuovo con “Saddam. Ascesa, intrighi e crimini del 
        peggior nemico dell'occidente” (pp. 368 - Euro 16,90). Un saggio che si 
        legge come un romanzo e che racconta la formazione, l'ascesa, gli 
        intrighi internazionali, i complotti e le guerre di Saddam Hussein. 
        Dall'infanzia di un bambino con la pistola agli ultimi drammatici 
        avvenimenti dei nostri giorni. Panella ricostruisce la storia di un 
        dittatore cresciuto e pasciuto anche con la complicita dei governi 
        occidentali, un ateo che si è eletto difensore dell'Islam, un 
        pluriomicida elevato a paladino del mondo democratico fino a diventare 
        il Nemico Pubblico Numero 1. Passo passo, Panella spiega come il rais di 
        Baghdad si sia fatto beffe per un decennio delle Nazioni Unite 
        continuando a tessere relazioni con le più pericolose organizzazioni 
        terroristiche internazionali, ad ammassare armi di distruzione di massa, 
        ad operare per dotarsi di ordigni atomici.  
        Saddam nasce 
        il 28 aprile del 1937 sulle rive del Tigri. In una famiglia povera, anzi 
        poverissima. Anche la madre lo odia e gli dà un nome, Saddam, che vuole 
        dire “disgrazia”. Con queste premesse, il bambino chiamato “disgrazia” 
        cresce con la paura della miseria e dell'abbandono e con un bisogno di 
        affermarsi che ben presto si tramuta in delirio di onnipotenza, senza 
        mai guardare in faccia nessuno. Come per tutti i giovani arabi degli 
        anni cinquanta, anche per Saddam il faro illuminante è Abdel Nasser. Ma 
        il giovane dittatore impara subito a non fidarsi di Nasser, proprio come 
        Nasser impara subito a non fidarsi del Baath di Saddam e l'uno e l'altro 
        a non fidarsi degli uomini di Mosca. Attraverso il Baath, Saddam impone 
        al paese un modello ideologico e una struttura economica indirizzati 
        unicamente alla guerra d'aggressione. Un modello che, fatte le debite 
        proporzioni, ha esattamente la stessa rigidità del sistema 
        nazionalsocialista tedesco col quale cndivide anche l’odio verso gli 
        ebrei.  
        Ma per 
        Panella il modello di Saddam non è certo Nasser, bensì Nabucodonosor. E' 
        lo stesso Saddam che, affascintato, dichiara del suo predecessore: 
        “Sconfisse gli ebrei, distrusse il loro Tempio e li portò schiavi in 
        Mesopotamia”. Sanguinario, rigido, inflessibile nella sua folle 
        strategia, Saddam massacra (via via che la lotta interna per il potere 
        lo richiede) i suoi generi, il suo amato cugino-fratello, i suoi più 
        cari amici e stretti collaboratori. Ma venti anni di lotte di potere non 
        bastano a farlo diventare il dittatore delle popolazioni mediorientali. 
        E anzi lo allontanano sempre di più dal progetto panarabo nasseriano. 
        Fino all’epilogo di questi giorni. 
 11
              aprile 2003
 
        missiroli@opinione.it
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