| Libertarismo e tradizione di Charles B. Forcey Jr.
 
 Le radici della "rivoluzione reaganiana" del 1980 si fondano, in 
              realtà, sulla precedente rinascita dell'ideologia conservative 
              successiva al 1945. Gli eventi che si manifestarono in quel 
              decennio - il totalitarismo, il New Deal, la guerra totale, la 
              bomba atomica e la nascente guerra fredda - scossero infatti le 
              certezze ideologiche di quasi tutti gli intellettuali. E, in 
              particolare, i settori conservative risposero divenendo più 
              coscienti e sicuri di sé, forse perché, come è stato rilevato, 
              tendono a esprimere il meglio proprio nei periodi di crisi1. Gli 
              anti-comunisti, i libertarians e i fautori della tradizione 
              americana - per usare l'utile tipologia di George Nash - furono 
              risollevati dal lavoro di un nuovo gruppo di intellettuali. In 
              breve tempo questi fondarono nuovi giornali, nuove organizzazioni 
              e trovarono finanziatori nella comunità degli affari. Alla fine 
              degli anni Sessanta, saranno gli stessi che, affermandosi, 
              riusciranno ad offrire un nuovo linguaggio e una nuova 
              legittimazione alla nascente componente intellettuale del Partito 
              repubblicano. Di particolare interesse il ruolo svolto dal 
              "tradizionalismo" postbellico - il ramo più piccolo e più debole 
              del movimento conservative - e in particolare dallo storico della 
              sociologia, Robert Nisbet. Mi sembra importante concentrarsi sui 
              "tradizionalisti" piuttosto che sui, certamente più numerosi, 
              libertarians o sugli anti-comunisti, perché furono proprio loro a 
              esprimere, in modo più dichiarato degli altri, i temi centrali che 
              hanno poi animato la politica repubblicana a partire dagli anni 
              Sessanta: federalismo, autonomia locale ma, soprattutto, 
              ricostruzione della comunità e dei "valori tradizionali". 
              Particolare attenzione spetta, poi, a Robert Nisbet per aver 
              trasformato più di altri la tradizione politico-culturale 
              americana durante gli anni Quaranta e Cinquanta, modernizzandola 
              significativamente, con l'effetto di ampliare notevolmente 
              l'appeal elettorale della sua retorica tradizionale. Michael Kazin, 
              in particolare, sostiene che "i new conservatives assunsero 
              posizioni più interessanti rispetto a quelle dei loro predecessori 
              di prima della guerra, ritenute spesso fasciste o darwiniste 
              sociali".
 
 Il matrimonio postbellico fra tradizione e 
              pluralismo
 
 Nei primi anni Cinquanta, Robert Nisbet abbracciò l'etichetta di 
              "tradizionalista" mantenendo relazioni cordiali con Russell Kirk e 
              Robert Weaver. In ogni caso, si distinse dai suoi colleghi per 
              essere il promotore più articolato ed efficace di una nuova 
              "marca" della tradizione americana contribuendo alla rinascita, 
              nel dopoguerra, proprio di questa tradizione politico-culturale 
              con il suo The Quest for Community. Un tentativo ancora utile teso 
              a trascendere le tradizionali categorie politiche di destra e 
              sinistra attraverso l'introduzione dell'idea di comunità. 
              Effettivamente, sia per la destra che per la sinistra, negli anni 
              Cinquanta la parola comunità connotava ancora un'utopia 
              tocquevilliana di volontarismo, famiglia e intimità. Qualcosa che 
              contrastava apertamente con la mobilità, l'insicurezza e il 
              materialismo tipici di quegli anni postbellici. Robert Nisbet 
              propose una formulazione nuova dell'idea di comunità: nella sua 
              opera i tradizionali corpi intermedi arrivano a coniugarsi con il 
              pluralismo dell'America moderna, respingendone le tendenze 
              razionaliste, egualitarie e centraliste. La sua prosa misurata ed 
              il disinteresse accademico acquietarono i sospetti, diffusi fra le 
              minoranze etniche, sul fatto che la comunità potesse rappresentare 
              ancora una volta il piagnucolare dei nativisti protestanti.
 
