|  
              
              Teatro. Cristina Pezzoli, la riscoperta 
              del teatro all’italianadi Myriam D’Ambrosio
 
 Era una tranquilla studentessa di filosofia quando, un bel giorno, 
              si accostò al teatro “in maniera del tutto casuale”, dice lei. 
              Aveva diciannove anni e uno stage con Dario Fo le indicò la 
              strada. “C’erano ragazzi di tutto il mondo – racconta Cristina 
              Pezzoli – ebbi un’impressione di grande vitalità e compresi 
              cos’era veramente il teatro”. Così, questa ragazza di Vigevano, 
              classe 1963, dai capelli ricci e ramati come le donne dipinte da 
              Klimt, cominciò a prepararsi per entrare al Piccolo Teatro e 
              frequentare il corso di regia. Portava l’Edipo di Seneca e a quel 
              giorno risale il suo primo incontro con Massimo Castri. La 
              presero.
 
 All’epoca la scuola era gratuita. Proseguì con gli studi 
              universitari ancora un po’, ma lasciò a otto esami dalla fine. “Ho 
              avuto subito la fortuna di cominciare a lavorare con Nanni Garella 
              e Massimo Castri – ricorda Cristina - fare sette anni come 
              assistente regista è importante. Contemporaneamente avevo formato 
              un gruppo di sperimentazione con i miei compagni di corso e 
              abbiamo messo su spettacoli prodotti da noi. Castri lavorava 
              ancora con l’assistente (oggi i registi non lo fanno quasi più) e 
              per un giovane agli inizi è una grossa opportunità. Vai in tournée 
              e accumuli esperienza dal punto di vista tecnico e artistico. 
              Seguire la vita dello spettacolo è la migliore formazione, poi, 
              lentamente, tendi ad affermare le tue idee e acquisti una visione 
              propria, che ti appartiene”. E si è pronti per volare dal nido.
 
 Cristina vola alto: tra gli ultimi successi sono da ricordare 
              “Sboom” con Maddalena Crippa, spettacolo che unisce teatro e 
              musica, occasione per ricordare il boom economico degli anni 
              Sessanta attraverso le canzoni e le parole di Tenco, De André, 
              Conte, Iannacci, Pasolini, Testori, Loi, Zavattini. Per la 
              “Filumena Marturano “ di De Filippo prese due attori cresciuti 
              sotto l’ala di Eduardo, Isa Danieli e Antonio Casagrande. La 
              “Benneide” con Angela Finocchiaro è stato un omaggio a Stefano 
              Benni e di Giampaolo Spinato ha scelto “Da lontano mi uccidono con 
              l’onda”. Le “Erodiadi”, fusione delle tre stesure dell’opera 
              scritta da Testori è stata l’ultima fatica. Spettacoli 
              diversissimi e lei commenta: “Credo che uno debba provocarsi una 
              certa ginnastica cambiando generi”.
 
 Dal 1 gennaio di questo 2002 è diventata direttore artistico del 
              Teatro Manzoni di Pistoia, un tempio di novecento posti creato 
              dall’Atp, Associazione teatrale pistoiese. “E’ un teatro vivo, 
              sano – dice Cristina – mi hanno incaricata di un progetto 
              triennale e io impiegherò questo tempo per promuovere la 
              drammaturgia italiana contemporanea. C’è un grande pregiudizio 
              sulla produzione nostrana e, anche se non tutto quello che viene 
              scritto è buono, esistono testi interessanti, perciò bisogna 
              smetterla con l’idiota esterofilia che dilaga. La drammaturgia 
              italiana non ha alcuna legittimità e non per carenza di poesia”.
 
 Cristina è determinata nel favorire un vero ricambio generazionale 
              cominciando a creare una ambiente dove concretizzare le idee. “Non 
              voglio fare di Pistoia il mio feudo personale – aggiunge – con me 
              ci saranno altri nove registi a lavorare e offrire generi diversi. 
              Si affiancheranno anche registi di cinema con una produzione di 
              cortometraggi”. E’ un’iniziativa senza precedenti e gli Stabili 
              pubblici dovrebbero essere i primi a portare avanti un discorso 
              simile. Le eccezioni ci sono, ma rare. “In quindici anni di questo 
              mestiere, dico che la gran parte dello sforzo che si fa è 
              strategia di sopravvivenza. Le compagnie hanno bisogno di andare 
              in tournée per sopravvivere, ma a costi esagerati. Il sistema è 
              ingessato. E’ come un vestito mangiato dalle tarme: basta un 
              soffio e cade giù”.
 
 28 febbraio 2003
 |