| I vini del Franco bevitore. Un Barolo che 
              ignora le guide di Franco Ziliani
 
 Un cortese e garbato lettore mi ha inviato qualche tempo fa un 
              arguto commento sulla situazione attuale del Barolo e sul ruolo 
              delle varie guide nel giudicare questo grande vino. Il lettore 
              osserva “che per molti consumatori, e anche addetti ai lavori, 
              quanto viene decretato da quella certa guida è purtroppo, Verbo. 
              Ma ciò non è colpa delle Guide quanto piuttosto della 
              disinformazione, della mancanza di cultura, dell’incapacità di 
              giudizio autonomo da parte di tanti. Consumatori e operatori. Si 
              dovrebbe pur comprendere che le Guide non potranno mai rispondere 
              a criteri veramente oggettivi. Quali che siano i parametri che 
              vengano scelti. Le guide sono un male necessario e nel panorama 
              dell’editoria stagionale rappresentano un’interessante, piacevole 
              nota di colore. Ma è pur vero che il mercato del vino, tanto per 
              fare un esempio, si è oggi aperto ad un consumo più “di massa”, e 
              anche con un giovamento non certo disprezzabile per l’economia 
              nazionale, anche per merito delle Guide”. Oggi, prosegue il 
              lettore, “si beve con più moderazione, almeno per quanto riguarda 
              il vino. Si beve meno vino, ma si è imparato a bere meglio, e 
              questo, ripeto, anche per merito delle Guide”.
 
 Condivido in parte quel che il lettore ha scritto, anche se non ho 
              la stessa incrollabile sua certezza che tutto quanto è stato 
              commercializzato in questi anni come Barolo sia stato 
              effettivamente “prodotto nel pieno rispetto del disciplinare di 
              questo vino”, che prevede Nebbiolo in purezza e non contaminazioni 
              stupide e cialtronesche, con altre uve. Devo però ricordare 
              l’opera nefanda, pericolosissima, fuorviante, che talune guide e 
              taluni esperti, che furono grandi in passato e non sono più, anzi, 
              in questi ultimi anni hanno svolto non a favore del Barolo, ma 
              contro il Barolo, accreditando un’immagine falsa di quel che il 
              Barolo effettivamente fosse, esaltando i “Barolo”, se così 
              dobbiamo proprio chiamarli, prodotti con i rotovinificatori, le 
              barrique, i concentratori, le macerazioni “sveltina” di pochissimi 
              giorni. Tecniche che rendevano quei vini più simili ad un Cabernet 
              Sauvignon californiano, ad un Super Tuscan, che al vino reso 
              grande grazie all’opera dei gelosi difensori della tradizione.
 
 Non mi basta pertanto che dopo aver fanno danni peggio di legioni 
              di cavallette, certe guide, per tentare di rifarsi una 
              verginità-credibilità, siano tornate a premiare, accanto ai 
              “Barolo” puzzolenti di legno francese, i veri Barolo, quelli dei 
              Rinaldi, dei Conterno, dei Mascarello e dei Giacosa. E mi fa 
              veramente pena che il signor Veronelli, dopo aver predicato l’uso 
              della barrique (importata e venduta in Italia anche dalla sua 
              compagna, madame carato), arrivi improvvisamente, a fine 2001, a 
              proporre in un convegno a Barolo, che sia “lasciato il nome di 
              Barolo al solo Barolo”, ovvero “quello dei vignaioli che si 
              attengono alle rigorose tradizioni e vinificano in botte”, mentre 
              per “gli eccellenti vini prodotti dai vignaioli che usano la 
              betoniera ed il carato, tuttavia incapaci di proporre ed esaltare 
              in chi ha la memoria storica le prerogative barolesche, le 
              sensazioni, appunto, del Barolo”, si debba trovare “un nome tanto 
              prestigioso da poterli presentare senza danno”.
 
 Di fronte alla vandalica opera compiuta da guide, potenti ed 
              influenti, che hanno finito per spacciare per “Barolo”, 
              esaltandoli e premiandoli a salve di bicchieri, stelle e grappoli, 
              vini che con il vero Barolo non hanno nulla a che fare, relegando 
              il vero Barolo in un angoletto riservato agli “ultimi dei 
              mohicani”, a coloro che non capiscono lo spirito del tempo e la 
              logica del business, capisco benissimo che, per cercare di 
              tutelarsi, alcuni produttori abbiano deciso di fare ricorso a 
              forme di difesa anche estreme. E invece d’immolarsi come agnelli 
              nel gioco del massacro condotto da potentati che i loro vini non 
              vogliono capire, perchè preferiscono sponsorizzare quelli di 
              aziende più collaborative e fedeli all’estetica enologica 
              dominante - “barrique e concentratore fanno il Barolo migliore”, 
              potrebbe essere il loro motto – scelgono di tirarsi fuori dal 
              gioco, di non collaborare, di non facilitare, per quanto possono, 
              la loro carneficina.
 