 Dalla fine degli anni Sessanta, emerse come il portavoce 
              accademico della nascente ala destra del Partito repubblicano. Del 
              resto, Nicholas Lemann in un articolo del 1991 arrivò a dichiarare 
              che il "nisbetismo" era l'essenza profonda del reaganismo e a 
              sostenere che la lettura della Quest era essenziale per capire le 
              idee e l'appeal del moderno Partito repubblicano Associare il "nisbetismo" 
              al reaganismo fu sicuramente un'esagerazione intenzionale. Da 
              parte mia, sostengo l'ipotesi che l'idea nisbetiana della comunità 
              rappresentò una nuova e aggiornata forma di tradizionalismo 
              politico che risuonò con forza in ampi settori della popolazione 
              e, a partire dalla fine degli anni Sessanta, aiutò l'avanzata 
              della destra repubblicana utilizzando come chiave i temi 
              dell'autonomia locale, della chiesa, della famiglia e della 
              comunità.
 
 The Quest for Community: un testo 
              fondamentale
 
 Nisbet scrisse il suo lavoro più importante nel decennio 
              successivo alla seconda guerra mondiale. Era convinto, insieme a 
              molti altri pensatori politici di quel tempo, che la guerra avesse 
              provocato una crisi creativa nel pensiero politico, comparabile 
              per importanza a quella che aveva seguito la rivoluzione francese. 
              Si interessò in particolare, in mezzo a quel turbinìo di dottrine 
              e di polemiche, dell'inaspettata "rinascita" del conservatism. 
              Mentre il suo The Quest for Community (1953) lo segnalava come un 
              "pluralista liberale", i recensori lo considerarono generalmente 
              parte di un'ondata di opere del conservatorismo post bellico. "Non 
              ho scritto questo libro come fosse un testo conservatore - disse 
              Nisbet - ma quando fu giudicato in questo modo, non ho fatto 
              appello". Dopo anni di studio sui conservatori europei, dubitava 
              molto, infatti, sulla possibilità che esistesse una tradizione 
              conservatrice americana. Numerosi studiosi liberali negli anni 
              Cinquanta, tra cui Loui Hartz in modo più ampio e critico, avevano 
              cercato di dimostrare che il liberalismo era l'unica vera 
              tradizione nella storia americana avendo formato le basi di un 
              potente e duraturo consenso nei valori politici.
 
 Il conservatism, quando apparve, era estraneo al filone dominante 
              del pensiero politico americano, limitato, nella famosa frase di 
              Lionel Trilling, "a irritanti tic mentali che vogliono 
              assomigliare a idee". Solo dopo aver letto i libri di Kirk e di 
              Viereck, Nisbet unì il suo addomesticato conservatorismo europeo 
              con ciò che aveva precedentemente scartato come "il grande affare 
              del conservatorismo anti-New Deal prevalente negli Stati Uniti". I 
              libri di Kirk, secondo Nisbet, "fornivano un pedegree letterario e 
              temporale al conservatism in Inghilterra e negli Stati Uniti, 
              dimostrando il ruolo chiave di Burke in entrambi i paesi". In 
              questo modo "Kirk aveva rotto la crosta di opposizione 
              intellettuale alla tradizione conservatrice negli Stati Uniti". 
              The Quest metteva insieme buona parte del suo precedente pensiero 
              sulle relazioni tra Stato, individuo, e associazioni intermedie 
              sintetizzandole attorno a un tema nuovo: la ricerca della comunità 
              da parte dell'uomo, articolata in tre punti principali. 
              Innanzitutto, proponeva l'assioma di base secondo cui gli esseri 
              umani hanno bisogno della comunità. Questo assioma gli permise di 
              descrivere la nostra "ricerca della comunità"come la forza motrice 
              di buona parte della storia umana, alla base, in particolare, 
              degli esperimenti con i diversi sistemi sociali e politici. Nel 
              corso dei secoli, gli uomini sono stati meglio - soprattutto nel 
              periodo medioevale - quando i piccoli gruppi come la famiglia, le 
              chiese, le gilde e i quartieri sostenevano la società. Queste 
              istituzioni, pensava Nisbet, rappresentavano, quindi, le più 
              naturali ed efficaci fonti di sicurezza, moralità, merito e 
              identità.
 
