La Cecenia tra Russia e Islam
di Barbara Mennitti
Come tutti i signori della guerra che si rispettino, il generale Shamil Basayev, l'appena trentottenne capo della guerriglia cecena, esibisce un barbone e un look a metà fra bin Laden e Fidel Castro, rivendica una discendenza diretta da uno dei luogotenenti del famoso Imam Shamil (che guidò la resistenza all'esecito zarista nel secolo scorso) e dichiara che, quando era studente a Mosca, aveva appeso in camera il poster di Che Guevara. E non si sottrae ai proclami altisonanti, visto che il 18 maggio, a pochi giorni dagli attentati kamikaze di Znamenskoye e di Iliskhan-Yurt (77 vittime in tutto e decine di feriti), ha dichiarato all'agenzia Kavkaz che questo è solo l'inizio. La nuova campagna del Battaglione dei Martiri del generale caucasico si chiama Tornado, ha continuato, "e questo tornado colpirà ovunque". Se questo non si chiama dare un assist a porta vuota a Putin, non sappiamo proprio come si potrebbe definire. Qualcuno può obiettare che Basayev non rappresenta il governo ceceno, visto che il presidente eletto dai ceceni, Aslan Maskhadov, lo ha sospeso dal comando militare di tutta la resistenza dopo l'attentato al teatro Dubrovka di Mosca. Qulacun altro può chiedersi, però, perché non è stato ancora destituito.
Le prime tracce di Basayev risalgono all'agosto del '91, quando a Mosca combatte sulle barricate dei sostenitori di Eltsin contro i golpisti comunisti. Lo ritroviamo in Abkakhazia nel '92 a combattere insieme a molti volontari russi per l'indipendenza dalla Georgia e, si mormora, al soldo del Gru, il servizio segreto militare russo. Nel '94, durante la prima guerra russo-cecena, diventa uno dei più importanti e temuti capi della guerriglia del suo paese e, dopo la firma del trattato di pace, il 27 agosto del 1997, inizia a consolidare il suo potere, dopo aver tentato con scarso successo la carriera politica. Nel paese, già diviso fra bande che si contendono il potere economico, non accennano a diminuire le violenze e gli scontri fra varie fazioni armate, truppe regolari; milizie estremistiche e gruppi di potere mafioso impediscono una normalizzazione. Finché, nell'agosto del '99, le milizie di Basayev, che nel frattempo ha incontrato un altro guerrigliero, il saudita Khatab e ha iniziato a invocare la Jihad, invadono il Daghestan, nel tentativo di instaurare uno Stato islamico. Nell'autunno del '99 la Russia è sconvolta da una serie di attentati terroristici che costano la vita a circa 300 persone, attribuiti ai ceceni, anche se le voci di una strategia della tensione da parte del governo russo non sono poche.
Il 23 settembre del '99 ha inizio la nuova offensiva russa in Cecenia e il 18 dicembre le truppe di Eltsin entrano a Grozny, ridotta a un cumulo di macerie fumanti, lasciandosi dietro una scia di sangue e di atrocità documentate, fra l'altro, da un rapporto dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani: omicidi di massa, torture, bombardamenti di colonne di profughi (crimini molto simili a quelli compiuti dalle milizie cecene ai danni dei civili del Daghestan). E da lì, si arriva dritti ai giorni nostri, attraverso atrocità, giochi di potere e interessi mafiosi, in una guerra che sembra non avere via d'uscita né vincitori e dove la popolazione civile, inerme e ridotta oramai allo stremo, viene a turno vessata dai militari russi (spesso poco più che adolescenti, l'altra faccia delle vittime di questa guerra) e da bande di delinquenti ceceni senza scrupoli.
Putin si è presentato agli elettori ed è stato votato come l'uomo con il pugno di ferro che poteva sconfiggere il terrorismo. Non può permettersi di perdere questa guerra, che oltretutto creerebbe un pericoloso precedente, rischiando di innescare una reazione a catena, scatenando le spinte indipendentiste di altri territori islamici nella Federazione. Vi è, inoltre, il problema dell'oleodotto di Baku, che trasferisce petrolio e gas naturale dal Caspio all'Europa, passando per il territorio ceceno, e che per ora assicura alla Russia un monopolio di fatto nel settore energetico. Una situazione davvero difficile che le invocazioni alla Jihad di Basayev e i suoi legami anche finanziari con gruppi terroristici islamici come Al Queda non possono che complicare ulteriormente.
23
maggio 2003
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