 Tra questi “non collaborazionisti”, uno dei casi più emblematici è 
              quello di un orgoglioso e simpaticissimo vigneron di Serralunga 
              d’Alba, Teobaldo Cappellano, (erede del mitico farmacista 
              Giuseppe, creatore della ricetta sinora insuperata del Barolo 
              chinato), che non contento di aver deciso di non fornire 
              campionature dei suoi vini alle varie guide, ha addirittura scelto 
              di riportare sulla retroetichetta del Barolo 1997 Otin Fiorin, la 
              seguente, spiritosissima dicitura, che recita testualmente: 
              “Cortesemente a chi di “Guide” si occupa. Nel 1983 chiesi al 
              giornalista Sheldon Wasserman di non pubblicare il punteggio dei 
              miei vini. Così fece, ma non solo, sul libro “Italian Nobles Wine” 
              scrisse che chiedevo di non far parte di classifiche ove il 
              confronto, dagli ignavi reso dogma, è disaggregante termine 
              numerico e non condivisa umana fatica. Non ho cambiato idea, 
              interesso una ristretta fascia di amici-clienti, sono una piccola 
              azienda agricola da 20 mila bottiglie l’anno, credo nella libera 
              informazione anche se a giudizio negativo. Penso alle mie colline 
              come una plaga anarchica, senza inquisitori od opposte fazioni, 
              interiormente ricca perché stimolata da severi e attenti critici; 
              lotto per un collettivo in grado d’esprimere ancor oggi 
              solidarietà contadina a chi, da Madre natura, non è stato 
              premiato. E’ un sogno? Permettetemelo. Teobaldo”.
 
 Dopo quest’esplicito invito, rivolto con modi garbati ai vari 
              guidaioli, di dimenticarsi della sua azienda e dei suoi vini, è 
              facile immaginarsi l’atteggiamento delle varie guide. C’è chi l’ha 
              preso sul serio, come Vini d’Italia, Duemilavini e Luca Maroni, e 
              sentendosi il destinatario del messaggio, ha cassato, proprio come 
              Cappellano voleva, il vignaiolo di Serralunga dalle proprie 
              pagine. E c’è stato invece chi, imperturbabile, come la Guida oro 
              dell’ineffabile Veronelli, ha preferito inserire ugualmente in 
              guida, nelle pagine dedicate ai produttori di Serralunga d’Alba, 
              Cappellano, evitando di assegnare punteggi in centesimi ai suoi 
              Barolo annata 1996. E guardandosi bene, perché riportare su una 
              guida una dichiarazione di sfiducia verso queste pubblicazioni 
              sarebbe imbarazzante, dal citare nei commenti (ce ne sono a 
              diecine totalmente stravaganti e privi di qualsiasi utilità) che 
              corredano le schede delle aziende, la retroetichetta che mi viene 
              voglia di intitolare “ Guide? No grazie !” di Teobaldo Cappellano.
 
 Io che guidaiolo non sono, e punteggi vari, deo gratias non 
              attribuisco, i vini di questo scoppiettante personaggio sempre 
              pronto a polemizzare, battagliare e discutere e fedele alla causa 
              del Barolo come pochi altri, li conosco e apprezzo da tempo, e 
              sono lieto di segnalarli, come meritano, all’attenzione di tutti 
              coloro che di Barolo “rifatti” con abile chirurgia non vogliono 
              proprio sentire parlare. E preferiscono quelli veri, magari come 
              questo, che in etichetta segnala la sua origine da un vigneto Piè 
              Franco (indica il ceppo di tipo Michet franco, cioè non americano, 
              e quindi con assenza dell'innesto), coltivato con Nebbiolo varietà 
              Michet collocate nel celebre cru Gabutti, classificato da Renato 
              Ratti come sottozona di prima categoria.
 
 Questo Otin Fiorin ha tutto per soddisfare e gratificare tutti 
              coloro che amano il Barolo vero, quello che… è completamente 
              diverso dai vini – io faccio davvero fatica a chiamarli Barolo – 
              degli amici della barrique e delle betoniere. Superfluo descrivere 
              il suo colore rubino granato dalla giusta intensità e 
              concentrazione, che non fa mai pensare di trovarsi di fronte ad un 
              Langhe rosso o ad Langhe Nebbiolo, ma al re dei vini, il naso 
              tipicamente e inconfondibilmente nebbioloso, che fa tanto 
              Serralunga, dalla cifra terrosa e speziata, che si apre su note 
              bellissime di rosa passita, cuoio, cacao, sottobosco, prugne e 
              ciliegie sotto spirito, che formano un insieme fitto, caldo e 
              straordinariamente suadente. E poi che gioia, che libidine 
              assoluta al palato sin dal primo sorso, con una bocca ricca, 
              ampia, polverosa, di bellissima tessitura e carattere saldo, dolce 
              quel che basta senza scadere nel marmellatoso e nel dolciastro di 
              troppi vini di stile moderno, retta da tannini che si fanno 
              sentire – e come diavolo non potrebbero, in un vero Barolo ! – ma 
              che non pungono e data la giovinezza del vino sono già abbastanza 
              rotondi e danno spessore, carne, persistenza al vino. Fai proprio 
              bene, Teobaldo, ad invitare le guide a non occuparsi dei tuoi 
              vini: beviamocele noi le tue bottiglie di Barolo! Se la vita, come 
              diceva egregiamente Goethe, è troppo breve per bere vini cattivi, 
              che siano i Robert Parker der Tufello ed i loro amici di Bra, gli 
              stagionati guru di via Sudorno, i teorici del vino frutto, i 
              mondani sommelier dell’A.I.S. romana, a “ciucciarseli” tutti: se 
              li meritano, sono fatti a loro immagine e somiglianza…
 
 12 aprile 2002
 
 bubwine@hotmail.com
 
              
              Azienda agricola Cappellano, via Alba 13, 12050 Serralunga d’Alba 
              CN. Tel. e fax 0173 613103 cappellano@bigfoot.com  |