 In secondo luogo, Nisbet credeva che lo Stato burocratico moderno, 
              emerso subito dopo la rivoluzione francese e reso florido dalle 
              idee rivoluzionarie, avesse cominciato come un cancro ad esaurire 
              la vitalità delle comunità. I mutevoli stratagemmi dello Stato, in 
              particolare la guerra e la rivoluzione, avevano assorbito la 
              maggior parte delle funzioni delle associazioni intermedie che 
              avevano così perso, una dopo l'altra, la loro vitalità, appassendo 
              per lasciar posto agli individui atomizzati. Nel dopoguerra, 
              Nisbet avvertì che gli Stati Uniti rischiavano il totalitarismo, 
              poiché i suoi cittadini, solitari e atomizzati, erano tentati 
              dalla chimera di una supposta "comunità nazionale" fondata su un 
              sistema di Welfare di vasta portata. Il pluralista liberale si era 
              unito in processione con The Road to Serfdom di Hayek. Mi sia 
              permessa tra parentesi qualche parola sulle idee 
              politico-economiche di Nisbet. Nella prefazione all'edizione del 
              1970 di The Quest, Nisbet sosteneva che le sue ipotesi sul fatto 
              che il centralismo fosse "confinato ai processi di governo" erano 
              inadeguate. Il più del suo lavoro fu comunque sempre rivolto alla 
              politica. Il suo giudizio era che "la più grande influenza 
              sull'organizzazione sociale nell'Occidente moderno è stata la 
              concentrazione dello sviluppo di funzioni e di potere nello stato 
              politico sovrano". Essenzialmente, credeva di poter lasciare ad 
              altri, in particolare alla sinistra, la critica al centralismo 
              privatistico, e previde anche la cooperazione creativa tra 
              tradizionalisti e socialisti nell'era post reaganiana.
 
 In terzo luogo, Nisbet sosteneva che la sua analisi potesse 
              suggerire la via per la rinascita della comunità. Propose un 
              elegante, anche se non facilmente praticabile, mix di libertarismo 
              e tradizione: un nuovo "laissez-faire di piccoli gruppi". 
              Un'adeguata attenzione a questo principio da parte di membri 
              governativi avrebbe ristretto il campo dello Stato, dando 
              simultaneamente nuova linfa alle associazioni che da molto tempo 
              vivevano tempi difficili. Lo Stato, temeva Nisbet, era diventato 
              una parte permanente della vita moderna. E ancora, per concludere, 
              i suoi cittadini avrebbero potuto richiedere politiche rivolte "a 
              mantenere una pluralità di funzioni e lealtà nella vita delle 
              persone". Sicuramente si trattava di un tradizionalismo 
              "strofinato a fondo", probabilmente più pulito di quello di Kirk, 
              Weaver o di altri. Non vi era nessuna suggestione per una nuova 
              aristocrazia, nessun richiamo nostalgico al ritorno alla vita di 
              campagna, nessun pronunciamento sulla divina Provvidenza, o 
              appelli alla sottomissione all'autorità della Chiesa. Nisbet 
              provava simpatia per tutte queste nozioni, ma cercò in questo 
              lavoro di trascendere quella che lui chiamava la "povertà 
              dell'attuale vocabolario politico" con una nuova politica basata 
              sulla misura universale della comunità. Nessun libro può 
              soppiantare i vecchi dibattiti tra destra e sinistra sui diritti 
              economici e politici, ma The Quest trovò un certo successo 
              aggiungendo la "comunità" ai vocabolari della sinistra e della 
              destra.
 
 La fondazione del new conservative
 
 Il vero risultato di The Quest va ricercato, comunque, nel ruolo 
              che ebbe nel riconciliare il tradizionalismo con le marcate 
              ambivalenze tra tradizione e modernità che la maggior parte degli 
              americani hanno sentito e continuano a sentire. La riconciliazione 
              richiese innanzitutto l'abbandono del modello tradizionalista 
              melodrammatico della storia umana, intesa come una "caduta dalla 
              grazia". "Nessun approccio alla storia ed ai problemi del presente 
              - sosteneva Nisbet - è valido se non quello che considera il 
              presente come conseguenza, in proporzioni diverse, allo stesso 
              tempo di avanzamenti e declini". In secondo luogo, i 
              tradizionalisti si sono riconciliati con la diversità di 
              tradizioni dell'America di oggi. Nei giorni bui delle 
              amministrazioni Roosvelt e Truman, Nisbet e altri furono 
              dolorosamente consapevoli del limitato appeal elettorale del loro 
              modello politico. Gary Gerstle suggerisce una spiegazione 
              plausibile per l'impopolarità del tradizionalismo e la sua 
              crescita dopo il 1945. Fino alla seconda guerra mondiale, il 
              linguaggio del tradizionalismo era considerato nella politica 
              nazionale soltanto "da quelli che vivevano in aree rurali o in 
              piccole città, o che appartenevano alla borghesia urbana 
              protestante". Cattolici ed ebrei in particolare non potevano 
              apprezzare le schiere tradizionaliste, nonostante il fascino di 
              questi pensatori. "Ma - continuava Gerstle - quando la seconda 
              guerra mondiale minò completamente il nativismo, gli americani si 
              sentirono capaci di far propria la prospettiva tradizionalista 
              dell'americanismo". Nel dopoguerra, e anche in seguito, con 
              sottigliezza e in modo significativo, Nisbet superò la maggior 
              parte dei suoi colleghi conservatori nel suo impegno per il 
              pluralismo, benché fosse necessario uno Stato nazionale per 
              garantirlo. In The Quest, celebrò la realtà americana del 
              pluralismo delle culture, delle etnìe e dei diversi modelli di 
              vita.
 
