| I vini del Franco bevitore. Wine tuscan e italian style di Franco Ziliani
 
 La "notizia" del giorno, se notizia veramente si può chiamare, è 
              il definitivo passaggio della Tenuta Ornellaia di Bolgheri - 40 
              ettari in produzione, 300.000 bottiglie, un fatturato stimato 
              intorno ai sette milioni di euro - dalle mani di Ludovico Antinori 
              a quelle del suo socio di minoranza, dal 1999, Robert Mondavi. 
              Poco conta, come ci raccontano le cronache, che nei prossimi mesi 
              accanto alla celeberrima famiglia californiana di origine italiana 
              debba subentrare, in una joint venture paritaria al 50%, la 
              Marchesi Frescobaldi. Nominalmente italiana al cento per cento, 
              eppure interamente californiana, o ancora, in futuro, in 
              comproprietà italo-americana, l'Ornellaia, anche se collocata in 
              Toscana per collocazione geografica (come tantissime altre aziende 
              vinicole toscane, soprattutto collocate nell'area di Bolgheri, in 
              quella Maremma considerata come un angolo di Nuovo Mondo in terra 
              italiana, o come l'Eldorado della nuova frontiera del vino), 
              realizzava da tempo in totale solitudine - occorre dirlo, e 
              WineReport non ha mancato di sottolinearlo - vini che di italiano 
              e di toscano non avevano e non hanno proprio nulla. E che proprio 
              per questo loro carattere "apolide", smaccatamente internazionale, 
              da colonizzati al totale servizio del colonizzatore, ovverosia del 
              mercato, area dollaro, statunitense, venivano regolarmente 
              premiati ed elogiati dai vari Wine Spectator, Robert Parker e vari 
              guru della critica di lingua inglese.
 
 Come può essere difatti essere considerata italiana ed espressione 
              della storia, delle tradizioni, dell'identità della viticoltura 
              toscana, un'azienda, rispettabilissima e potente, che giovandosi 
              di un team tecnico che comprende consulenti e wine maker vari come 
              Thomas Duroux, Michel Rolland, il più celebre enologo itinerante 
              di Bordeaux, e Danny Schuster, viticoltore e agronomo 
              neozelandese, produce Merlot in purezza, uvaggi bordolesi o 
              Sauvignon blanc? Altro che gridare, come ha fatto qualche 
              sprovveduto, al "simbolo di Grande Italia nel mondo"! Italiana o 
              americana, retta da alchimie dettate dalla logica dei pacchetti 
              azionari, delle joint venture, del marketing, seppure giudicata 
              come produttrice del miglior vino del mondo, e mai definizione fu 
              più azzeccata, ovvero vino senza radici, senza identità, senza 
              storia, anche se tecnicamente impeccabile, Ornellaia non potrà mai 
              rappresentare, (come è invece il caso del Brunello di Montalcino 
              di Franco Biondi Santi, di qualche altro Brunello e Chianti 
              Classico non stravolti dall'ossequio alla modernità, ai gusti 
              sostanzialmente Cabernet - dipendenti dei degustatori d'oltre 
              Oceano) il wine tuscan and italian style!
 
 Proprio come uno di quegli staterelli da repubblica delle banane, 
              dove per non pagare le tasse vengono depositate le varie società e 
              che accoglie benevolo le ricchezze di personaggi di ogni parte del 
              globo, la "libera repubblica del vino" di Bolgheri e dintorni 
              accoglie a braccia aperte indifferentemente produttori e vignaioli 
              fiorentini, svizzeri, americani, franciacortini, trentini, 
              piemontesi e langhetti tipo Gaja, ed ora valpolicellesi, tutti 
              folgorati dal mito, molto americano, ma di terza mano, di una 
              terra promessa dove tramutare l'uva in oro, di una nuova frontiera 
              dove secoli di storia della viticoltura toscana non devono avere 
              voce in capitolo e tutto dev'essere libero, inventato giorno dopo 
              giorno. Non è questa, quella della Bolgheri Valley e dei suoi 
              giacimenti d'uva concepiti unicamente per il business, il trade e 
              la diffusione, come must enologici griffati, in tutti i 
              continenti, la Toscana che amo, che m'affascina, che m'invoglia a 
              percorrerne le vigne, visitare le cantine, conoscere le storie dei 
              personaggi che ne determinano il destino. Molta ammirazione, e 
              come non si potrebbe, per l'abilità di quegli imprenditori, per il 
              loro modo di stare sul mercato, anzi di farsi condizionare dal 
              mercato (made in Usa) in tutte le loro decisioni, ma nessun 
              coinvolgimento, nessuna emozione possibile.
 
