| Gli effetti collaterali del terremoto 
        Schwarzenegger di Alessandro Gisotti
 
 “Mi pare di capire che qualcosa stia cambiando qui in California”. Alla 
        fine se ne è accorto anche Bush. Il presidente americano - distinto e 
        distante da Schwarzenegger durante tutta la campagna elettorale per il 
        “recall” – il 16 ottobre si è fermato nel Golden State, prima di 
        intraprendere un tour de force in Asia. Il governatore texano diventato 
        presidente e il culturista austriaco diventato governatore hanno posato 
        l’uno accanto all’altro per la “photo opportunity” sotto una gigantesca 
        bandiera a stelle e strisce. Poi, significativamente, il capo della Casa 
        Bianca ha elencato ciò che lo accomuna ad Arnold dichiarando sorridente: 
        “Abbiamo sposato la donna giusta, qualcuno ci accusa di parlare male 
        l’inglese e poi, beh, abbiamo tutti e due grandi bicipiti”. Il pubblico 
        presente ha accolto queste parole con un fragoroso applauso, ma il fatto 
        che tra le cose in comune non sia stato indicato alcun punto 
        programmatico ha fatto scrivere icasticamente al Los Angeles Times che, 
        per adesso, Bush e Schwarzy si “sono messi d’accordo soltanto sul 
        mettersi d’accordo”. Si conferma, insomma, l’impossibilità di 
        incasellare il fenomeno Arnold in categorie rigide. Repubblicano, certo, 
        ma ben lontano dalle posizioni tradizionali del Grand Old Party su temi 
        cruciali come diritti degli omosessuali, ambiente, aborto e controllo 
        sulle armi, Schwarzenegger ha fatto già intendere che gestirà a modo suo 
        il governo dello Stato più ricco, e indebitato, degli Usa.
 
 Proprio il mostruoso deficit statale che frena la marcia della 
        California verso i fasti di un tempo è l’ostacolo più irto per Arnold 
        sulla strada della consacrazione politica. Il neogovernatore, che in 
        campagna elettorale ha promesso tagli alle tasse, lo ha compreso bene e 
        ora batte cassa proprio con il presidente americano. Prima che Bush 
        arrivasse sulla West Coast, Schwarzengger ha tuonato: “Per ogni dollaro 
        che i californiani versano alle casse dell’amministrazione federale, 
        ricevono solo poco più di 70 centesimi in servizi. Bisogna recuperare 
        questi soldi”. Qualcuno da noi avrebbe sintetizzato: “Washington 
        ladrona, Terminator non perdona”. Tutt’altro che scontato, dunque, il 
        rapporto idilliaco tra il presidente in cerca del consenso perduto e la 
        nuova stella della politica americana. Per il popolare Usa Today, che ha 
        segnato su una lavagna “winners and losers” delle elezioni californiane, 
        Bush sarebbe addirittura tra i perdenti. Se, infatti, Schwarzy potrebbe 
        – alle presidenziali del prossimo anno – consegnare la California e il 
        suo bottino determinante di 55 voti elettorali nelle mani del partito 
        Repubblicano, dal “recall” sulle soleggiate coste del Pacifico, Bush 
        esce decisamente offuscato dalla grande ombra di Schwarzenegger. D’altro 
        canto, secondo il Time non pochi repubblicani della Beltway – il grande 
        raccordo anulare della capitale statunitense e, per sineddoche, 
        l’establishment di Washington – si sarebbero augurati una sconfitta 
        dell’ex mister Universo.
 