 I tradizionalisti di rito greco, i tradizionalisti regionali, o i 
              leader delle chiese tradizionaliste tendevano a minacciare i 
              collegi elettorali potenzialmente interessanti per il 
              tradizionalismo con i temi dell'esclusione, dell'americanizzazione, 
              e dell'omogenizzazione. Di contro, Nisbet scriveva dall'autorevole 
              posizione di un semplice pluralista. Era appassionatamente 
              impegnato (come solamente un sociologo potrebbe essere) per la 
              struttura locale, autonoma e gerarchica delle culture 
              tradizionali, ma largamente indifferente al loro contenuto 
              specifico. Nisbet era un new conservative. Per i tre decenni 
              seguenti non disse quasi nulla circa il progresso. I movimenti per 
              i diritti civili ed il movimento studentesco sfidarono le comunità 
              a lui care e in massima parte ispirarono la sua comparsa come 
              editorialista di destra sui giornali conservatori e del mainstream. 
              Nisbet aveva anche sperato che la sua idea di comunità 
              trascendesse le divisioni tra sinistra e destra. Nel decennio 
              seguente, il suo compito principale fu comunque quello di aiutare 
              a superare le rivalità storiche all'interno dell'area 
              repubblicana. Il movimento che spinse Reagan alla Casa Bianca 
              attinse la sua forza principale dalle chiese protestanti ed 
              evangeliche e dalle imprese, ma la sua retorica e i suoi fini 
              erano normativi, comunitari, tradizionali e, almeno nominalmente, 
              pluralisti.
 
 Per concludere, mi si permetta di tornare dalla biografia 
              intellettuale alle più generali questioni storiche con le quali ho 
              iniziato questo saggio. I conservatori americani hanno enfatizzato 
              a lungo l'importanza della tradizione, dell'antistatalismo e della 
              comunità. Ma solamente dopo la seconda guerra mondiale gli 
              intellettuali della corrente new conservative cominciarono ad 
              articolare un tipo di pensiero politico capace di attrarre una 
              coalizione elettorale abbastanza ampia da dominare la presidenza 
              fin dai tardi anni Sessanta. Le elezioni presidenziali degli 
              ultimi anni hanno riconfermato il massiccio arroccamento della 
              destra americana sulla missione di ripristinare le famiglie, le 
              chiese e le comunità americane. Buchanan ha portato questa 
              missione "tradizionalista" all'estremo non-repubblicano di 
              attribuire il loro sfaldamento alle condotte scorrette di tipo 
              corporativo. Ho sostenuto precedentemente che il 
              "tradizionalismo", più di altre tipologie del conservatism, ha 
              risposto ai dilemmi centrali dell'America del dopoguerra: 
              l'erosione dell'autonomia locale, delle tradizioni e della 
              comunità. In più, la riconciliazione compiuta da Nisbet della 
              tradizione con la moderna realtà pluralista americana ha aiutato 
              questa antica componente ad assumere una posizione onorevole nella 
              retorica del partito repubblicano a partire dalla metà degli anni 
              Sessanta. Se i liberali sperano di riconquistare questi temi, 
              farebbero meglio a cominciare dalla tesi di Nisbet secondo cui per 
              far crescere un bambino non basta soltanto un semplice villaggio, 
              ma un villaggio tradizionale, articolato e riccamente pluralista.
 
 10 maggio 2002
  
              
              (da Ideazione 2-2002, marzo-aprile, traduzione dall'inglese di 
              Luca Pesenti)  
              
 
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