 La Toscana che amo e che frequento appena possibile è quella di 
              qualche produttore di Montalcino, del Chianti Classico, di 
              Montecarlo, del pisano, che se anche concede qualcosa al nuovo e 
              magari pianta Merlot o Cabernet Sauvignon e realizza qualche vino 
              innovativo, stile Super Tuscan, cerca tenacemente, nei suoi vini a 
              denominazione d'origine, di salvaguardare ed esaltare il gusto del 
              terroir dove opera, quel carattere, quella peculiarità che li 
              rende diversi (non dico migliori, ma differenti), da vini che 
              potrebbero essere indifferentemente prodotti in California, Cile, 
              Australia. Oppure a Bolgheri. Uno di questi personaggi, asciutti, 
              di poche parole e tanta sostanza, magari giunti al vino e alla 
              viticoltura da altre esperienze umane e professionali, e che nel 
              vino hanno trovato un modo per esprimersi, per fare cultura, per 
              esaltare la bellezza e la storia del territorio dove operano, è, 
              in quella bellissima località intrisa di senso storico, di 
              tradizione, arte e bellezza che risponde al nome di Montepulciano, 
              Giulio Caporali, proprietario dai primi anni Novanta della Tenuta 
              Valdipiatta, 25 ettari a vigneto (di cui una diecina di proprietà) 
              e una produzione media che ha raggiunto la rispettabile quota di 
              100 mila bottiglie. Appassionato di storia locale, creatore, con 
              l'Antico Caffè Poliziano, del più bel bar, wine bar, e tavola 
              calda del borgo, Caporali ha fatto di Valdipiatta, posta sulle 
              pendici orientali del colle di Montepulciano, una delle più belle 
              e solide realtà produttive della zona, recuperando i vigneti 
              esistenti e riducendo drasticamente le produzioni, impiantando 
              nuove vigne, a Guyot semplice ed in parte a cordone speronato, 
              utilizzando i cloni di Prugnolo gentile selezionati nell'ambito 
              della ricerca promossa dal Consorzio del Nobile, realizzando una 
              particolare cantina, scavando una vera e propria galleria nel tufo 
              molto adatta per l'invecchiamento dei vini ed il loro affinamento. 
              Ed infine creando un piccolo agriturismo, molto accogliente, nel 
              corpo della tenuta aziendale.
 
 Per la produzione idee molto chiare: da un lato, senza 
              compromessi, i vini storici, del territorio, il Nobile ed il Rosso 
              di Montepulciano, ottenuti unicamente con Prugnolo Gentile, 
              Canaiolo Rosso, Mammolo, e dall'altro un paio di vini innovativi, 
              di ricerca, a indicazione geografica tipica, il Tre Fonti, 
              Sangiovese, Cabernet Sauvignon e Canaiolo, ed il Trincerone, 
              Canaiolo e Merlot, venticinquemila bottiglie in tutto, contro le 
              70 mila del Nobile e Nobile riserva, riservate a tutti coloro che 
              se un vino made in Toscana non è stile Super Tuscan… un gli garba! 
              I vini sono sempre stati buoni in questi anni, ma da un paio di 
              vendemmie a questa parte hanno sicuramente fatto il salto di 
              qualità, collocando l'azienda, con Boscarelli, Poliziano, 
              Avignonesi (hai detto poco…) al vertice del panorama locale. Con 
              la riserva di Vino Nobile 1997, espressione di un'annata 
              particolare, dove una gelata giunta a fine aprile ha realizzato 
              una naturale riduzione della produzione in vigna, hanno 
              addirittura fatto il botto, realizzando uno dei più autentici e 
              bei vini inconfondibilmente toscani che mi sia capitato di 
              assaggiare negli ultimi tempi. Sangiovese all'80-85% ed il resto 
              di Canaiolo, l'origine di questo grande Nobile, affinato per un 
              anno in barrique e per ben 16 mesi in botti di rovere di Slavonia 
              e poi ulteriormente lasciato a riposo in bottiglia per circa un 
              anno.
 
 Il vino ha tutto per soddisfare anche gli osservatori più 
              esigenti: grandissima intensità di colore, rubino profondo e 
              misterioso, grassezza e quasi viscosità nel bicchiere, un naso di 
              grande compattezza e finezza, potente, denso, con una fragranza 
              floreale, di viole, iris, gladioli, unita ad una componente 
              fruttata (prugna e more) e ad un saldo, maschio, persistente stile 
              terroso, di sottobosco e, molto leggero, di spezie. La bocca non 
              delude in alcun modo le grandi attese: ricca, asciutta, 
              consistente, ampia e persistente, con una struttura tannica 
              impressionante, ancora con qualche leggera asperità dovuta alla 
              giovane età del vino (che ha un potenziale di evoluzione e tenuta 
              nel tempo davvero importante), ma di straordinaria stoffa e nerbo, 
              in una cornice di grande equilibrio, di estrema, godibile, piena 
              piacevolezza di beva. Un vino che riempie il palato, dove si 
              dispone caldo, voluminoso, succoso e ricco di sapore, e che anche 
              senza ricorrere ai consueti abbinamenti arzigogolati (le beccacce, 
              la selvaggina, il salmì di lepre, il cinghiale, il cervo, tutte 
              cose squisite, ma che la gente normale mangia, se tutto va bene, 
              semel in anno…) sa esaltarsi anche su una grande grigliata di 
              carne, su una succulenta fiorentina, su un arrosto non asciutto e 
              sugoso quanto basta.
 
 I "genietti" della critica enologica di casa nostra hanno bloccato 
              questo magnifico vino sulla soglia dei "due bicchieri" colorati in 
              rosso, quelli che sono andati in finale, ma non hanno 
              completamente appagato il sinedrio, adducendo una leggera carenza 
              di eleganza, mentre il buon Daniel Thomases, sulla guida di 
              Veronelli, attribuendo 92/100 al vino, annota che Caporali "non ha 
              mai fatto un Vino Nobile come l'eccezionale Riserva 1997". De 
              gustibus, ovviamente, ma di certo questo vino maschio e con gli 
              attributi, espressione fedele del territorio di Montepulciano e di 
              quel saldo carattere tosco che vorremmo trovare in molti più vini, 
              non ha nulla a che spartire con i troppi vini laccati, effeminati, 
              aggiustati in cantina, banali e prevedibili, veri eunuchi 
              dell'enologia d'oggi, che piacciono ad una certa critica, la cui 
              specialità è la disinformazione, quanto disinteressata non si sa.
 
 10 maggio 2002
  
              
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              Tenuta Valdipiatta, via della Ciarliana 25/A, 53045 Montepulciano 
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