| Arte e politica. “I politici dovrebbero puntarci di più” intervista a Gino Agnese
 
 La Quadriennale di Roma dal 1927 ha un ruolo centrale nella 
				storia dell’arte italiana, assieme alle “sorelle” Biennale di 
				Venezia e Triennale di Milano, che cominciarono l’attività 
				rispettivamente nel 1895 e nel 1923. Attualmente la Quadriennale 
				è una fondazione partecipata in gran parte dallo Stato ma anche, 
				in misura minore, dal Comune di Roma. Da otto mesi il presidente 
				è Gino Agnese, giornalista, studioso della comunicazione, nonché 
				biografo di Marinetti e di Boccioni. E il Consiglio di 
				Amministrazione è costituito da storici o critici d’arte quali 
				Elena Pontiggia, Carlo Fabrizio Carli, Danilo Eccher, Luigi 
				Paolo Finizio e Ludovico Pratesi. Che cosa sta preparando in 
				Quadriennale? Qual è lo stato dell’arte contemporanea italiana? 
				La politica si rende conto di quanto è importante l’arte? Ne 
				abbiamo parlato con Gino Agnese e il discorso ha toccato anche 
				altri approdi.
 
 La Quadriennale, dunque. A che cosa si 
				lavora?
 
 In otto mesi abbiamo veramente bruciato le tappe. Anzitutto la 
				Quadriennale è stata messa in rete. E c’è adesso infatti un sito 
				(www.quadriennalediroma.org) con le immagini delle esposizioni 
				storiche e con gli indici dell’Archivio, nel quale si riflette 
				il Novecento. Ed anche con le news. Poi è lanciata la ripresa 
				dell’attività editoriale, con tre primi titoli: Storia della 
				Quadriennale, di Claudia Salaris (traduzione inglese a fronte), 
				La Quadriennale del ’31, di Pontiggia e Carli e Interviste 
				sull’Astrattismo Italiano, di Simongini. Ho inoltre firmato 
				accordi di collaborazione con le Attività produttive e con la 
				Farnesina. Poi abbiamo aperto il cantiere della XIV 
				Quadriennale, che sarà la prima Quadriennale divisa in tre 
				momenti espositivi: uno a Napoli in novembre, un altro a Torino 
				in gennaio e il terzo agli inizi del 2005 a Roma, nello scenario 
				elettivo del Palaexpo rinnovato.
 
 Come si pone, la Quadriennale, rispetto ai 
				temi dell’arte contemporanea?
 
 Si pone fuori da ogni intenzione didascalica o docente. E 
				dentro, invece, a un’intenzione di servizio. Il nostro mestiere 
				è duplice: portare in luce il meglio che si fa in Italia e 
				contribuire alla diffusione della cultura artistica italiana 
				all’estero. Rifiutiamo di affidare le mostre a un solo curatore 
				perché ci pare sbagliato consegnare bilanci di milioni di euro a 
				qualcuno che, dominus dell’esposizione, fa valere i suoi 
				criteri, se non i suoi interessi o i suoi capricci. Perciò, per 
				garantire visibilità a tutta la varietà dell’espressione 
				artistica, abbiamo affidato la selezione degli espositori mostre 
				a delle Commissioni, ognuna composta da cinque esperti.
 
 Come si faceva una volta, sia alla 
				Biennale che alla Quadriennale.
 
 Certo, e non solo. Io sono favorevole, personalmente, alla 
				reintroduzione, nella struttura delle mostre, di due organismi: 
				una Giuria che valuti le opere inviate al suo esame (oggi 
				s’invitano gli artisti, senza neanche sapere che cosa 
				presenteranno) e un Ufficio Vendite, per far sì che gli artisti 
				s’impegnino in una produzione che possa finire nelle case di una 
				parte, almeno, di coloro che visitano le mostre. Quando lavorano 
				a un’opera, gli artisti, oggi, pensano invece ai musei, alle 
				banche o a un novero, in Italia, di poche decine di grandi 
				collezionisti. Lo scopo di un’istituzione pubblica è quello di 
				creare i presupposti d’una larga partecipazione dei cittadini 
				alla vicenda dell’arte. Ora, guardare comporta una 
				partecipazione assai minimale.
 
 Ma la Biennale da poco aperta a Venezia 
				s’intitola proprio “La dittatura dello spettatore”.
 
 Siccome la televisione e il cinema non costituiscono più, come 
				fino a una decina d’anni fa, la coppia egemone della 
				comunicazione, noi non siamo più soltanto spettatori, bensì 
				tendiamo di più alla partecipazione, alla condivisione, a 
				partager anche l’arte. L’acquisto di un’opera è il massimo del 
				partage al lavoro di un artista. Ma alla Biennale si guarda, non 
				si acquista, perché le opere che son lì non son fatte per essere 
				acquistate. Se non dai musei, o da altri “palazzi” o da pochi 
				Saatchi. Invece, alla Fiera di Basilea si guarda e si acquista. 
				E infatti è stato un coro: tutti hanno scritto che Basel ha 
				superato Venezia.
 
 La politica e l’arte. Qual è la sua 
				opinione?
 
 Credo che oltre il 90 per cento dei politici italiani sappia 
				poco o nulla di arte contemporanea. Questo dice abbastanza d’una 
				difficoltà di fondo, la quale si aggiunge al fatto che 
				nell’art-system mondiale noi siamo periferia, purtroppo, pur 
				avendo artisti di grande valore. Per giunta una cultura che 
				direi aeroportuale favorisce una xenofilia fondamentalmente 
				“paisà”, per cui tante volte, avendo l’oro in casa celebriamo il 
				princisbecco altrui. (c.v.)
 
 16 gennaio 2004
 
 
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