 Paradossalmente, nonostante la sonora sconfitta, tra le fila dei 
        democratici – all’insegna di un inguaribile, ma chissà se altrettanto 
        saggio ottimismo – qualcuno ha intravisto, almeno in funzione delle 
        presidenziali, più luci che ombre nel successo di Schwarzy. Non erano 
        passati neanche sette minuti dalla chiusura dei seggi elettorali in 
        California, che Howard Dean – il candidato democratico più duro nei 
        confronti dell’amministrazione Bush – già dichiarava: “I risultati di 
        oggi non hanno niente a che vedere con Davis o Schwarzenegger, ma sono 
        piuttosto il segno della frustrazione della gente per come vanno le 
        cose”. L’ex governatore del Vermont ha così insistentemente cercato di 
        accreditare un parallelo tra la rabbia californiana per la crisi 
        economica e il malcontento crescente, da una costa all’altra, per come 
        Bush sta gestendo la pratica Iraq post-Saddam. Ha quindi velatamente 
        fatto capire che, secondo lui, ciò che oggi ha “ucciso” un democratico 
        (Davis), potrebbe salvare tutti gli altri domani. Dove per domani si 
        intende novembre del 2004, data delle presidenziali. L’altro candidato 
        allo Studio Ovale, che si è sentito galvanizzato dalla vittoria di 
        Arnold è Wesley Clark. Secondo quanto riportato da Newsweek, gli 
        strateghi del generale in pensione sono convinti che nessuno come lui 
        ricalchi la figura di “Conan il governatore”. Outsider della politica, 
        dotato di carisma, amico delle persone giuste, Clark avrebbe anche un 
        vantaggio rispetto a Schwarzenegger: una guerra, quella terribile del 
        Vietnam, l’ha combattuta davvero, rimanendo anche ferito. La speranza 
        per il team dell’ex comandante in capo della Nato è allora che - 
        similmente al caso di Schwarzy - Clark venga percepito dall’elettorato 
        come un deus ex machina. Garanzia di leadership per un voto, che, come 
        nello “Stato dell’oro”, dovrebbe guardare più alla persona che al 
        programma.
 
 Intanto, svestiti i panni dell’ “action hero”, Arnold ha presentato la 
        squadra che dovrà traghettare l’amministrazione di Sacramento dal 
        vecchio al nuovo corso. Consapevole della necessità di raffreddare 
        l’incandescente clima politico - surriscaldato dall’esasperante corsa al 
        “recall” - Schwarzenegger ha stilato una lista che comprende figure di 
        prestigio scelte tanto nel campo repubblicano quanto in quello 
        democratico. Un utile “melting pot politico”, soprattutto in vista della 
        discussione sul piano di bilancio - previsto per gennaio - quando il 
        “neogovernor” se la dovrà vedere con un parlamento statale a maggioranza 
        democratica. In quello che la stampa americana ha subito ribattezzo il 
        “dream team eclettico”, il repubblicano doc ed ex segretario di Stato – 
        sotto la presidenza di Bush padre – George Schultz siederà accanto al 
        sindaco democratico di San Francisco, Willie Brown. Spicca inoltre il 
        nome di Donna Arduin, guru della finanza che, nella Florida di Jeb Bush 
        – fratello di George W. – ha rimesso in sesto l’erario statale. Per 
        tacitare poi le accuse di filonazismo, piovute sulla testa di Schwarzy a 
        causa di alcune incaute affermazioni giovanili, della formazione di 
        Terminator farà parte anche il rabbino Abraham Cooper, vicedirettore del 
        Centro Simon Wiesenthal di Los Angeles. Né mancano, nella squadra, 
        uomini vicini a Karl Rove, il Richelieu della Casa Bianca, che a 
        Washington ha capito prima di tutti gli effetti collaterali della 
        vittoria di Schwarzenegger e che ora dovrà agire da pontiere tra i 
        repubblicani old style e il “centrismo mobile” del leader californiano.
 
 Nel frattempo, il governatore “richiamato” ha lasciato una sorta di 
        decalogo al suo successore. Figura grigia fin dal nome, Gray Davis ha 
        rinnovato ad Arnold il consiglio di imparare a pronunciare correttamente 
        il nome California, che il roccioso austriaco di Santa Monica Beach 
        pronuncia ancora “Caleefornia”. Ma sarà davvero così importante come 
        pensa Davis? Nessuno, ma proprio nessuno nel Golden State conosce 
        l’esatta pronuncia di Schwarzenegger. Il 7 ottobre, tuttavia, i 
        californiani il nome sulla scheda elettorale l’hanno saputo trovare.
 
 24 ottobre 2003
  
        
        gisotti@iol.it |