| Il filo della memoria e la revisione del 
              passato di Carlo Roma
 
 Indagine storica, ricerca delle fonti, lunga ed incessante analisi 
              dei dati più oscuri disseminati sul campo, conversazioni serrate 
              con i testimoni ancora in vita. Ma anche finzione, intreccio 
              definito, organizzazione semplice e ben calibrata della materia 
              narrativa. Un filo sottile che lega eventi persi nel tempo ad un 
              presente frenetico in un tenace e determinato scavo nella memoria 
              fiaccata dal trascorrere inesorabile del tempo. Una scoperta 
              casuale ed inattesa, avvincente ed utile, che capita fra le mani 
              di un giornalista di provincia, con all’attivo alcuni romanzi 
              scritti in gioventù poco conosciuti ed accolti con indifferenza. 
              Una testimonianza che affonda le proprie radici nel patrimonio 
              storico della Spagna della fine degli anni Trenta, scandagliata 
              senza alcun pregiudizio ideologico e senza remore morali. La 
              mancata fucilazione, dunque, di Rafael Sanchez Mazas. Siamo nei 
              pressi del santuario di Collell, non molto distante da Gerona, in 
              Spagna. Il paese è scosso dagli ultimi rigurgiti della guerra 
              civile. Le truppe del generale Franco, alla fine del 1937, 
              irrompono vittoriose a Barcellona. Lo scrittore e fondatore della 
              Falange, Rafael Sanchez Mazas, uomo dalle grandi risorse, dopo 
              essersi rintanato nella sede dell’ambasciata del Cile, lascia 
              Madrid. Sotto mentite spoglie, cerca di raggiungere la Francia 
              passando per la capitale della Catalogna. Poco prima di entrare in 
              città, però, viene scoperto dalle forze repubblicane in rotta e 
              trasferito a Collell. Viene aggregato ad altri franchisti e 
              condannato alla fucilazione.
 
 “Si trattò di una fucilazione di massa, probabilmente caotica 
              perché la guerra oramai era perduta e i repubblicani fuggivano 
              allo sbando verso i Pirenei” sostiene Sanchez Ferlosio, figlio di 
              Rafael, al termine di una breve intervista strappata da Javier 
              Cercas. La morte presunta del poeta falangista, raccontata 
              soltanto dopo un dialogo improduttivo quasi fra sordi, si 
              intreccia con la realtà. Javier Cercas, al tempo stesso 
              protagonista e narratore, trae spunto dalle poche battute di 
              Sanchez Ferlosio e si appassiona alla vicenda. Cerca come un cane 
              segugio riscontri oggettivi, scioglie via via i nodi più 
              intricati, consapevole di aver individuato terreno fertile sul 
              quale lavorare. Come si è salvato Rafael Sanchez Mazas? A chi ha 
              chiesto assistenza e rifugio nelle prime ore della ritrovata 
              libertà? Cercas è assillato, soprattutto, da un interrogativo 
              lancinante oltre il quale si nasconde la verità: chi ha permesso 
              la fuga del prigioniero? E perché? Il legame che unisce, per pochi 
              minuti, la vita di Mezas e il destino di un soldato senza identità 
              sarà il punto focale dell’intera storia fino a diventare il banco 
              di prova sul quale si misurerà la tenuta dell’opera.
 
 Lo scrittore scopre, infatti, che un uomo giovane, cresciuto nelle 
              trincee e sotto le bombe durante l’infuriare della guerra civile, 
              può decidere della vita e della morte del falangista. Mazas si 
              nasconde nella boscaglia. I repubblicani, scoperta la sua fuga, lo 
              cercano incessantemente. Il latrato dei cani si fa sempre più 
              vicino e le voci dei soldati si distinguono con chiarezza. Sanchez 
              Ferlosio dichiara: “Mio padre sentì il rumore di rami spezzati 
              alle sue spalle, si voltò e vide un miliziano che lo fissava”. 
              Quel ragazzo dal volto scavato e indurito dalla sofferenza osserva 
              la preda inerme ed è pronto a far fuoco. Eppure “senza distogliere 
              lo sguardo dal suo, urlò: qui non c’è nessuno! quindi si voltò e 
              se ne andò”.
 
 Questa è la scena chiave di un romanzo che non manca di 
              coinvolgere, sin dalle prime righe, il lettore. Cercas, con grande 
              abilità, è in grado di unire in una sintesi raffinata e 
              sofisticata più registri stilistici: la sua interpretazione non è 
              mai superficiale, ripetitiva o ridondante e la sua prosa si presta 
              a diversi piani di lettura. Cercas, toccando le corde della più 
              profonda sensibilità, recupera e rielabora con originalità 
              elementi dei trascorsi franchisti rimossi dai più senza perdere di 
              vista la leggerezza di un libro da leggere tutto d’un fiato.
 
 12 aprile 2002
 
 crlrm72@hotmail.com
 
              
              Javier Cercas, "Soldati di Salamina", Guanda editore, pp. 210, €. 
              14,00. |